
Martin Bora, l'investigatore di casi delicati per i servizi segreti della Wehrmacht, si trova a Mosca. Mancano settimane all'attacco di Hitler alla Russia di Stalin, e l'ufficiale è aggregato al corpo diplomatico della capitale sovietica immersa ancora nel clima del patto Ribbentrop-Molotov. In questa veste, gli arriva una strana richiesta da parte del diabolico Beria: recarsi a Creta, appena presa dai tedeschi, per procurare al raccapricciante capo dello spionaggio sovietico sessanta bottiglie di un pregiatissimo vino cretese. Invece, giunto nell'isola piena ancora dei segni di un bagno di sangue, l'ufficiale-detective è posto di fronte a un compito ben diverso. Una famiglia di civili è stata massacrata nella sua villa, a quanto pare da una pattuglia di paracadutisti tedeschi. I servizi vogliono vederci chiaro, non solo per scagionare i soldati accusati di crimini di guerra e impedire un incidente diplomatico, ma anche per prevenire l'intervento della Croce Rossa e tenere lontane le SS di Himmler, interessate alla strage. Infatti, la vittima principale è un residente svizzero, esperto di antichità e storia della razza ariana e membro dell'Ahnenerbe, la società fondata da Himmler per studiare il passato mitico della razza ariana e sovrintendere a tutte le ricerche ancestrali e archeologiche. L'imbarazzo è grande, ed enorme il mistero. Per scioglierlo, Bora dovrà farsi carico di un'indagine che lo porterà a muoversi lungo piste divergenti...
Lo sbarco di Anzio è da poco avvenuto e le truppe tedesche occupanti sentono la morsa degli Alleati. Si intensificano le azioni dei patrioti. Sono i giorni lugubri delle Fosse Ardeatine. L'infernale 1944. Martin Bora, giovane maggiore dei servizi segreti della Wehrmacht è venuto in missione a Roma. "Caput mundi", la tenera città che gli era familiare da giovanissimo aristocratico, è ora una fosca città aperta, "sotto assedio dall'interno". Nel suo animo e nel suo corpo la guerra ha inciso a sangue. Ha perso la mano sinistra in un'azione dei partigiani; il fratello, compagno di un'infanzia dorata, è caduto con il suo aereo in Russia; Dikta, la bella moglie altera, è lontana. In quest'atmosfera, una giovane segretaria dell'ambasciata tedesca s'è sfracellata al suolo dalla finestra di casa sua, al quarto piano. Potrebbe passare per un suicidio o per un incidente, se non fosse che le chiavi dell'appartamento chiuso non si trovano dentro casa. Inoltre, il delitto offrirebbe certe occasioni alla polizia italiana. Nell'inchiesta che inizia, mentre si occupa di più importanti affari di intelligence, Bora ha al fianco l'ispettore Sandro Guidi che il questore capo ha chiamato per chiudere in fretta il caso. Ma al contrario le indagini proseguono. Altri delitti coinvolgono capi nazisti, cardinali, gerarchi italiani, salotti altolocati. Bora, e accanto a lui Guidi con cui s'è rafforzata una amicizia piena di discrezione, procedono sull'orlo dell'abisso...
Questo romanzo è un mistery, sono inventati il crimine che scatena la vicenda, la trama, e la soluzione finale, e sono fittizi i protagonisti; ma è pure un pezzo importante di memoria, come forse sarebbe difficile riportare con la stessa evidenza in un saggio di storia. La memoria di cosa fu un grande partito, di come funzionava la mente di dirigenti e militanti, di come si muoveva l'invisibile macchina del potere e del contropotere in una grande metropoli negli anni fine Settanta, poco prima che l'omicidio Moro scompigliasse la storia d'Italia. Milano, autunno 1977, zona Sempione. Una sventagliata di mitra ha ucciso una giovane fioraia. Accanto al corpo, nel chiosco di via Procaccini, una copia dell'"Unità", perché Bruna Calchi, la vittima, era un'iscritta al Pci, dirigente della sezione e del circolo Arci, dove si occupava di teatro e di diritti gay; bella ragazza, molto conosciuta anche per la sua spigliata esuberanza. L'inchiesta poliziesca parte con tutta la prudenza del caso delicato, affidata a un giovane funzionario, moderno e progressista ma capace di stare al mondo; e subito incorre in un primo mistero: l'arma del crimine, una Maschinenpistole, i famosi Mp 40 in uso alla Wehrmacht, riemersa chissà come dalla Seconda guerra mondiale. Contemporaneamente, "per evitare eventuali provocazioni e trappole", muove la controinchiesta del Pci. Se ne occupa il vecchio Peppe Dondi con il suo vice ingegner Cavenaghi...
Un concessionario di macchine di lusso freddato nel suo salone. Una escort "morta male", torturata fino alla fine, nel suo studio del centro cittadino più opulento. Un "morto" che viene a riprendersi un tesoro. Una donna che sembra vissuta più volte. Un passato cattivo che ritorna e lascia misteriosi indizi sulla pista. E in esso la polizia cerca risposte a domande che appaiono impossibili. Mentre un vento insopportabile stranamente inquieta l'inverno delle strade. Stavolta Carlo Monterossi, il detective per caso della nuova Milano nera vividamente dipinta da Alessandro Robecchi, è un detective per rabbia. Lo tormenta un senso di responsabilità, benché involontaria, nel delitto; ma soprattutto, con Anna - così si chiamava la bella di via Borgonuovo - aveva vissuto un momento di sincerità totale, di quelli che chiariscono l'anima al pari di un'amicizia duratura. Il suo debito di verità e giustizia, per una volta, si incontra con un paio di poliziotti che condividono la stessa tenerezza verso una vittima che sporge sulla coscienza come fantasma gentile: "Se troviamo chi ti ha fatto male te ne vai, vero, signorina?". E verrà alla luce qualcosa che stride brutalmente con la vita da autore di reality televisivi che dà a Carlo fama e soldi.
Roma 1944, giugno. La Città eterna è liberata. Si ritirano le truppe della Wehrmacht. Il giovane tenente colonnello dell'Abwehr (il controspionaggio dell'esercito) Martin von Bora si avvia, non senza rimpianto per ciò che lascia, a raggiungere un comando operativo. Lo blocca il suo vecchio generale che gli affida una missione ad altissimo rischio. Si tratta di recuperare dei documenti brucianti, e i risultati dovrà riferirli solo al suo superiore e a nessun altro, a qualunque costo. Mussolini, subito prima di lasciare la prigionia di Campo Imperatore preso in custodia dai tedeschi, ha affidato a un confinato della zona, suo conoscente, una corrispondenza segretissima e compromettente per tutti. Sono delle lettere cui danno la caccia sia gli Inglesi sia il temibile servizio segreto delle SS. Martin deve precederli, pena conseguenze devastanti per l'Italia e distruttive anche per le dissidenze antinaziste interne all'esercito. Nel paesino di Faracruci, sul Gran Sasso, a poca distanza dall'ex prigionia del dittatore, egli rintraccia l'avvocato Borgonovo, un milanese, ex interventista, ex amico del capo del fascismo, poi divenuto influente esponente dell'antifascismo, perciò ristretto in montagna, al confino, da molti anni. Le pressioni crescenti su di lui non lo convincono a cedere il suo tesoro. Entrambi sanno che, qualunque sia l'esito, l'avvocato dovrà essere eliminato, eppure tra Bora e Borgonovo si stringe una sottile comunanza, di ironia, di umanità, di cultura, di onore. A distrarre il destino segnato, si intromette il cadavere di un giovane sconosciuto, trovato una mattina nella piazza del paese. Bora inizia a indagare, mentre le atmosfere e i segreti di un isolato paesino di montagna piombato nella guerra lo avvolgono come nebbia. Intuisce un legame con il suo incarico di intelligence. Con l'ufficiale tedesco, da lontano, senza parere, collabora a svelare il pericoloso enigma l'avvocato milanese. In lui si riflette, per la sua storia e per la sua cultura, quella borghesia italiana che si lasciò trascinare in buonafede per poi ribellarsi. Così come in Bora - soldato d'alta scuola, nobile integralmente europeo e autenticamente tedesco, diviso tra il disprezzo del nazismo e la fedeltà al giuramento - si raffigura l'aristocrazia militare tedesca irretita da Hitler che troppo tardi comprese l'orrore.
In "Pulvis et umbra" due trame si svolgono in parallelo. Ad Aosta si trova il cadavere di una trans. A Roma, in un campo verso la Pontina, due cani pastore annusano il cadavere di un uomo che porta addosso un foglietto scritto. L'indagine sul primo omicidio si smarrisce urtando contro identità nascoste ed esistenze oscurate. Il secondo lascia un cadavere che puzza di storie passate e di vendette. In entrambi Schiavone è messo in mezzo con la sua persona. E proprio quando il fantasma della moglie Marina comincia a ritirarsi, mentre l'agente Caterina Rispoli rivela un passato che chiede tenerezza e un ragazzino solitario risveglia sentimenti paterni inusitati, quando quindi la ruvida scorza con cui si protegge è sfidata da un po' di umanità intorno, le indagini lo sospingono a lottare contro le sue ombre. Tenta di afferrarle e gli sembra che si trasformino in polvere. La polvere che lascia ogni tradimento.
Trenta storie, divertenti e sorprendenti, con protagonista Montalbano. «Ladri, suicidi veri e suicidi non veri, un morto vivente, delitti e vari tentativi criminali, un diavolo che diavolo non è, acrobati, un re pastore e una veggente, figli e padri difficili, storie varie d’amore con colpi di scena imprevedibili: un rompicapo dietro l’altro, per il commissario, in un «romanzo» lungo un mese» (Salvatore Silvano Nigro).
Montalbano ha talvolta una franchezza insolente. È capace di rispostacce. Ma anche di una scanzonata levità. Lo soccorre l’ironia. E l’autoironia. Il commissario vanta «sangue di sbirro», senza frenesie però. Si prodiga persino in indagini «a ritroso nel tempo», che lo convincono a lasciare sepolto nelle macerie della storia il tragico segreto da lui scoperto; oppure preferisce condurre un’inchiesta parallela, stando nell’ombra, con la consueta vigilanza, con un sorriso arguto, e una sollecitudine anonima. Arriva a sentire inappropriata la divisa del detective armato di binocolo. L’indossa, solo per ridicolizzarsi: «Era atterrito all’idea che qualcuno del paìsi potesse vederlo col coppo... e un binocolo da teatro in mano intento a scrutare, proprio in cima al molo, non l’orizzonte, ma gli scogli che stavano sotto a lui». Ricorre all’«inquadratura» dei particolari più invisibili, ma «a fiuto» e «a pelle», con l’intuito e i sensi: «In questo consistevano il suo privilegio e la sua maledizione di sbirro: cogliere, a pelle, a vento, a naso, l’anomalia, il dettaglio macari impercettibile che non quatrava con l’insieme... Nel mondo che il suo occhio inquadrava qualcosa stonava». La collaborazione tra l’olfatto, la vista, e il tatto, lo dota di percezioni sinestesiche; gli fa incrociare sfere sensoriali diverse: «l’angoscia densa, la desolazione palpabile, la disperazione visibile... fetevano di un giallo marcio». Montalbano non dismette le «travediate». Ma ricorre anche a un marchingegno letterario. Ordina in racconto convincente i risultati della sua filologia investigativa (attenta pure a quella singola parola che apre «un abisso di sottintesi»); e garbatamente mette in campo la «storia» raccontata per accordare le parti in causa sulla verità dei fatti: e capita che la verità esiga l’indulgenza di Montalbano per l’umana debolezza. «E ora che fare?». La verità è stata acquisita. «E poi?», dice Montalbano: doveva essere, sempre e comunque, un giustiziere? Il turbamento del commissario ha la profondità morale dell’ansia notturna dell’Innominato nei Promessi sposi: «E poi? che farò... che farò?». Un mese con Montalbano è una raccolta di trenta racconti, già pubblicata da Mondadori nel 1998. Se è vero che il racconto sta al romanzo come una fotografia sta a un film, è anche vero che la sequenza delle «situazioni» del libro si configura come un film-romanzo in trenta episodi-capitoli. Qualche flashback sugli anni giovanili del commissario completa e arricchisce il «romanzo», dentro il quale convivono ladri, suicidi veri e suicidi non veri (e non è detto che un omicidio sia davvero omicidio), un morto vivente, delitti e vari tentativi criminali, un diavolo che diavolo non è, acrobati, un re pastore e una veggente, figli e padri difficili, storie varie d’amore con colpi di scena imprevedibili: un rompicapo dietro l’altro, per il commissario, in un «romanzo» lungo un mese. Salvatore Silvano Nigro
Ghezzi e Carella, Monterossi e Falcone: due coppie di detective e un delitto nella Milano ricca. Tra ironia e amara analisi sociale, un thriller intrecciato con mano sicura da un abile narratore.
«E ho pensato che avevo sbagliato vita, che così non andava bene, e che intanto mi ero perso delle cose, e moltissime altre, forse più importanti... cose... persone... a cui ho pensato sempre...».
Umberto Serrani è un elegante, anziano, ricco signore cullato dai suoi rimpianti. Riservato, distaccato, finalmente padrone del suo tempo dopo una vita passata a «mettere al sicuro» le fortune altrui, specie se sospette e ingombranti, un lavoro che gli ha permesso di tessere legami invisibili che arrivano dappertutto.
Quando apprende della morte di Giulia – un amore di venticinque anni prima, intenso, totale, un rimpianto mai sopito – decide di capire, agire, pagare vecchi debiti. Vuole sapere di quella morte assurda che sembra uno scippo finito male, chi è stato, perché. E vuole sapere tutto di quella donna per tanti anni amata nel silenzio e nella lontananza, della sua vita solitaria e ordinata, delle sue speranze e delle sue difficoltà, della figlia Sonia, promettente soprano.
Assolda per questo una coppia di strani investigatori, Carlo Monterossi e Oscar Falcone: il primo è un mago della televisione, che però odia; il secondo sa nuotare in tutti gli ambienti e ha uno speciale sesto senso per le cause giuste. Intanto, sull’omicidio lavorano anche Ghezzi e Carella, sovrintendenti di polizia, «due cani da polpaccio», che vogliono chiudere il caso, fare giustizia, capire.
I quattro, indipendentemente gli uni dagli altri, dragheranno le acque fetide che hanno inghiottito Giulia, con il sottofondo delle arie d’opera in cui la giovane Sonia si esercita per realizzare il suo sogno.
Ogni libro di Alessandro Robecchi contiene personaggi, intrecci e tanta materia narrativa da poterne ricavare più romanzi; dialoghi tesi, un parlato da duri e un esemplare umorismo di costume sui nostri tempi. E le sue storie traggono sempre spunto da un’amara osservazione sociale e umana. In Follia maggiore c’è l’agonia silenziosa del ceto medio che attrae appetiti criminali, e un malinconico «discorso dei rimpianti» sulle cose perdute che non torneranno. Mai.
Chi sfogliasse "L'album dei Mille", galleria fotografica degli eroi dell'impresa garibaldina, al n. 338 troverebbe la foto di Rosalia Montmasson, l'unica donna che s'imbarcò alla volta della Sicilia. Chi era quest'oscurata protagonista del Risorgimento? Una ragazza che incontra e si innamora di un giovane rivoluzionario pieno di sé, e per amore lo segue in tutte le avventure fino a quando lui l'abbandona? Oppure un'intransigente repubblicana che si lega a un patriota, che alla fine ne tradisce gli ideali? Per vent'anni Rosalia Montmasson fu moglie di Francesco Crispi, che seguì in tutti gli esili, condividendone azione e utopia, senza paura e senza riserve, facendosi cospiratrice e patriota al servizio della causa mazziniana. Si erano incontrati a Marsiglia: lui esule in fuga dalla Sicilia borbonica, lei lavandaia stiratrice che si era lasciata alle spalle l'asfittico paesino d'origine dell'Alta Savoia. Diventata mazziniana anche lei, entrò a poco a poco nella vita di riunioni e di azioni clandestine di lui, perfino le più rischiose e forse terroristiche, giungendo ad assumere un proprio ruolo, stimato anche da Mazzini. Poi l'impresa garibaldina, l'Unità, e la svolta monarchica di Crispi. Le divergenze e i contrasti tra Francesco e Rosalia si accentuarono, ormai la ragazza di Marsiglia è solo un impiccio sentimentale e politico per lui, che nel 1878 - divenuto potente ministro - riuscì con cavilli formali e l'avallo di una compiacente magistratura a farsi annullare il matrimonio. Da quel momento, Rosalia Montmasson fu fatta sparire dalla vita di Crispi, dai libri, e dalla memoria collettiva, una totale rimozione dalla storia risorgimentale che si è protratta fino a oggi; a lei Maria Attanasio, in questo romanzo storico, restituisce voce e identità, recuperando anche una sommersa e avventurosa coralità di oscuri eroi. Con un ritmo narrativo di inchiesta letteraria su una vicenda nascosta del Risorgimento, la scrittrice ne ha cercato le tracce, ripercorrendo i luoghi, scavando tra cronache e documenti, appassionandosi alla vita di questa donna dal temperamento straordinario, ribelle a ogni condizionamento e sudditanza. E ce la racconta in un romanzo sulla libertà di pensiero, che è quasi una storia al femminile sul processo unitario italiano: il ritratto in grande di una donna in grande, dipinta quale immagine del Risorgimento perduto, della sua parte sconfitta e più bella.
Luca Corbo è un ragazzo coccolato e protetto che vede davanti a sé, quando non ha ancora diciotto anni, la grande opportunità di tutta una vita. Aspira a una carriera da calciatore professionista, è stato notato da alcuni procuratori, ed è giunto il momento di fare una scelta. Attorno ha i compagni che sul campo e fuori sono gli amici del cuore, anche loro spinti dalle stesse ambizioni. A incoraggiarlo c'è il sostegno dei genitori Dario e Giulia, separati dopo molte difficoltà, per una volta di nuovo complici grazie all'orgoglio per il suo talento. Sono trascorsi alcuni anni dall'estate del caso Nora Beckford, quando Dario Corbo, ex giornalista scaltro e malinconico, ha cercato di riscattare l'immagine e il passato scellerato di un'assassina che proprio lui aveva contribuito a far condannare. Ora Dario lavora per lei, alla Fondazione che cura l'opera del padre artista, e in molti hanno da ridire. Basta una telefonata per cambiare tutto, ancora una volta. Dario viene convocato all'albergo dove il figlio alloggia con la squadra, due poliziotti stanno frugando nella sua stanza, Luca è pallido e silenzioso. La notte precedente una ragazza è arrivata al pronto soccorso con il volto sfigurato, ha denunciato di essere stata condotta sulla spiaggia e poi stuprata e picchiata da un ragazzo conosciuto in discoteca. Quel ragazzo, ha detto, si chiama Luca, e gioca a calcio. Per Dario Corbo è il frantumarsi di un ordine precario e l'annuncio del fallimento più doloroso, quello di padre. Giampaolo Simi ci riporta in Versilia e traccia un affresco ambizioso e avvincente, di raffinato realismo e lancinante tensione. Un noir drammatico ma soprattutto una storia di individui che si riconoscono tra loro e cercano complicità e protezione nell'appartenenza, nella lealtà di gruppo, nel cemento dell'amicizia, nel nucleo tenace delle famiglie. Fin quando una famiglia non è costretta a guardarsi dentro, e a chiedersi quanta cieca fiducia, quanto amore inappellabile sono necessari per proteggere le persone che amiamo. Con il sospetto che persino nel proprio figlio possa nascondersi una creatura feroce.
«Non ci abbiamo capito niente, Deruta. Forza, al lavoro». Due coltellate hanno spento la vita di Romano Favre, un pensionato del casinò di Saint-Vincent, dove lavorava da «ispettore di gioco». Il cadavere è stato ritrovato nella sua abitazione dai pochi vicini di casa dell'elegante palazzina, e serra in mano una fiche, però di un altro casinò. Rocco Schiavone capisce subito che si tratta «di un morto che parla» e cerca di decifrare il suo messaggio. Si inoltra nel mondo della ludopatia, interroga disperati strozzati dai debiti, affaristi e lucratori del vizio, amici e colleghi di quel vedovo mite e ordinato. Individua un traffico che potrebbe spiegare tutto; mentre l'ombra del sospetto sfiora la sua casa e i suoi affetti. Ed è ricostruendo con la sua professionalità la tecnica dell'omicidio, la scena del delitto, che alla fine può incastrare l'autore. Ma il morto è riuscito a farsi capire? Forse non basta scavare nel passato: «Favre ha perso la vita per un fatto che deve ancora accadere». Il successo dei libri di Antonio Manzini deve probabilmente molto al loro andare oltre la semplice connessione narrativa tra una cosa (il delitto) un chi (il colpevole) e un perché (il movente). Con le inchieste del suo ruvido vice-questore, Manzini stringe il sentire del lettore a una vicenda umana complessa e completa. Così i suoi noir sono in senso pieno romanzi, racconto delle peripezie di un personaggio che vale la pena di conoscere, sentieri esistenziali. Sono, messi uno dietro l'altro, la storia di una vita: Rocco Schiavone, un coriaceo malinconico che evolve e cambia nel tempo, mentre lavora, ricorda, prova pietà e rabbia, sistema conti privati e un paio di affari. Sicché, in "Fate il vostro gioco", il vice-questore riconosce apertamente un semifallimento: ha smascherato il criminale ma troppe cose non tornano. Resta un buco nella sua consapevolezza che gli rimorde come una colpa, e deve colmarlo. Lo farà, si ripromette, la prossima volta e, per il lettore, nella prossima avventura.
Un bravo ragazzo, università, fidanzata, famiglia, i soliti lavoretti per raggranellare i soldi per un viaggio di piacere, viene trovato morto dentro la sua utilitaria. Le mani legate al volante, un colpo in testa e un foro di proiettile preciso alla tempia, i calzoni abbassati. Del caso si occupano i sovrintendenti Ghezzi e Carella, ed è un’indagine che si presenta lunga e complessa, dove gli indizi, anziché mancare, sembrano troppi.
Intanto, Gloria Grechi, impiegata di media condizione, donna dal fascino e dall’atteggiamento elusivi, si presenta presso la neonata agenzia investigativa di Oscar Falcone, non specchiatissimo amico e compare di guai di Carlo Monterossi: vuole che le ritrovino il marito improvvisamente scomparso. Ma la cliente non dice tutto, non spiega perché non si rivolge alla polizia, non chiarisce i suoi misteriosi comportamenti. Carlo Monterossi, autore televisivo di una trasmissione di enorme successo, che gli ha dato fama e soldi, ma che lui odia per quello che è diventata, spazzatura, cinismo, speculazione, simbolo dei simboli dei tempi nuovi, partecipa e osserva, investigatore per caso, acuto e ingenuo.
Presto piste, indizi e vicende convergono in un intreccio in cui le vite si mischiano: gli inseguiti possono diventare inseguitori, i giocatori pedine, i traditori traditi a loro volta.
Alessandro Robecchi ha costruito un noir d’alta scuola; un intreccio che è come un meccanismo perfetto in cui ogni ingranaggio porta il lettore con totale naturalezza dove è più sorprendente ritrovarsi.
Emozionante, ribelle, sarcastico e paradossale, disperatamente romantico, il suo personaggio ricorda il Marlowe di Raymond Chandler, ma impiantato nei tempi nuovi. Contro i quali porta un disincantato messaggio di resistenza.

