
Felix è un ragazzo molto particolare: dopo aver passato l'infanzia chiuso in un enigmatico mutismo, indifferente ai tentativi dei genitori di scuoterlo dalla sua indifferenza ma capace di stupirli con improvvisi guizzi di genialità, è rimasto taciturno e riservatissimo. Se si eccettua la passione per i dolci, Felix non ha niente in comune con i suoi coetanei. Possiede inoltre un insolito talento che si compiace di coltivare in solitudine: una memoria prodigiosa che gli permette di catalogare in maniera precisissima - e all'occorrenza rievocare - milioni di ricordi. È il suo insegnante di filosofia, il professor Kobbe, a scoprire questa capacità e, affascinato, lo aiuta a coltivarla e a perfezionarla nella convinzione di poter fare di lui un grande filosofo. Ben presto, però, si rende conto delle potenzialità di questa dote se applicata alla politica e capisce che, se opportunamente guidato, Felix può diventare un grande statista. All'università Felix incontra un enigmatico insegnante nonché uomo politico, il Maestro, che - conquistato dalle straordinarie abilità di Felix e consapevole di poterle usare a proprio vantaggio - lo introduce nel mondo della politica. Felix si rivela un collaboratore preziosissimo. Soltanto la sua bizzarria rischia di ritorcersi contro il Maestro, divenuto intanto - dopo aver vinto trionfalmente le ultime elezioni - Presidente. Intanto, l'unanimità di consensi che il Presidente - ormai Gran Presidente - ha saputo creare intorno a sé si frantuma e a Felix tocca decidere se prendere le redini del comando o tornare da dove è venuto.
A Londra, Augusta e James si incontrano, si conoscono e, una sera d'estate, diventano amanti. Un amore fatto di sesso, di libri letti ad alta voce tra le lenzuola, di cibi e profumi. Una passione travolgente, impetuosa, inarrestabile. Intorno a loro, la vita di ogni giorno. Il lavoro, gli affetti, i sogni, le sfide, le delusioni. E i viaggi: Toronto, New York, Aix-en-Provence, Dakar. Mariti, mogli, figli, amici e altri amanti, ognuno con i propri sentimenti, ognuno con la propria storia che si intreccia a quella di Augusta e James. Tutti si attraggono e si respingono. Si lasciano e si cercano di nuovo. Vogliono essere indipendenti, ma non riescono a vivere senza gli altri. Come pianeti intorno al sole, come satelliti intorno ai pianeti, ognuno descrive la propria orbita e intanto fluttua tra persone e affetti cercando di coniugare regole, bisogni e desideri. Come in una nebulosa, dove tutto è instabile ma in perfetto equilibrio. Un romanzo che parla della fragilità dei legami affettivi e dell'amore prima, durante e dopo l'amore. Un ritratto vivido e acuto dei sentimenti come li viviamo oggi, con tutte le loro ambiguità e contraddizioni. Un esordio sorprendente, traboccante di sapori, musica, colori e vita.
L'"uomo con il sole in tasca" è uomo che, pur avendo dominato l'immaginazione del nostro Paese, è diventato solo raramente un personaggio letterario a tutto tondo. Cosa che invece accade in questo romanzo di Cesare De Marchi. Ed è come se l'immaginazione disegnasse uno dei molti possibili esiti della vicenda umana e politica di tanto protagonista. Il presidente del Consiglio viene rapito dalle Nuove Brigate Rosse. Luigi Leandri, vecchio commissario di pubblica sicurezza a Milano ora trasferito alla Direzione centrale della polizia di prevenzione, si occupa del caso. Il presidente, nella sua angusta cella tra strette pareti insonorizzate, passa dalla crisi di claustrofobia alla lucidità analitica, dalla paura della morte all'impazienza. I tre sequestratori discutono animatamente: Cecilia, impulsiva e violenta, vorrebbe processare subito il rapito e ucciderlo; il giovane Mario sembra indeciso; Luca, il capo del gruppo, impone la calma. Si parla di democrazia, di mafia, di realtà virtuale e televisione, e il presidente risponde puntiglioso, a volte scherzoso. Anzi, dopo aver dato prova di abilità dialettica, il presidente è rincuorato, si sente sicuro e affronta l'interrogatorio con una sorta di leggerezza accademica, quasi salottiera, e si convince sempre più di potersi salvare. A Luca promette un diverso avvenire. Leandri è ormai vicino a scoprire il covo dei sequestratori, proprio quando fra questi ultimi si inaspriscono i conflitti. Che futuro ha l'uomo con il sole in tasca?
"Ho preso dalla provincia lombarda cinque anziani signori - due coppie e un vedovo, tutti afflitti da malanni più o meno disastrosi - e li ho portati in vacanza a Nizza. In Jaguar. In un hotel a quattro stelle, con in mano un elenco di ristoranti lussuosi e in tasca un'American Express a credito illimitato. Tra i giardini del Cimiez e una clinica privata diretta dal sosia di Daniel Auteuil, con l'aiuto di un romanzo inedito di Frederic Prokosch e di una magica sfera di hashish, Cesare, che racconta la storia, si metterà sulle tracce di Leo Meyer. Lo scrittore che negli anni ottanta ha fatto esordire e ha sostenuto come direttore letterario di una nota casa editrice. Leo, il suo amico della vita. Che dopo anni di misteriosa latitanza riappare lì, a Nizza, gli occhi incavati nel volto malato, sul sedile posteriore di un taxi in corsa. Lo so che alla fine ne è uscito un romanzo struggente, con questi cinque anziani a ricapitolare le loro vite in smobilitazione, mentre provano caparbiamente a riallacciare i fili degli affetti. Ma Cesare è fermamente deciso a non cedere di un'unghia alla malinconia e al rimpianto. Come me, che mentre scrivevo tiravo giù dagli scaffali Wodehouse, Carlo Manzoni, Marcello Marchesi, e facevo esorcismi in forma di battute. Intanto che nel romanzo, questa volta felicemente, il mistero cresceva e la trama si infittiva." (Piersandro Pallavicini)
Pedrara. La Sicilia dei Monti Iblei. Una villa perduta sotto alte pareti di roccia tra l'occhieggiare di antiche tombe e il vorticare di corsi d'acqua carezzati dall'opulenza degli oleandri. È qui che la famiglia Carpinteri si raduna intorno al capezzale di zia Anna, scivolata in una svagata ma presaga demenza senile. Esistono davvero le pietre di cui la donna vaneggia nel suo letto? Dove sono nascoste? Ma soprattutto, qual è il nodo che lega la zia al bellissimo Bede, vero custode della proprietà e ambiguo factotum? Come acqua nel morbido calcare i Carpinteri scavano nel passato, cercano negli armadi, rivelano segreti - vogliono, all'unisono, verità mai dette e ricchezze mai avute. Tra le ombre del giorno e i chiarori della notte, emergono influenze di notabili locali, traffici con i poteri occulti, e soprattutto passioni ingovernabili. Le voci di Mara, nipote prediletta di Anna, e di Bede ci guidano dentro questo sinuoso labirinto di relazioni, rimozioni, memorie, fino a scavalcare il confine della stessa morte. Simonetta Agnello Hornby mette a fuoco un micromondo che pare allargarsi, con un brivido, a rappresentare i guasti, le ambizioni e le ansie di liberazione dell'universo famigliare, tutto intero.
La povertà. La povertà subita e la povertà come spoliazione. Alessandro Mari parte da questo nodo di luce e costruisce un romanzo a due strade. In una insegue la figura di Francesco d'Assisi, ne registra l'avventura interiore, ne illumina il mistero e lo scandalo, fa vibrare la poesia della sua vicenda terrena. Nell'altra si muove nel nostro tempo e racconta di Rachele e Ilario: lei psicologa in un centro per anziani, lui titolare di un'agenzia di marketing al servizio del non profit. Lei ascolta le storie di chi ha molto vissuto, si lascia toccare dal senso della fine, cerca nei suoi pazienti "a termine" una prossimità non professionale. Lui "vende la povertà" e finisce, più confuso che colpevole, per guadagnarci. Toccata così dalla vergogna, Rachele si sottrae progressivamente a quella che fino ad allora era stata la scena dei suoi affetti, del suo lavoro, della sua storia d'amore. Alessandro Mari sospinge Rachele e Francesco verso il nudo segreto del dono di sé e della spoliazione, e allo stesso modo spoglia la propria lingua narrativa, conducendo i suoi protagonisti a un appuntamento rivelatore. Quasi fosse il convergere, in una sorta di vertigine temporale, di due anime liberate dalla tentazione del compromesso.
Primi anni ottanta. Sulla sponda occidentale del Lago di Como, nel triangolo soleggiato compreso fra Menaggio, Bellagio e l'Isola Comacina, dentro il quadro fastoso del turismo internazionale e dei grandi personaggi che vi hanno soggiornato, vanno in scena le piccole vicende della Tremezzina. In quella provincia italiana dove il tempo sembra essersi fermato e l'opulenza degli alberghi di Cadenabbia e di Villa Balbianello sembra lontanissima, irrompe sulla scena il piccolo borgo di Mezzegra. Qui sono in gioco le dispute fra parroco e sindaco, le grazie non ancora onorate di Angela, l'organista, la moto rombante dell'anarchico Bernasconi che quelle grazie vorrebbe onorare, le feste di paese, i traffici illeciti con la vicina Svizzera, e poi corriere, biciclette, l'epopea del volo in idrovolante, milanesi e "teroni", battelli della Navigazione Lago di Como e una galleria di personaggi irresistibili. È proprio questo mondo che viene scosso dalla sparizione della statua della Madonna del Carmine. Chi ha commesso questo atto sacrilego? A che scopo? Che fine ha fatto la statua? Il bravo don Luigi non perde le staffe, cerca di capire, indaga, interroga e non dimentica che "il diavolo è nel dettaglio". Una commedia degli errori che, in forza della macchina dell'indizio, lascia trapelare piccoli segreti, calde passioni, speranze e appetiti inconfessabili.
Carla Pampaloni Scotti ha cinquant'anni, una netta somiglianza con Ave Ninchi, è professoressa di Chimica alla Statale di Milano, è sposata con un fisico geniale, ha un figlio quindicenne purissimo nerd. La sua collega e amica della vita è Paola Ottolina: bassa, grassa, occhialuta, irrimediabilmente brutta e sola, con le sue fattezze da can-bulldog. O almeno così sostiene il vecchio Alfredo Pampaloni, padre di Carla, ex industriale. Un ottuagenario che guida la sua Jaguar come Manuel Fangio, che prepara i Martini migliori del mondo, che indossa sempre giacca blu, pantaloni bianchi e mocassini senza calze, come un playboy anni sessanta. Agosto 2012: Alfredo Pampaloni convoca tutti a Solària. Nella futuribile villa di famiglia arriva Carla con suo figlio e l'Ottolina, e da Londra arriva Edo, con i suoi gemelli biondi e una moglie maleducata. E allora subito: il vecchio Pampaloni porta i figli da un notaio per cedere loro la casa di Solària e quella di Milano; Edo chiede conto dei milioni di euro da ereditare che sembrano svaniti; la villa e i suoi occupanti sono vittime di aggressioni incomprensibili, un'accetta conficcata nella centralina elettrica, scritte ingiuriose sui muri, palle di fuoco che scendono dal crinale. Ed è da qui che parte un intrigo che mescola il misterioso passato del capofamiglia con un presente minaccioso, affrontato con l'aiuto del vice ispettore Erica Daldosso, rughe e capelli d'argento. Il passato si sgroviglia. Ed è quasi tutto da ridere.
Corso Bramard è stato il commissario più giovane d'Italia. Meditabondo, insondabile, introverso, capace di intuizioni prossime alla chiaroveggenza. Fino a quando un serial killer di cui seguiva le tracce ha rapito e ucciso la moglie Michelle e la piccola Martina. Da allora sono passati vent'anni. Corso vive in una vecchia casa dimessa tra le colline, insegna in una scuola superiore di provincia e passa gran parte del tempo arrampicando da solo in montagna, spesso di notte e senza sicurezze, nell'evidente speranza di ammazzarsi. Perché, come suole ripetere, "non c'è nessuna vita adesso". Eppure qualcosa è rimasto vivo in lui: l'ossessione, coltivata con quieta fermezza, di trovare il suo nemico. Il killer che ha piegato la sua esistenza e che continua a inviargli i versi di una canzone di Léonard Cohen. Diciassette lettere in vent'anni, scritte a macchina con una Olivetti del '72. Un invito? Una sfida? Ora, quell'avversario che non ha mai commesso errori sembra essere incappato in una distrazione. Un indizio fondamentale. Quanto basta a Corso Bramard per riprendere la caccia, illuminando una scena popolata da personaggi ambigui e potenti, un dedalo di silenzi che conducono là dove Corso ha sempre cercato il suo appuntamento, e il suo destino.
A quasi settant'anni dalla morte, Anna Alrutz, che in vita è stata una braune Schwester, una delle infermiere specializzate volute da Hitler, non è che un fantasma, una voce senza corpo che vive e rivive brandelli della sua breve esistenza. Primogenita di una ricca famiglia borghese, il padre medico, la madre elegante e colta ma di salute cagionevole, Anna ha trascorso un'infanzia serena. Per via della malattia polmonare cronica della madre e della sorella, tutte le estati della famiglia Alrutz si sono svolte nella stessa amena località termale, Bad Salzgitter. Lì Anna ha conosciuto Helene, l'amica di tutta la vita, e il pastore Rudinski, il suo primo amore impossibile. Ma Bad Salzgitter è anche il luogo dove si è formato il suo carattere, insolitamente forte, ossessionato dall'ordine e dalla disciplina. Nel 1927, dopo la morte della sorella, contravvenendo al volere della famiglia, Anna lascia Medicina per iscriversi alla nuova scuola per infermiere e diventa una braune Schwester. Richiamata a Gottinga dal suo ex professore, il ginecologo Hartmann, diventa la sua assistente personale e svolge con lui un compito molto particolare, voluto per decreto da Hitler: sterilizzare il più alto numero di donne, per "purificare" la futura razza ariana. Anna crede nell'ordine e nel benessere sociale che ne consegue ma quando nella clinica viene ricoverata l'amica Helene, apre gli occhi e quel che vede è, improvvisamente, l'orrore.
Siamo all'inizio del secolo scorso. La promessa sposa è giovane, arriva da lontano, e la famiglia la accoglie, quasi distrattamente, nella elegante residenza fuori città. Il figlio non c'è, è lontano, a curare gli affari della prospera azienda tessile. Manda doni ingombranti. E la sposa lo attende dentro le intatte e rituali abitudini della casa, soprattutto le ricche colazioni senza fine. C'è in queste ore diurne un'eccitazione, una gioia, un brio direttamente proporzionale all'ansia, allo spasimo delle ore notturne, che, così vuole la leggenda, sono quelle in cui, nel corso di più generazioni, uomini e donne della famiglia hanno continuato a morire. Il maggiordomo Modesto si aggira, esatto, a garantire i ritmi della comunità. Lo zio agisce e delibera dietro il velo di un sonno che non lo abbandona neppure durante le partite di tennis. Il padre, mite e fermo, scende in città tutti i giovedì. La figlia combatte contro l'incubo della notte. La madre vive nell'aura della sua bellezza mitologica. Tutto sembra convergere intorno all'attesa del figlio. E in quell'attesa tutti i personaggi cercano di salvarsi.
Stefano Benni sfida il racconto di genere e apre la porta dell'orrore. Lo fa con ironia, lo fa attingendo al grottesco, lo fa tuffandosi nel comico, lo fa tastando l'angoscia, lo fa, in omaggio ai suoi maestri, rammentandoci di cosa è fatta la paura. E finisce con il consegnarci una galleria di memorabili mostri. E allora ecco gli adolescenti senza prospettiva o speranza, ecco il Wenge, una creatura misteriosa che semina panico e morte, ecco il plutocrate russo che vuole sbarazzarsi di un albero secolare, ecco una Madonna che invece di piangere ride, dolcemente sfrontata, ecco il manager che vuole ridimensionare un museo egizio sfidando una mummia vendicativa. Stefano Benni scende negli anfratti del Male per mettere disordine e promettere il brivido più cupo e la risata liberatoria. E in entrambi i casi per accendere l'immaginazione intorno ai mostri che sono i nostri falsi amici, i nostri veleni, le nostre menzogne.