
Come può l'amore essere insieme la forza più creatrice e più distruttrice? Cosa siamo disposti a perdere per l'amore, cosa siamo disposti a mettere in gioco? È possibile che la completa felicità si riveli solo nella assoluta infelicità? A Ferrara, Alma e Maio, due fratelli adolescenti, vivono in una reciproca, incantata dipendenza. La loro famiglia è molto unita. La scuola è finita, l'estate inizia. Alma e Maio non lo sanno, di essere felici. Per Alma è un gioco quando propone al fratello di provare l'eroina. Una sola volta, l'ultima sera di libertà prima di raggiungere i genitori per le vacanze. Ma mentre lei passa indenne attraverso il veleno, Maio resta segnato. E un giorno scompare. Bologna, trent'anni dopo. Antonia che tutti chiamano Toni, è l'unica figlia di Alma. Vive con Leo, commissario di polizia conosciuto durante un sopralluogo per i gialli che scrive. Ignora tutto di Maio, la madre non le ha mai raccontato nulla: forse per proteggerla o forse troppo grande è il senso di colpa. Quando Alma viene a sapere che Antonia aspetta il suo primo figlio, non riesce più a mantenere il silenzio di cui si è fatta scudo. Toni si misura con una vertigine improvvisa: che cosa può fare di fronte a un segreto che ha cancellato ogni traccia del passato di sua madre, e quindi anche del proprio? Toni torna a Ferrara per cercare Maio. E nell'inchiesta su Maio si riflette il gioco delle generazioni, la cifra degli anni bui a cavallo tra Settanta e Ottanta, fino al destino stesso di Antonia. Come si fa a meritarsi l'amore?
Il dottor Capecchi, bibliotecario e storico a tempo perso, in cerca di una passione che gli accenda la vita, si sta dedicando alla stesura della biografia di Antonio Manca, uno dei più importanti politici italiani della seconda metà del Novecento, un padre della Repubblica. Ormai anziano e accudito da un infermiere, durante uno degli incontri con il suo aspirante biografo Manca pronuncia il nome di Enrico Foà, e le antenne del bibliotecario ne captano l'importanza. Chi era Foà? E perché non compare in nessun libro, in nessun archivio? Grazie a questo nome - e a una visita al Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano - Capecchi incontra Miriam, ebrea emigrata da decenni in Argentina. Lei Enrico Foà l'ha conosciuto. Lo ha amato. E lo ha perduto. E se quando si incontrano Miriam non confessa nulla a Capecchi, sarà proprio la sua voce registrata ad attraversare l'oceano grazie a una chiavetta usb svelandogli infine il segreto nascosto tra le pieghe del passato, nelle vie operose del Ghetto di Roma prima del fatidico 16 ottobre 1943, per le strade di quella città che a ogni angolo offriva a due ragazzi ardenti uno scorcio di speranza. Un amore forte come solo da giovani, e in guerra, lo si può provare emerge dal buio e ci consegna la chiave del proprio significato, della propria stessa fine, di una scelta radicale di cui il mondo non sentirà mai parlare.
È possibile dimenticare un grande amore per trovare la propria felicità? E giusto ripercorrere, a ritroso, gli eventi accaduti sulle coste orientali dell'Adriatico dopo la guerra, per restituire dignità ai vinti della Storia? Amori, amicizie, speranze sconvolte, sentimenti calpestati con quel breve tratto di penna che ha creato un nuovo confine sulla carta geografica. E si può dimenticare il dolore per iniziare una nuova vita? Lontano dalle rovine che hanno travolto la sua giovinezza, quando ormai pensa che i conti con il tempo trascorso siano chiusi, Gabriele riceve un misterioso invito che lo sfida a fronteggiare il passato. Decide, allora, di ritornare nella sua Fiume dopo che la Jugoslavia si è dissolta, perdendo la propria unità politica. Ritornare: cadere nelle braccia della nostalgia attraverso i ricordi era ciò che Gabriele in lunghi anni d'esilio aveva voluto evitare. Ma quell'invito, un semplice appuntamento scritto su una cartolina, diventa un inesorabile appello della memoria. Gabriele non si sottrae a questo richiamo e a Fiume ritrova il senso perduto della propria vita. La famiglia, il padre, l'impegno politico, il grande amore che ha continuato a solcare la sua esistenza riaccendono le luci sui momenti più appassionanti e drammatici della sua storia. Un romanzo struggente, ricco di colpi di scena eppure capace di soffermarsi con sguardo vigile e acutissimo su una delle più orribili lacerazioni del nostro tempo.
Arianna Sarris è una ragazza coraggiosa: vuole essere indipendente, studiare, lavorare. Ma, nella New York degli inizi del Novecento, per una giovane donna di origini greche non è facile percorrere la strada dell'emancipazione. Arianna trova lavoro nello zoo del Bronx proprio nel momento in cui arriva una nuova sorprendente attrazione: un pigmeo di ventitré anni, destinato a vivere insieme a orangutan e scimpanzé. Il suo nome è Ota Benga, ed è stato liberato dalla schiavitù da un missionario americano che ne è poi divenuto amico e lo ha portato con sé in America. L'esposizione di Ota Benga nella gabbia organizzata nel 1904 sull'onda di un'interpretazione distorta delle teorie darwiniane, secondo cui il pigmeo sarebbe l'anello di congiunzione tra l'uomo e la scimmia - ha un enorme successo e suscita al contempo violente proteste. Colta, sensibile e perennemente alla ricerca, Arianna entra in crisi di fronte a questa vicenda, che vive da vicino, anche perché uno degli organizzatori è il suo fidanzato. Questo è solo il primo passo di un cammino che la condurrà attraverso gli Stati Uniti e ancora oltre, incontrando uomini e cieli lontani, intrecciando con Ota Benga un silenzioso dialogo a distanza: per giungere ai confini del mondo noto e iniziare a scoprire che il tesoro più grande non è destinato a chi ha gli occhi pieni di certezze, ma a coloro che sanno coltivare il dubbio e la ricerca.
Trovare lavoro in Italia in tempo di crisi non è poi così difficile, basta capire come funzionano le cose. E Maristella, donna ambiziosa e calcolatrice rimasta presto vedova con un unico figlio da far arrivare in alto, lo sa bene, e sa che la prima cosa è "mettersi dietro il santo giusto". Ernesto si è finalmente laureato in economia e la sua spasmodica ricerca di un'affermazione personale nasce proprio dagli insegnamenti della madre che, cresciuta nei Quartieri Spagnoli di Napoli tra mille difficoltà. ha sempre accarezzato l'idea di un radicale riscatto sociale. In gioventù il suo debole per uomini carismatici e potenti aveva fatto incrociare la sua strada con quella di Alfonso Malatesta, che anni dopo sarebbe diventato un potente boss. Ernesto è il mezzo attraverso il quale Maristella può finalmente realizzare il suo sogno, e Malatesta potrebbe essere il santo giusto per sistemare suo figlio, trovandogli un impiego adeguato. E così avviene. D'altronde Ernesto ha ereditato da lei la determinazione e l'assenza di scrupoli: per diventare davvero qualcuno non bisogna mai mostrare debolezze, bisogna avere i peli sul cuore, e lui non esita ad applicare la lezione della madre nella sua nuova vita d'ufficio, tra grandi regalie e piccole meschinità. A ogni santo la sua candela racconta la rapida ascesa di un ragazzo convinto di potersi emancipare dalle sue umili origini inserendosi a ogni costo in un meccanismo che si fa sempre più pressante. Dove lo condurrà questa sua smania di farsi strada nel mondo? Stefano Crupi affronta senza moralismi e ipocrisie un tema di grande attualità, l'Italia del potere corrotto, delle scorciatoie e delle raccomandazioni. Il cuore del romanzo è però la storia vivida e spietata di una madre pronta a tutto per suo figlio e del loro rapporto simbiotico ed esclusivo.
Roma nord è benestante e borghese, è il regno delle Smart, delle scuole private, delle case a Capalbio. Roma sud è verace, i suoi cittadini sono "i romani de 'na vorta" e i giovani coatti tatuati e palestrati che sognano di ripetere le gesta del Libano, del Freddo e degli altri eroi di "Romanzo Criminale". Lo scontro tra due popoli tanto diversi, costretti a condividere un'unica città, è inevitabile. E i due grandi condottieri che li guidano non potrebbero incarnare meglio gli spiriti delle due metà della capitale. Alberto Gagliardi da adolescente era vittima di bullismo da parte dei compagni di scuola, ma con l'avvento dei social media il suo talento innato per la scrittura lo ha trasformato nel Dottor Milgram, un velenoso opinion leader che vendica i torti che ha subito al liceo. Nemmeno la giovinezza di Manlio Sabbatini è stata facile: le umili origini, le cattive compagnie, le prime rapine, un colpo andato male, l'arresto. Ma anche per lui è pronto il riscatto, perché nel 2012 vince il reality show "Tamarreide", diventando "il nono re di Roma dopo i sette canonici e Paulo Roberto Falcão". Al momento delle elezioni romane del 2018, con il comune commissariato per infiltrazioni mafiose, Albe fonda provocatoriamente il Partito indipendentista di Roma nord (PIRN), che chiede la secessione di Roma nord dal resto della capitale, e grazie a una cittadinanza esasperata da decenni di amministrazioni lassiste ottiene un risultato inaspettato.
"Io voglio cambiarlo, questo mondo sporco, o almeno cambiare me, che forse è anche più difficile." Abram Singer è un prete, un uomo che ha deciso di vivere per misurarsi con qualcosa più grande di lui, di credere in qualcosa per cui valga la pena di spendere l'intera esistenza. Questa è la lezione che ha appreso da sua madre, che lo ha cresciuto da sola dopo averlo concepito durante la passione breve e intensissima con un attore ebreo, artista di strada capace di costruire mondi interi con le parole. Così, nonostante le origini ebraiche testimoniate dal nome, Abram è entrato in seminario ed è diventato sacerdote, scegliendo di portare avanti il suo cammino pastorale e spirituale nel cuore di una città brulicante di vita come la New York degli anni Settanta. Lì trascorre le sue giornate in un impegno militante per gli ultimi della terra. Ma Abram è anche un uomo innamorato, di un amore terreno e carnale, per lui tormento ed estasi. Lisa accetta che lui sia un sacerdote, non gli chiede di scegliere, di lasciare l'abito. Lo ama nella sua fragilità e si lascia amare da lui quanto e come può. Al punto da rinunciare al figlio che hanno concepito. Un amore immenso e vissuto con strazio ogni giorno. Fino a che Lisa non si ammala, e Abram è il solo che possa starle vicino.
La vita di un professore non è mai facile: la noia nello sguardo degli studenti, la loro smania di guardare i cellulari durante la lezione, l'aria che, tra ormoni e finestre chiuse, si fa ben presto irrespirabile. E in più la consapevolezza che "gli studenti che vanno bene avrebbero buoni voti con qualunque insegnante; quelli che vanno male invece vanno male con te". È così anche per il protagonista di questo romanzo, un professore di Lettere, cinquantenne, vedovo, solitario, che da tempo ha perso la fiducia nell'incanto del suo lavoro. E di incanto non c'è nemmeno l'ombra nella rivoluzione messa in atto dalla nuova Dirigente scolastica, Lisa Bardella - un passato politico aggressivo -, decisa a razionalizzare la scuola in base ai più moderni criteri di valutazione e a renderla una vera e propria "Scuola della Felicità". Obiettivo principale è aumentare la "Fil", ovvero la Felicità interna lorda, ma anche, o forse soprattutto, recuperare iscritti. Nel frattempo, nell'istituto cominciano a verificarsi strani avvenimenti: chi si intrufola in piena notte per dipingere sulle pareti enigmatici murales di protesta? E perché gli studenti si sono divisi in due fazioni concorrenti, i Marci, contrari a quello che considerano un degrado dell'istituzione scolastica, e i Benesserini, sostenitori invece della Dirigente e dei suoi metodi? Un commovente romanzo di formazione, in cui ad affrontare un processo di profondo cambiamento non sono solo gli adolescenti, ma anche il loro insegnante.
Anche Luciano De Crescenzo, come tutti i comuni mortali, un giorno decide di imbiancare casa, con quel che ne consegue: sgombrare, riordinare, eliminare, inscatolare, in breve mettere ordine nel caos accumulato negli anni. "A darmi una mano" racconta "è stata mia figlia Paola. A un certo punto, tra le tante scatole ne ho ritrovata una che avevo messo da parte un po' di tempo fa, e in cui avevo conservato vecchie fotografie. 'Paola, vieni a vedere come sono belle queste foto! Ma chi l'ha fatte?' E lei: 'Chi può averle fatte se non tu!' 'Ora che mi ci fai pensare, forse fanno parte di quella serie di foto su Napoli che ho scattato negli anni Sessanta... Lo vedi com'era bella la nostra città? Paole', sient' a me , ogni luogo del mondo avrebbe bisogno di un po' di Napoli, perché Napoli non è una semplice città, ma uno stato d'animo!' La scrittura non è stata la mia prima passione... Prima di ricorrere alle parole, la Napoli dei quartieri, quella dei panni stesi al sole, dei numeri al Lotto, dei misteri, l'ho raccontata con la macchina fotografica. Il primo problema che mi ritrovai ad affrontare era come fotografare le persone senza bisticciare. Di solito fingevo di essere uno straniero, e per la precisione un tedesco. I napoletani sono da sempre gentili con i turisti, infatti mi lasciavano fare, senza opporre resistenza. Anzi, a volte si mettevano anche in posa. Alcuni scatti però, preferivo rubarli. Per farlo ricorrevo a due cascetelle di mia invenzione. Ora, per chi non è pratico della lingua napoletana, la cascetella altro non è che una piccola scatola. Le mie erano nere e di diverse dimensioni: una un po' più grande, simile a una valigetta quarantott'ore, e una un po' più piccola, quasi delle dimensioni di un borsello. Entrambe erano munite di una tracolla e di un foro per l'obiettivo. Mimetizzavo al loro interno la macchina fotografica, e grazie a un piccolo cavo che nascondevo nella manica della giacca potevo attivare lo scatto. Così passeggiavo per le strade della città e al momento giusto, quando una scenetta attirava la mia attenzione, spostavo la mano che copriva il foro dell'obiettivo e... click ! L'immagine era rubata. Un po' per nostalgia, un po' per il piacere di far conoscere anche ai più giovani la mia Napoli, ho deciso di raccogliere in questo libro una selezione delle foto ritrovate e inedite, e di accompagnarle con alcuni dei racconti che hanno contribuito alla mia carriera di scrittore. Volutamente ho deciso di non indicare i luoghi dove sono state scattate le foto, in parte perché a una certa età si fa fatica a ricordare, in parte perché mi auguro che, nel tentativo di riconoscere i luoghi, si presti più attenzione ai dettagli, scovando quei particolari che mi hanno fatto innamorare di una Napoli che secondo alcuni non c'è più. Che poi, come dico sempre, io di questa cosa non sono del tutto convinto".
Quarta raccolta poetica di Sergio Zavoli pubblicata nello "Specchio", "La strategia dell'ombra" conferma l'auspicio espresso da Carlo Bo all'uscita della prima silloge: «Zavoli aveva in serbo un discorso poetico che ci auguriamo lungo». Un lavoro poetico, quello di Zavoli, che mostra una nitida coerenza tra pensiero e linguaggio, mettendo in un decisivo risalto la maturità della sua vocazione. E, rivelandoci la zona rimasta "in ombra" dell'animo del poeta, i suoi versi non tendono ad alzare i toni, ma confermano una scelta profondamente e stilisticamente rigorosa. In questo nuovo libro c'è una forza e una grazia, un'ironia e una gravità che nelle intonazioni della "narrazione" più privata sono il frutto di un prestigioso impegno comunicativo, già incline a una ferma cultura dell'immaginazione e del reale, dell'esistenza e del civismo, del laicismo e della spiritualità, tali da non interrompere, semmai ribadire, l'esplicito giudizio di Carlo Bo, secondo cui «i versi destinati all'arcano disegno di una creazione che ci obbliga di continuo a una difficile scelta restituiscono bene una sorta di sacro allarme» di fronte all'«infinito bivio». Al quale «il padrone di tante voci umane - maestro del "mestiere di chiedere", per usare una sua espressione - allega una sfida consapevole e libera, mostrandosi con il suo volto tutto rischiarato, in una luce ancor più dichiarata e pura». "La strategia dell'ombra" ricrea, citandoli come in una sorta di diario, i segni di una sempre più sorprendente continuità tra le parole rivolte al passato, affrontando la loro complessa, ardua, non dirado drammatica contemporaneità.
Iacopo Melio è un attivista per i diritti umani e civili: presta la voce a chi non ce l’ha, a chi si sente sconfitto in partenza, a chi ha troppa paura per tirarla fuori, usando parole come «libertà» e «uguaglianza», «giustizia» e «dignità».
Rompiscatole per natura, a sovvertire regole e previsioni ha iniziato presto, scegliendo la vita. Iacopo ha venticinque anni e la sindrome di Escobar, una malattia genetica talmente rara che, secondo la scarsa bibliografia scientifica esistente, comporterebbe sintomi troppo vari per essere classificati. Essendo nato con la camicia, di sintomi ne ha una gran varietà: tra questi, uno straordinario senso dell’umorismo.
Armato di penna e arguzia, e di una pagina Facebook che conta oltre 600.000 followers, rema quotidianamente contro i pregiudizi e i luoghi comuni: bersaglia chi parcheggia nei posti per disabili pensando che siano un inutile favoritismo; chi è convinto che i venticinquenni in carrozzina rimangano bambini per tutta la vita (figuriamoci avere una ragazza); chi dà per scontato che quattro ruote servano per muoversi, ma solo in casa. Per questo, nel 2015 ha fondato #vorreiprendereiltreno, una onlus che si occupa di sensibilizzazione all’abbattimento delle barriere architettoniche e culturali attraverso progetti sul territorio e un’attività mediatica costante.
Faccio salti altissimi è un gioiello di buona scrittura e di autoironia. È un libro in difesa della libertà di essere se stessi, nel rispetto dell’unicità di ciascuno e nel superamento di un fuorviante, oltre che riduttivo, concetto di «normalità», che ci vorrebbe tutti uguali, matrioske prodotte in serie. Ma è anche la storia di un ragazzo come tanti, «pezzi di vita e sogni incollati addosso», con la testa piena di progetti e speranze.
Alle volte non è facile stabilire il confine tra colpa e innocenza. Che cosa succede quando il male ci viene inferto da chi dovrebbe difenderci? Chi è colpevole: colui che produce il male coscientemente oppure chi, in buona fede, crea danni e dolore anche maggiori? Il male è tanto più brutale quando si presenta dietro l'alibi del bene, tanto più violento quando è inconsapevole. È l'estate più torrida del secolo. Matteo, un ragazzino di dodici anni orfano di padre e grande appassionato di musica, è seduto in auto al fianco della mamma nel breve viaggio da un paese di campagna alla città vicina, dove sarà interrogato dal Giudice per un presunto abuso subito due anni prima. Un viaggio di formazione, un crescendo emotivo fino all'incontro fondamentale in quella che lui chiama la "Stanza delle parole". Giudice e Psicologa svolgono il loro necessario compito, ma proprio questo forse è alla radice del male che infliggeranno al "minore", come lo chiamano. Minore, appunto. Quasi fosse un dettaglio marginale di una storia tra adulti, in cui lui non è che una voce. Il viaggio di ritorno sarà breve, e segnerà per Matteo il vero spartiacque tra il mondo dell'infanzia e il suo trovarsi troppo presto "grande". Con questo strappo il ragazzo troverà dentro di sé la capacità di reagire e di riconoscere finalmente l'ambivalenza delle parole, come della vita. Scritta in una lingua discreta, in ascolto del vivido mondo interiore di Matteo, "L'innocente" è una storia portatrice di una delicatezza senza pelle, che pone domande, più che azzardare risposte. Un romanzo che tocca uno tra i temi più dolorosi e attuali della contemporaneità, raccontato dal punto di vista di un bambino. Un viaggio che accompagna il lettore dietro al velo fumoso delle parole, con lo stesso stupore con cui l'infanzia scopre il volto della realtà adulta dietro le apparenze.

