
Il titolo viene da un'usanza sette-ottocentesca di cui parla lo scrittore Giuseppe Rovani nel romanzo “Cento anni”: uomini di mondo si facevano dipingere la maschera di un noto personaggio del tempo, poi se la applicavano sul volto per stupire, infastidire o impaurire la gente per strada o nei salotti. Il protagonista, vissuto nella convinzione di assomigliare all'amato padre, scoprirà, alla fine, di essere identico al detestato nonno. Almeno nei tratti del volto. Le due figure del padre e del nonno sono l'oggetto di una doppia indagine da parte del narratore. Entrambi sono legati a un mistero: il padre a un inspiegabile suicidio, il nonno a una colpevole sparizione che ha generato sofferenza e senso d'abbandono. Entrambi sono legati a una figura femminile assente: il primo ne è il marito, il secondo il padre.
Fu una vita senza regole, quella di Chet Baker: il genio bellissimo e maledetto del jazz, l'uomo capace tanto di distruggere il proprio corpo con la schiavitù dall'eroina, quanto di far salire fino al cielo le note della sua tromba. E fu una vita tragica quella di Chet, conclusa il 13 maggio del 1988 con un volo da una finestra del Prins Hendrik Hotel di Amsterdam. Quasi vent'anni dopo, una mattina del 2006, il protagonista di questo romanzo riceve una telefonata che riapre il mistero su uno dei miti più controversi del Novecento: Chet non è morto, ma vive, come un eremita, nel cuore del Salento. E qualcuno giura di aver sentito la sua tromba suonare ancora. Sulle note di My Funny Valentine comincia un viaggio che spinge il protagonista a cercare di scoprire se quell'uomo è davvero Chet. Ad affiancarlo in questa ricerca, le donne che in gioventù conobbero il lato più imprevedibile e ribelle di quel "James Dean del jazz" e che oggi vegliano sul suo segreto. E sarà proprio grazie a Nathalie, americana trapiantata a Parigi, che potrà svelarsi il mistero di un artista straordinario che rappresentò il dolore di un'epoca e che negli ultimi anni della sua vita "ufficiale" si avvicinò agli insegnamenti di un mistico e filosofo armeno, Georges Ivanovic Gurdjieff, che sconvolse la vita di tutti coloro che lo conobbero. L'incontro con Gurdjeff segnò per il musicista e l'uomo Chet Baker l'inizio di un percorso di "resurrezione" dagli esiti sconcertanti e radicali.
Il 27 maggio del 1956, data inizio lavori, c’è una sola cosa: il coraggio di alcuni uomini, i soli capaci di immaginare e realizzare una via di comunicazione che unisca il Paese. Come la ferrovia negli Stati Uniti. Il 4 ottobre del 1964 una striscia di asfalto lunga 755 chilometri collega Milano con Napoli, il Nord con il Sud, la nebbia con il sole. Durante quegli otto anni un esercito di tecnici, manovali, ingegneri, architetti, dirigenti, progettisti, capocantieri ha combattuto senza sosta, dall’alto dei viadotti e nel buio delle gallerie, nel fango degli inverni e nell’afa delle estati, per mantenere la promessa della sua costruzione. All’interno di una rigorosa ricostruzione storica, mescolando personaggi d’invenzione e protagonisti reali, questo romanzo racconta la storia di quell’esercito e della sua strada. Ufficiali e soldati, uomini e donne, ognuno con un proprio sogno da rendere vero e una promessa a cui tenere fede. Tutti italiani, tutti con la schiena dritta, come la strada che debbono costruire.
Andrea è un giovane avvocato romano che ha cominciato dal basso ma che adesso ha uno studio avviato, una bella moglie e tre figli, la tessera del Circolo Canottieri e quella dello stadio... Quando, per fare un piacere a un amico, sceglie di seguire una causa di divorzio, ancora non sa quanto la sua vita è destinata a cambiare: scavare nell'esistenza di Fiammetta per poterla difendere dalle angherie del marito gli aprirà gli occhi su cose che non aveva mai voluto vedere. E piano piano le certezze che avevano reso solida la sua vita iniziano a sgretolarsi... Elena invece è single: separata, con un bimbo e di fatto dipendente dall'aiuto di sua madre, senza la quale la sua vita quotidiana andrebbe a rotoli. I tribunali, la miseria delle rivendicazioni, i ricordi in frantumi, i figli usati per tristi ricatti; ma anche la dignità di uomini e donne che rivendicano il diritto a essere felici e amati: un romanzo che racconta da dentro l'universo burocratico ed esistenziale del divorzio in Italia.
Un baba, un sadhu, è un uomo che ha rinunciato: la sua città è la giungla, il suo tetto è una grotta, il suo letto la terra, la sua acqua quella del fiume, il suo cibo le offerte spontanee. Il sadhu non vuole possedere niente, tiene acceso il fuoco, si dedica all'esecuzione dei riti che scandiscono la giornata in accordo con i ritmi della natura. A volte si illumina in un sorriso: e comunica con il divino. Baba Cesare - l'asceta italiano protagonista di questo libro -, dopo essersi ribellato a un'esistenza ordinaria, si è avvicinato al mondo dei sadhu indiani. Il suo percorso è molto diverso da quello che potremmo immaginare noi occidentali, abituati ai "processi di beatificazione" con i quali si cercano tracce di ascesi nelle vite di chi sfiora la santità. Dal mondo senza frontiere degli anni Settanta, attraversato dai magic bus che portavano in India passando per la Turchia, l'Iran, l'Afghanistan, il Pakistan, il suo cammino di uomo avventuroso e assetato di vita ci conduce fino a oggi, alle nazioni chiuse e blindate dei nostri tempi. L'incontro tra Folco Terzani e Baba Cesare dà vita a un libro unico - romanzo di avventure, viaggio spirituale, inchiesta su un mondo svelato nel suo fascino controverso, dialogo sul senso ultimo della vita -, le cui pagine possono essere lette come un imprevedibile mémoire, un postumo romanzo di formazione e insieme come un testo sapienziale dal passo umile ma rivoluzionario, in grado di cambiare il nostro modo di camminare per le strade del mondo.
Paolo Nespoli ha trascorso circa sei mesi nello Spazio. E da lassù, vivendo in assenza di gravità, in situazioni di emergenza, guardando la Terra dall'alto, ha capito alcune cose della nostra vita di tutti i giorni. In questo libro l'astronauta italiano racconta a noi che stiamo a terra le lezioni che lo Spazio gli ha insegnato. Con entusiasmo e chiarezza, con ironia e poesia. In orbita (e nella lunga e severa formazione da astronauta) Nespoli ha imparato nozioni pratiche e filosofiche. Vivendo in assenza di gravità, ha imparato ad assumere nuove abitudini, saper tornare bambino per apprendere di nuovo a vivere in una realtà in cui anche gli aspetti più scontati sono diversi dal solito. Costretto sempre al massimo della performance, ha imparato a lavorare in squadra, a gestire gli imprevisti, a ottimizzare il tempo, a riconoscere i propri limiti e fare tesoro dei propri errori. Ha imparato che i sogni vanno coltivati con cura, ma che a un certo punto, se si vogliono realizzare davvero, bisogna svegliarsi. Che se si guarda sempre avanti, se si punta sempre in alto, le stelle non sono poi così lontane. Mentre era sulla stazione spaziale, Nespoli ha comunicato con migliaia di "terrestri" attraverso i social network, trasmettendo informazioni, emozioni, e incantandoci con le sue meravigliose foto scattate da lassù. A volte bastano alcune immagini, selezionate e riproposte in questo libro, per capire con una vertigine come cambiano le cose osservate da un altro punto di vista.
A cosa serve un padre? E cosa resta di lui se non un mito? C'era una volta un'Italia attiva e industriosa, attraverso cui scorrazzavano sulle loro Alfa Romeo uomini di multiforme ingegno: gli imprenditori. L'ingegner Albinati era uno di questi, prototipo di una razza al tempo stesso serissima e scanzonata, di pionieri del benessere e fumatori accaniti. Ma la sua spinta vitale all'improvviso cambia di segno trasformandosi in malattia, che lo divora e se lo porta via in nove mesi, in una paradossale gestazione al contrario. "Vita e morte di un ingegnere" racconta il decadimento fisico e le ossessioni, le vane speranze, e poi tentennamenti, slanci e rimorsi. In una memoria di crudele precisione, nutrita di tutto il risentimento e dell'amore che si può nutrire verso un padre che non hai abbracciato una sola volta in vita tua, Edoardo Albinati ricostruisce la lunga fuga di un uomo talentuoso attraverso i corridoi del boom economico, i doveri della famiglia, le aspirazioni segrete e indicibili, e infine il male che obbliga a chiedersi: chi sono? Cosa ho vissuto a fare? Chi ho amato veramente? Ritrovato il ritratto del padre in frantumi, Albinati ha provato pazientemente a ricomporlo. Inseguendone la parabola umana negli anni dell'affermazione e poi nel doloroso epilogo, le sue pagine ridanno vita a una generazione di uomini instancabili che hanno costruito e al tempo stesso disfatto la loro vita, pagando questa impresa con un'incolmabile distanza dai propri figli.
Genova, 1942. Un colonnello dei carabinieri tormentato da un rimorso divorante. Un giovane psichiatra tedesco dagli occhi azzurrissimi e profondi, che nasconde un indicibile segreto. Un tetro manicomio, nella pace delle colline che si affacciano sul mare. Una donna bellissima e molto amata, preda di un demone oscuro che la induce a dipingere sul muro con il suo stesso sangue. Una serie di omicidi efferati. L'ombra della guerra, che si allunga su tutti come l'ala nera di una più grande follia. E la TEC, appena diventata di moda: terapia elettroconvulsivante. Elettroshock. Occhi imploranti, occhi spietati, occhi spalancati per il terrore. C'è poco tempo per fermare la follia che cresce. Quello che avete tra le mani è un romanzo dal ritmo serrato, che mozza il fiato, e un'indagine appassionata e dolente sulle menzogne dell'animo umano e sul coraggio necessario a svelarle. È un rigoroso romanzo storico e insieme un libro più che mai contemporaneo per la forza delle sue immagini, che scava nelle profondità dell'amore e della paura, senza chiudere gli occhi davanti a nulla.
Vienna, 1827. Un'immensa folla riempie le strade, riunita per l'estremo saluto al sommo musicista. Tra gli altri anche il giovane Gerhard von Breuning, scosso dai singhiozzi. Lui ha capito che Beethoven, l'uomo collerico, allergico a ogni servilismo, reso burbero dalla sordità, è colui che più di ogni altro ha saputo attingere dagli abissi primordiali dell'umanità il mistero del suono con cui la vita si dichiara. Tokyo, 1872. Mori Noboru rientra in Giappone dopo cinque anni in Europa. Ha studiato la cultura "barbarica" ed è uno dei più convinti fautori del nuovo. La filosofia e le tecniche più moderne dovranno ispirare l'era inaugurata dall'imperatore Meiji, insieme alla musica per pianoforte e alle sinfonie di Beethoven. Ma l'ostilità all'apertura verso l'Occidente cresce intorno a lui sino alla violenza. Solo l'amatissima sorella Yumi si lascerà contagiare dalla meraviglia arcana della musica insieme a Noboru, fino alla vertigine... Berlino, 1947. Il famoso direttore d'orchestra Wilhelm Furtwangler - reduce dall'umiliante "processo di denazificazione" per aver diretto i Berliner Philharmoniker negli anni hitleriani - giunge nella città colma di macerie, percorsa da figure della follia e del dolore e sente che le ombre della storia continuano a soverchiarlo.
Arno e Sara si incontrano da ragazzini e istintivamente si amano. Un pomeriggio d'estate lei lo lascia, dicendogli che "le piacciono gli amori infelici". Si ritrovano molti anni dopo, decidono di sposarsi: sono allegri, innamorati, sembrano felici. Arno è convinto di darle tutto se stesso e non si spiega le malinconie e le bugie che affiorano poco a poco. In fondo, la sua vita gli piace così com'è: suona il violoncello alla Scala, ha avuto tre figli dalla donna della sua vita, non si fa domande. Ma il disagio di Sara col tempo aumenta, finché una mattina Arno non sarà costretto da un evento inconcepibile a chiedersi chi è davvero la persona con cui ha vissuto tredici anni, la donna che ama da sempre. Con titubanza, inizia a seguire una pista di ferite giovanili e passioni soffocate e, con crescente sgomento, ritrova il bandolo di storie insospettabili. Può una donna restare con un uomo che pensa di amarla ma non ha mai voluto conoscerla davvero? Può un uomo accettare che sua moglie non si fidi di lui? Si può vivere senza esprimere se stessi? E come incide il dolore nelle nostre vite? Abbiamo tutti le stesse carte in mano?
Stanco di storie tristi, reali o immaginarie, Mauro Corona ha deciso che è arrivato il momento dell'allegria: basta disgrazie o morti ammazzati, esiste un tempo per la gioia. E quale modo migliore per rallegrarsi se non recuperando storie antiche perdute tra i boschi? "Barzellette letterarie" come quella di Rostapita, Clausura e Santamaria, riuniti per ammazzare il maiale ma troppo ubriachi per riuscirci davvero, o racconti che l'autore ha raccolto a Erto e dintorni, nei paesi e nelle osterie, come quello di don Chino, prete anziano, incapace di arrampicarsi fino alla casa più arroccata del borgo e di Polte che, per ripagarlo della mancata benedizione, quasi lo uccide lanciandogli addosso una forma di formaggio. Così, scolpiti dalle sapienti mani di Corona, momenti di vita di montagna, episodi tragicomici ed esilaranti diventano novelle, piccole grandi leggende da tramandare alle generazioni future.
Chi legge percepisce subito quanto l'autore si sia divertito nello scrivere - "come mi sono sempre divertito a fare libri, a raccontarmi storie per rimanere a galla" dice -, eppure lui stesso ammette di essersi accorto, procedendo nella stesura, di non essere stato fedele fino in fondo all'intento iniziale: a ben guardare, infatti, le storie raccolte in questo volume non sono tanto allegre. Traggono tutte origine da fallimenti, solitudini, tristezze, "ricordano gente semplice, vissuta senza luci di ribalta, passata al buio del mondo in silenzio". Ma proprio qui è racchiuso, forse, il senso profondo di queste pagine: con la sua scrittura scabra ma ricca di sfumature, con ironia, disincanto e un realismo unito a una intima partecipazione, Mauro Corona apre la sua coraggiosa "via" per la leggerezza, e ci invita a ritrovare la capacità di sorridere anche quando non sembra essercene motivo.
"Forse perché la vera allegria è prendere l'esistenza al contrario. Ridere a crepapelle là dove si dovrebbe piangere."
Francis e Zoe, che nel nome si ispirano ai personaggi di Salinger, sono fratello e sorella, diversi per carattere, ma legati da un affetto e da una complicità profondi. Francis è un giovane scrittore solitario e riflessivo; Zoe è una donna nel fiore degli anni, di professione interprete, affascinata dalle dottrine esoteriche, sempre in viaggio. Francis ha un progetto: scrivere un racconto su Katherine Mansfield, che Zoe, nonostante le sue molte letture, non conosce. Basta un accenno alla vita e agli amori della scrittrice a scatenare la curiosità di Zoe e a innescare tra i due un dialogo fittissimo, nella quiete sospesa e senza tempo di un grande giardino. Il fratello prende così a raccontare alla sorella l'inquieta e straordinaria esistenza di Katherine Mansfield. Nata nel 1888 in Nuova Zelanda, KM, come amava firmarsi, si trasferisce ventenne a Londra, e qui, attratta da amori folli e posseduta dalla perenne sensazione di trovarsi "agli antipodi", vive una vita libera e avventurosa, che prestissimo genera pagine di altrettanto febbrile scrittura, percorse da un'energia, una luminosità e una grazia che le renderà amatissime dai lettori, fino a oggi. Ma nel 1918 un medico dà infine un nome agli attacchi di tosse che tanto debilitano KM: tubercolosi. Sempre più fragile nel corpo, ma audace nella mente e pronta a ricorrere alle cure più sperimentali, per quanto dolorose, KM viaggia nel Sud della Francia alla ricerca di un clima mite.

