
''Ho sempre sostenuto che gli artisti che hanno compreso meglio Roma non erano romani (Fellini, Flaiano, Patti, Gadda, Pasolini, Amidei, Scola, Virzì, Sorrentino e tanti altri) e Abbate rientra nella regola. Questa 'guida turistica' anarchica, ma assolutamente lucida, è impressionante per la conoscenza profonda di luoghi, ambienti, simboli e uomini. Tutti studiati e raccontati da un'angolazione non convenzionale. Assolutamente geniale aprire il primo capitolo con il nastro trasportatore bagagli dell'aeroporto di Fiumicino: il caos come introduzione alla città degli imperatori, alla capitale delle buche assassine e delle macchine in terza fila davanti al bar per la colazione. La Roma sfregiata dalle scritte, la Roma delle Indulgenze Plenarie, delle chiese vuote, delle consolari piene di zoccole, la Roma dei delitti senza risposta, dei condoni, dei palazzinari, dei primari, delle primarie, della P2, della P3 e delle P38. La Roma delle stanze di Raffaello e delle stanze di Palazzo Grazioli. Sacralità e profanazione perenne s'inseguono senza tregua in questo giro turistico che Fulvio Abbate compie, divertito e un po' basito, per il nostro diletto. E tutti noi gliene siamo veramente grati.'' (Dall'introduzione di Carlo Verdone)
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Lui è come una bestia: sente il tempo che viene. Lo fiuta. E quel che fiuta è un'Italia sfinita, stanca della "casta" politica, dei moderati, del buonsenso. Allora lui si mette a capo degli irregolari, dei cialtroni, dei delinquenti, degli avventurieri, degli incendiari e anche dei "puri", che sono i più feroci e i più fessi. Da un rapporto di Pubblica Sicurezza del 1919 lui invece è descritto come un uomo «intelligente, di forte costituzione, benché sifilitico, sensuale, emotivo, audace, facile alle pronte simpatie e antipatie, ambiziosissimo, al fondo sentimentale». Lui: Benito Mussolini, ex leader socialista cacciato dal partito, agitatore politico indefesso e direttore di un piccolo giornale di opposizione, è un personaggio da romanzo. Sarebbe un personaggio da romanzo, se non fosse l'uomo che più d'ogni altro ha marchiato a sangue la realtà, il corpo dell'Italia, nella storia e nella cronaca, nella tragedia e nella farsa. E infatti la saggistica ha finora dissezionato ogni aspetto della vita di Mussolini. Nessuno però aveva mai trattato la parabola politica, umana, esistenziale di Mussolini e del fascismo come se si trattasse di un romanzo. Un romanzo in cui d'inventato non c'è assolutamente nulla. Un'opera che ci conduce a rivivere passo per passo il ventennio che ha cambiato per sempre la nostra storia.
Il 12 settembre 1910, alla Neue Musik-Festhalle di Monaco, Gustav Mahler dirige la prima esecuzione della sua Ottava Sinfonia, interpretata da un organico di quasi mille elementi. In platea, un pubblico d'eccezione: da Henry Ford a Thomas Mann fino alla bellissima Alma, moglie del compositore. Meno di un anno dopo, in maggio, Mahler si spegne a Vienna. Ha solo cinquant'anni. Nelle stesse ore, mentre la primavera scioglie le nevi sui prati del Tirolo, una ragazza segue i suoi ultimi istanti attraverso la stampa, commossa eppure consapevole che per Gustav giunge finalmente la pace. Lei è Marie, nipote quindicenne dei proprietari del maso dove Mahler ha trascorso le ultime tre estati, incaricata di accudirlo quando il Maestro ha disdegnato le undici stanze della casa e scelto per sé la più bizzarra delle sistemazioni: una capanna in mezzo al bosco, lontano da tutto. Piano piano, nel silenzio, il candore della fanciulla e il tormento del musicista hanno dato vita a un dialogo capace di rivelarli a sé stessi. "Io credo nel bene, non nel male; però non riesco più a credere nella sua vittoria, e soprattutto non riesco a credere nell'ordine. Forse per questo non ho mai voluto scrivere una vera sinfonia, ma il rimpianto di quella forma, che sentivo così prossima al tramonto" dice il Maestro. E Marie, che di musica non sa nulla, può mostrargli però tutti i colori della foresta al crepuscolo. Una figura immensa e piena di ombre, quella di Mahler, che Paola Capriolo delinea per noi con mano lieve e luminosa, lungo pagine rivelatrici che sono un apologo sull'amicizia tra generazioni, sulla possibilità di incontrarsi e rinascere se ci si ascolta davvero.
Costanza non è vecchia però presto lo sarà. Convinta che il terzo tempo sia da vivere pienamente, senza mai smettere di cercare la felicità, ne scrive con spirito battagliero in una rubrica. "Insegno malinconia positiva. Soffrire da vecchi è la regola. Soltanto i vecchi speciali ce la fanno. E i vecchi speciali sono quelli che stanno bene." Quando eredita dal padre un austero ex convento a Civita di Bagnoregio si lascia prendere da un progetto vagamente sconsiderato: radunare in quella casa bella e nuda, incastonata in un luogo simbolico che si sfalda lentamente, i compagni con cui giovanissima ha condiviso a Milano la vita e l'impegno politico, per ricreare una comune, una famiglia larga in cui spartire gli affanni e discutere del futuro perché un futuro c'è sempre, fino alla fine dei giochi. È un tentativo di tornare all'età delle illusioni, "la leggenda d'aver ragione che ha nutrito la nostra seconda infanzia"? Energica, accentratrice, un po' egoista, Costanza è il magnete da cui tutti finiscono per essere catturati: gli amici di un tempo, con i loro dolori, le rivalse, i fallimenti; il compagno di una vita, Dom, che lei ha scelto di allontanare ma che la sorveglia con la tenacia di un'affettuosa sentinella; il figlio Matteo, che cova da grande distanza un suo carico di pena. Mentre tutti convergono su di lei, Costanza si sente soffocata dall'enormità del suo disegno. Riuscirà a portarlo a compimento? È proprio sicura di volerlo? E che cosa succederà?
Anita se n’è andata ponendo fine a un amore che sembrava dovesse durare per sempre. Milan è impreparato, triste, preso da rimorsi e nostalgie che lo inducono a raccontarsi, quasi per consolazione, come sarebbe stato quell’amore se invece di incontrarsi a sessant’anni lui e Anita si fossero conosciuti da ragazzi. Il tempo trascorso insieme ha lasciato in Milan una traccia profonda. Negli alti e bassi della loro storia d’amore ci sono stati viaggi, incontri, passioni. La scomparsa di persone care e importanti ha offerto l’occasione di meditare su che cosa accadrà dopo la morte, di chiedersi se farsi cremare o farsi seppellire. Intorno a queste alternative si aprono discussioni, riflessioni, fatti imprevisti. Dal passato e dalle storie degli altri affiorano episodi curiosi, anche comici, e l’aldilà possibile viene trattato come se fosse la continuazione della vita, come se si trattasse semplicemente di scegliere un luogo dove fermarsi, di darsi un’altra tappa nell’esistenza. Un romanzo acceso da lampi di ironia, attraversato dalla tenerezza dei ricordi: la fine di un grande amore e la fine dell’esistenza terrena si intrecciano fluidi con una serenità che non è distacco olimpico ma assunzione piena, complicata e contraddittoria della fragilità della vita e dei sentimenti.
Alain Elkann è nato a New York nel 1950. Nei Tascabili Bompiani sono disponibili Montagne russe, Il tuffo, Piazza Carignano, Stella Oceanis, Boulevard de Sébastopol e altri racconti, Il padre francese, Rotocalco, John Star (Premio Cesare Pavese 2002), Delitto a Capri, Una lunga estate (Premio Internazionale Tarquinia - Cardarelli 2003), MoMo, Mitzvà, il cofanetto Essere ebreo, Cambiare il cuore, Essere Musulmano (Premio Capalbio 2005), Vita di Moravia, Emma, intervista a una bambina di undici anni, L’invidia (Premio Letterario Mondello – Città di Palermo 2006), L’intervista 1989 - 2009, L’equivoco (Premio Acqui Terme 2009), Diario verosimile, Nonna Carla, Hotel Locarno e Il fascista.
I "Nuovi racconti romani" di Alberto Moravia sono stati scritti tra il 1954 e il 1959 e costituiscono la naturale continuazione del discorso avviato con i precedenti "Racconti romani", considerati dalla critica centrali nella produzione moraviana. Anche nei "Nuovi racconti romani" il mito proletario influisce non soltanto sulla visione del mondo, ma anche sulla scrittura che è leggermente "romanesca" come appunto il linguaggio corrente di Roma che non è più affatto dialettale come ai tempi dei Belli, ma appena velato da un superstite accento locale. La vastissima compagine di questi racconti, una vera e propria commedia umana, può apparire anche come una puntigliosa verifica della disfatta che insidia i propositi della vita.
Si narra che la Sibilla, adirata contro le fate che ballavano con i pastori, avrebbe scagliato loro le pietre che divennero poi il paese di Arquata: pietre destinate a rotolare drammaticamente di nuovo, durante il terremoto. Le sorelle Nadia e Olga si sentono a casa proprio qui, in questa terra che si muove, e che scendendo dai Sibillini verso il mare si fa campagna. Qui il loro papà ha trascorso la vita lavorando la terra, per questo ancora oggi la famiglia viene trattata con rispetto. Ma adesso tutto è cambiato. L'amore e il lavoro le hanno portate lontano, i figli sono cittadini del mondo. La gente vuole fragole e susine anche a gennaio. È una nuova stagione. E, per loro, è tempo di separarsi dalla terra. Inizia per le sorelle un viaggio a ritroso, nella memoria, e uno reale, attraverso gli incredibili colloqui con i possibili acquirenti del terreno, ex mezzadri arricchiti o emissari di multinazionali della frutta; tutti maschi, tutti ambigui, tutti apparentemente incapaci di capire quanto male facciano le radici, quando bisogna tagliarle.
Emma ha davanti a sé una giornata speciale: niente scuola oggi, niente ragazzi difficili a cui dare una possibilità di riscatto. Andrà invece all'incontro con Carlo, il grande amore della giovinezza. Sono vissuti insieme a lungo, finché lui, sempre meno idealista e sempre più ambizioso, ha scelto di andare all'estero per inseguire i suoi sogni di gloria; e lì la loro storia si è fermata. Emma è ostinatamente rimasta fedele ai suoi ideali. Ha da tempo un compagno, un sindacalista ardente, e un mestiere, quello dell'insegnante in una scuola di borgata, che la appaga. Eppure i diari della sua vita di prima sono sempre lì, a raccontare un tratto di strada che, nel bene e nel male, l'ha segnata profondamente: il primo tratto di strada, quello che non si scorda mai. Buffo, appassionato, irripetibile. Ora che Carlo torna per incassare anche in Italia il successo del suo film, ispirato proprio agli anni della giovinezza condivisa, sono tante le cose che Emma sente di dovergli dire. Una su tutte, un segreto lungo vent'anni che ha tenuto per sé e che è venuto il momento di svelare. Dopo lunghi e accurati preparativi, che danno conto della solennità del momento per lei, Emma sale sulla bici e corre all'appuntamento con Carlo. Lui la aspetta seduto al bar quando un incidente in presa diretta sospende tutto e lascia la vita di Emma appesa a un filo. Le cose non dette restano non dette. Ma il passato preme, e Carlo, disperato, si ritrova a confronto con quello che sa e quello che non sa. Soprattutto con un'esistenza possibile a cui ha voltato le spalle. Ci sarà il modo e il tempo di aggiustare ciò che si è rotto, di ricostruire, di riprendersi un po' di quel grande amore che ha attraversato tutta la loro vita senza mai placarsi?
Il ragazzo corre nella notte d'inverno, sotto la pioggia, scalzo, coperto di sangue non suo. Chiamiamolo L.B. e avviciniamoci a lui attraverso gli anni e gli eventi che conducono a quella notte. A guidarci è la voce di una giovane donna brusca, solitaria, appassionata di letteratura, e questo romanzo è memoria e cronaca del confronto con la scomparsa del padre, con ciò che è rimasto di un legame quasi felice nell'infanzia felice da figlia di genitori separati, poi fatalmente spinoso, e con la tardiva scoperta della vicenda giudiziaria che l'ha visto protagonista. Chi era quello sconosciuto, L.B., il giovane sempre dalla parte dei vinti, il medico operaio sempre alle prese con qualcuno da salvare, condannato al carcere per partecipazione a banda armata? E perché di quel tempo - anni prima della nascita dell'unica figlia - non ha mai voluto parlare? Testimonianze, archivi e faldoni, ricordi, rivelazioni lentamente compongono, come lastre mescolate di una lanterna magica, il ritratto di una persona complicata e contraddittoria che ha abitato un'epoca complicata e contraddittoria. Torino è il fondale della lotta politica quotidiana con le sue fatiche e le sue gioie, della rabbia, della speranza e del dolore, infine della violenza che dovrebbe assicurare la nascita di un avvenire radioso e invece fa implodere il sogno del mondo nuovo generando delusione e rovina. Il romanzo di un uomo, delle sue famiglie, delle sue appartenenze, la sua vita visitata con amore e pudore da una figlia per la quale il mondo si misura e si costruisce attraverso la parola letta e scritta.
Con questo testo l'autore si sofferma in un bilancio autobiografico. Con un di più di azzardo letterario, ma anche con un forte pessimismo politico, che ripercorre eventi pubblici e privati secondo itinerari nei quali storia e autobiografia vengono distanziati vertiginosamente, tradotti in un'amara favola enigmatica.
Molte pagine di questo libro possono essere lette come un diario o come un delirio, una narrazione dove si confondono realtà e immaginazione, passato e presente, eventi gravi e futili. Si direbbe che l'autore abbia voluto concludere il discorso dei sui scritti precedenti esaurendo in una specie di trilogia un'esperienza di vita. L'inizio del racconto: "Giano ha cento anni e ha deciso di sedersi sotto un nespolo a contare i giorni senza più cedere alle tentazioni mondane. Gli sembra una decisione assennata e adeguata alle circostanze. Non farà nulla e lascerà vagare i suoi pensieri come nuvole oltre il fogliame. L'estate è una stagione che favorisce questa disposizione d'animo. I castagni e i faggi delle colline sono più ombrosi di un nespolo..."