
Stefano Benni scrisse "Blues in sedici" dieci anni fa, prendendo spunto da un fatto di cronaca degli anni Ottanta. Questa ballata blues era stata pensata per essere letta in pubblico e infatti la sua prima pubblicazione ha conosciuto molte versioni teatrali. Ora il testo viene riproposto con alcune variazioni che la lettura e, soprattutto l'accompagnamento musicale di Paolo Damiani, hanno suggerito. Protagonisti di questa drammatica storia sono l'Indovino cieco, il Padre, la Madre, il Figlio, Lisa, la Città, il Killer, il Teschio. Otto voci che tornano in scena due volte, a cantare ciascuna il dolore, la rabbia, la disperazione, la speranza.
Il libro presenta terribili testimonianze di vita, direttamente raccolte nelle carceri, nelle comunità di recupero, per le strade, da giovani violenti. Contro la frequente e comune rimozione sociale che accompagna il proliferare dei comportamenti giovanili violenti, criminali, devianti, Paolo Crepet tenta di comprendere, e far comprendere, da dove traggano origine tali condotte e, al di là del contesto degradato, suggerisce quanto anche il decadimento delle nostre relazioni affettive e l'indisponibilità all'ascolto possano influire sulla diffusione della criminalità tra i giovani.
Le storie raccolte nel volume parlano tutte di silenziose vicende di una stessa inesorabile discesa verso il niente: due vicini, separati solo da una siepe, che non si conosceranno mai ("Il muro verde"); un padre e un figlio incapaci di intendersi e in conflittuale rapporto tra loro ("Un padre troppo giovane"); un ragazzino che scopre il significato profondo della parola "fortuna" ("I due figli di Zelinda"); un uomo che, ammalatosi, perde il gusto del vivere e, una volta scoperto che guarirà, la necessita della vita ("Cinque lettere di addio"), e così via.
Nel 1995 Clara Sereni accettò la carica di vicesindaco a Perugia. Da questa esperienza, conclusasi con sofferte e motivate dimissioni, sono nate molte di queste "note" che, quantunque concepite per le pagine di un quotidiano, o scritte per convegni e occasioni pubbliche, assumono una precisa fisionomia di taccuino morale e politico. Diario pubblico e diario privato, questo "Taccuino di un'ultimista" parla di donne che si confrontano con il potere senza intaccare la loro identità, di banche del tempo che retribuiscono occupazione e competenze, di handicappati che conquistano la dignità di essere utili, di una comunità che si muove a partire da microprogetti e alla rete di questi microprogetti affida la ricostruzione di una possibile società civile.
Intorno a un caso di cronaca si dipana la storia di un uomo che va ammazzando giudici e di un poliziotto che diventa il suo alter ego, in un paese del tutto immaginario e che tuttavia ricorda molto da vicino l'Italia, la Sicilia. Qui non vi sono più idee, i principi vengono calpestati, le ideologie si risolvono in mere denominazioni del gioco delle parti in politica, e su tutto domina un potere che "sempre più digrada nella impenetrabile forma di una concatenazione che approssimativamente possiamo dire mafiosa". Quello che doveva essere un "divertimento", una parodia, diviene un racconto molto serio via via che si delinea la successione di assassinii e funerali che scandisce la vita pubblica.
Luisa è capocontabile in una fabbrica di giocattoli del Nord Italia. E' una donna di sessant'anni, energica e dolce, molto stimata nel lavoro. La sua solitudine è popolata da pensieri semplici e profondi, da ricordi belli e brutti. Nel complesso è convinta di aver avuto una bella vita. All'improvviso accade qualcosa. Oscure presenze invadono la sua casa: il telefono squilla di stupide telefonate anonime, i ragazzi del bar di sotto la torturano con il chiasso e il rombo delle motociclette; il suo corpo perde l'abituale efficienza. Il suo rifiuto delle cure ha motivazioni profonde. Le sembra più facile fare tutto da sola. Succede allora che lo sprofondare nel buio del destino si trasforma in scrittura.
Una cronaca che, di fatto, è già storia: Tangentopoli, l'interminabile eutanasia della cosiddetta Prima Repubblica (morta per Via Giudiziaria) e lo stentato parto-aborto della Seconda (nata per Taglio Maggioritario e già finita in metastasi). Tra governi tecnici a base allargata e "discese in campo", pressati dal nuovo che avanza e da tutto il vecchio che è avanzato, e che perciò torna alla carica, Michele Serra presenta una galleria di macchiette e di eroi di giornata; nomi nuovi, curricula seminuovi e facce decisamente già usate: Il Sempreduro Bossi, il Minaccioso Pannella, il Miliardario Ridens... Ma nei testi di Serra non c'è solo politica, ma anche i suoi grotteschi copioni e i suoi stralunati figuranti.
L'autore racconta questa avventura di esplorazione, sul piano sensoriale e su quello intellettuale, fatta di scosse e di rimescolamenti, di un europeo trapiantato con tutto il proprio carico concettuale dal Vecchio Mondo nella sconosciuta Chicago. Come un detective, l'autore si trova d'improvviso a indagare i vari piani di realtà, esterni e interiori, che scopre via via che si addentra nella città che più di tutte porta i segni dell'"americanità". Il racconto ci trasmette un misto di sconcerto e commozione, ma il sentimento prevalente resta la meraviglia che afferra il lettore davanti ai protagonisti della storia americana, a questo popolo nuovo e giovane, e lo stupore non privo di sgomento innanzi alla potenza del capitalismo.
Un killer "per bisogno" disadattato e nostalgico, la vita da clandestino nella Parigi degli anni Ottanta, un semplice omicidio su commissione che si trasforma in una trama complessa e carica di reminescenze del passato, un'amicizia che è complicità, una fuga in Messico: la storia di Andrea Durante. Un racconto un po' nero, un po' giallo, che non si prende troppo sul serio mentre sciorina un sfilza di morti ammazzati, in un mondo popolato di personaggi squinternati, moderni, vinti e nuovi emarginati che si improvvisano assassini perché non hanno altro da fare.
Nella sua carriera giornalistica Camilla Cederna è stata una commentatrice d'eccezione, una cronista acuta e pungente e una delle più intransigenti e spregiudicate accusatrici della corruzione e dei misteri italiani. Analizzando un periodo fondamentale per capire gli sviluppi ulteriori della società italiana, l'autrice ci illustra i soliti "discorsi" che si fanno, le caratteristiche ricorenti di vari tipi umani, le mode, le abitudini, i gerghi, gli usi e i costumi che hanno fatto un'epoca. I commenti qui raccolti sono apparsi per la prima volta nella sua rubrica settimanale su "L'espresso", intitolata appunto "Il lato debole", e sono ormai diventati un classico del gi di costume.
Il romanzo è una grande favola storica che ha per sfondo lo scenario operaio del porto di Genova e quello primitivo di un isola del Pacifico. Giacomo è uno stranito sacerdote, inviato come missionario nel Pacifico. A Moku Iti, sotto il suo nero vulcano, Giacomo impara la febbrile indolenza di un popolo che - lui lo sa bene - non ha bisogno della sua religione. La figlia di re John, Lucy, gli cresce accanto, bella, forte, avviata ad un destino di regina bambina. Giacomo e Lucy si dicono, muti, le parole indecifrabili che fanno da ponte fra due civiltà, fra due storie, fra due mondi, l'uno e l'altro minacciati dalla fine, ma entrambi depositari di un'ultima ricchezza, di un'ultima folgorante, disadorna verità.