
Una biografia a vignette. Con un tratto delicato, quasi melanconico, Paulesu reinventa un Gramsci che ha i tratti di un bambino. Capelli in disordine, occhiali, braccia lungo il corpo: sembra lo scolaro modello dei libri di lettura, sembra un personaggio che viene da lontano. "Sono sardo, sono gobbo, sono pure comunista. Dopo una lunga agonia in carcere, spirerò. Nino mi chiamo." Così si presenta nella prima vignetta, e a quella seguono altre che di Gramsci ripercorrono le idee, le riflessioni, le lotte, gli amori. Fra gruppi omogenei di vignette l'autore inserisce sequenze di testo che raccontano la vita dell'uomo o citano passi importanti delle opere del politico e dell'intellettuale. Ne esce un libro del tutto originale che ci guida, come all'interno di un ideale museo (non monumentale, non celebrativo), dentro la vita, il pensiero, e l'eredità umana e politica di Antonio Gramsci.
Questo libro è il resoconto di una serie di conversazioni nelle quali Gianni Mura ha raccontato a Marco Manzoni cinquant'anni di giornalismo, cinquant'anni di incontri, cinquant'anni di vita. Il leitmotiv (che fa il verso all'epo, la droga più utilizzata nel ciclismo) è "epu", vale a dire etica, passione, umanità. Un acronimo che racchiude l'essenza dello sport. E non solo dello sport. Il bel calcio, il ciclismo epico, l'impresa del più debole nascono da lì. Come la bellezza dello sport: una bellezza che è insieme tecnica, estetica ed etica. Come la sua umanità: la speranza, il sogno, ma anche la fatica, la sofferenza e la sconfitta, che dello sport è la zona d'ombra. Ma Gianni Mura ha tanti altri amori: la convivialità, la Francia, la canzone d'autore, i libri, la poesia, il teatro. Qui ci sono tutti, e ci sono gli uomini e le donne che ha incontrato. Siamo di fronte a un viaggio, ma sarebbe più esatto definirlo un tour. Che parte dal giornalismo sportivo, entra in una ballata di Léo Ferré, si profuma di zafferano, senza mai dimenticare i diritti civili.
Erri e Paolo sono entrambi napoletani. Sono diventati amici. Anche se Paolo vive e lavora in California. Erri comincia a scrivere, e Paolo risponde. Ne nasce una sequenza di missive in cui si parla di dna, di orologio circadiano, di olfatto, dei ritmi che cadenzano le risposte del corpo e della psiche alle sollecitazioni ambientali, e più in generale all'universo. Gli studi di Paolo Sassone-Corsi hanno a che fare, per l'appunto, con i geni clock che producono proteine all'interno di ogni cellula, accendendo risposte cicliche che governano le nostre funzioni fisiologiche. De Luca interroga, sollecita, provoca l'amico lontano. Sassone-Corsi cerca sintonie, spiega, si sottrae alla condizione segregata e oscura dello scienziato. Con leggerezza il clima fraterno del carteggio prende la forma di un'avventura dello spirito, Erri e Paolo sanno entrambi che la nettezza di certe risposte scientifiche corre accanto a un mistero che è ragione del sapere ma anche condizione umana. "Perché siamo qui?" è pur sempre la domanda e la risposta che poesia e scienza continuano a condividere.
E così accade che una studiosa come Chiara Frugoni lasci i sentieri della ricerca e torni a quelli di ciottoli che conducono a Solto, un piccolo paese dell'alta bergamasca, e alla casa dei nonni materni, dove ha passato tutte le estati della sua vita. Vi torna per raccontare un tempo che è stato quello dell'infanzia. Con un fortissimo senso delle radici e affidandosi alla nettezza dei sentimenti, Chiara Frugoni ricorda questo villaggio contadino prima della sua definitiva trasformazione: attingendo soprattutto a memorie private, ai personaggi famigliari che vogliono uscire da fotografie e quadri per prendere la parola e tornare a ripercorrere i propri destini. Chiara Frugoni illumina i bellissimi occhi chiari dello zio dottore, elegante anche per sentieri e strade infangate, scolpisce la laboriosa severità di Censo, il falegname, evoca la ruvida nonna Teresa e il pio nonno Serafino, si attarda su Diodata, sorella del nonno, scrittrice travolta dalle teorie dannunziane, vessillo di un'emancipazione senza libertà, morta chiedendo una coppa di champagne, rammenta in un nostalgico ritratto la misteriosa nonna Dina. La costellazione di personaggi si complica e si approfondisce lungo un arco temporale di un secolo. In questa "autobiografia con figure" si dispiega un mondo scomparso che è chiamato a dirci di cosa non deve andar priva la nostra memoria.
Nei due estremi e intensissimi anni della sua vita (1955-57) Giuseppe Tomasi di Lampedusa mise insieme non solo gli otto capitoli del "Gattopardo", ma anche tre racconti e uno scritto di carattere autobiografico. Solo recentemente, però, in seguito al ritrovamento di alcuni manoscritti originali, è stato possibile sottoporre i testi brevi a una rigorosa verifica filologica e, in particolare, ricostruire nella loro interezza i "Ricordi d'infanzia", che ora acquistano una maggiore corposità. Il presente volume si apre appunto con i "Ricordi d'infanzia", scritti nell'estate del '55, che, come spiega Gioacchino Lanza Tomasi nella prefazione, "ci dischiudono il laboratorio dello scrittore al tempo del 'Gattopardo'". Segue "La gioia e la legge", un breve apologo, perfetto di tono e di misura. Ma il racconto più celebre della raccolta è senza dubbio "La Sirena" (precedentemente con il titolo imposto dalla vedova dell'autore, "Lighea"), scritto dopo una gita lungo la costa meridionale della Sicilia. Al centro della favola, al limite tra il reale e il surreale, si accampa un personaggio formidabile: il vecchio professor La Cura, il quale, da giovane, conobbe l'amore della Sirena, e non poté più gustarne altro. Chiude il libro "I gattini ciechi", che, dei tre racconti, è il più vicino come materia al "Gattopardo", sebbene sia nato come capitolo iniziale di un nuovo romanzo, del quale ha mantenuto il titolo. Introduzione di Gioacchino Lanza Tomasi.
Ti proibisco di scrivere di me, intima Philip Roth. Per Livia Manera dovrebbe suonare come un divieto, ma è di fatto un'istigazione ad abbattere la barriera che divide l'intesa umana e l'invenzione letteraria, è uno stimolo ad attivare la memoria di sé e la memoria lasciata dalle tante letture e dalle parole chiave che hanno aperto la porta su un territorio in cui vita e letteratura si mescolano. Livia Manera racconta storie di incontri con i "suoi" scrittori americani, storie di complicità, amicizia, consuetudine, amore. Racconta la New York degli intellettuali che vi sono rimasti, la Parigi di quelli che se ne sono andati, i colori del Maine e il respiro del Midwest. Ci lascia intravedere isolate residenze di campagna, appartamenti impeccabili, strade di Manhattan imbiancate dalla neve, uffici spogli di celebri redazioni, case raffinatissime e monolocali desolati, stanze d'ospedale, caffè parigini, fast food ai margini di un'autostrada. Con il garbo di una scrittura che fa dell'io narrante la sonda e lo specchio, la talpa e la luce, il mondo della letteratura americana diventa la scena di un'esistenza che continua a cercare nelle domande e nei dubbi una strategia di saggezza. E così che ci vengono incontro, con una trasparenza nuova, le figure di Philip Roth, Richard Ford, Paula Fox, Judith Thurman, David Foster Wallace, Joseph Mitchell, Mavis Gallant, James Purdy, ma anche, in controluce, quelle di Carver, Richler e Blixen.
Dentro il labirinto della sclerosi multipla che ha cominciato a consumarlo da giovane, l'io narrante ripercorre le stagioni della sua vita. Lo fa mescolando secondo una progressione non lineare gli anni della giovinezza (la famiglia cattolica, gli studi universitari, le ragazze, il vento della protesta), la formazione culturale e politica, il lavoro come giornalista, il presente della malattia. Il ragazzo che voleva essere un poeta come Montale e che conquistava le ragazze senza fatica è ancora desto e per tutto il tempo della sua ricognizione narrativa "dialoga" con Daria, misteriosa interlocutrice, divisa fra provocazione e imperio, scomposta e controcorrente, presente sempre e assente per definizione. Daria è un fantasma che lo aiuta a tener legato il tempo della malattia e quello, ricchissimo, della sua esistenza. Gli anni di Lotta continua, lo strappo ai tempi della morte di Calabresi, il matrimonio, il lavoro nei giornali, il riflusso, le scosse telluriche della società degli anni ottanta, i ricchi salotti milanesi, il rigore dell'informazione, l'astro dell'imprenditore Berlunesque, la fabbrica dell'obbedienza. Con sapida ironia e dolenti aperture contemplative, il narratore si chiede se il tempo della politica non sia stato altro che "un calderone enorme" in cui tuffarsi, si commuove alla morte del padre ("un rapporto che doveva esserci e non c'è stato mai"), sente la bella prossimità di un'insegnante che ha sempre creduto nella sua eccellenza. Daria deve e può continuare ad aspettare...
Un nuovo Barnum. Una nuova visita guidata alle cose del mondo, e agli uomini che lo rendono abitabile, o semplicemente più riconoscibile. Baricco insegue il mondo, e induce i suoi lettori a partecipare la curiosità con cui va a stanare notizie, episodi, insistenze, personaggi, dibattiti, immagini. Stanando dice e dicendo mostra, con una varietà di accenti e di esposizione che, per citare una sua antica generosa ossessione, fa pensare al circo, al Barnum delle meraviglie. Ecco dunque un nuovo Barnum che si aggiunge ai due pubblicati negli anni novanta. Qui facciamo i conti con la riforma dello spettacolo, con la scuola come videogame, con la priorità delle storie, con il cantiere della Morgan Library di Renzo Piano, con la Cinquecento Miglia di Indianapolis, con le immagini di Vivian Maier, con le provocazioni di Houellebecq e l'eredità di Gabriel García Márquez. Una grande occasione per farsi sedurre, sorprendere, interrogare.
In principio c'era don Abbondio con il suo "Il coraggio, uno non se lo può dare". Un grande personaggio illuminato nella sua neghittosa rinuncia a scegliere il bene. Gabriele Romagnoli percorre le strade del coraggio a partire dal senso caldo dell'esortazione che spesso abbiamo conosciuto nella vita: il coraggio che, da piccoli, ci sprona a camminare, pedalare, pattinare, quello che ci invita a non avere paura, o ad alzare la testa. Non si parla in questo libro del coraggio che fa di un uomo un guerriero armato o un cieco cercatore di morte (inferta o subita). Qui si parla del coraggio che la Francia del premio Carnegie dedicava "agli eroi della civiltà". Fra questi "eroi", un Antonio Sacco che nel 1936 compie il suo atto di coraggio e poi è dimenticato. Per Romagnoli, "Sacco A." diventa un'ossessione e solo in chiusura scopriamo con lui, anzi grazie a lui, le gesta di cui fu protagonista. Ma prima di arrivare a quel giorno del 1936, Romagnoli stila un suo personale catalogo di uomini coraggiosi, come Éric Abidal, il calciatore che vince la Champions League pochi mesi dopo la diagnosi di un tumore; il capitano Rowan, incaricato di portare un messaggio al capo dei ribelli nel mezzo della giungla cubana; il senatore Ross, che col suo voto salva la presidenza degli Stati Uniti; o perfino un personaggio letterario come Stoner, e il suo no che finisce con il segnare una vita e una carriera.
Con un incalzante ritmo jazz, Marco Pesatori percorre gli ultimi anni di una rivoluzione a cui tre giovani poeti dada-surrealisti non smettono di credere fino alla fine, vivendo - tra il 1973 e il 1977, anno in cui il protagonista sceglie la salvezza nella via dello zen - momenti turbolenti, pericolosi, in un abbaino di Porta Ticinese attraversato da comontisti in fuga sui tetti, a passo di marcia per le strade di Porta Romana, Porta Venezia e Brera con artisti e situazionisti vissuti come imprescindibili maestri, in una Milano in cui per sopravvivere si rubano libri e si scaricano camion, si assiste ai concerti, si medita con l'Lsd e si può cenare in silenzio insieme a SunRa, John Cage o con artisti del gruppo Fluxus, alla ricerca di un'identità personale che molti finiranno per smarrire. "Il trigono del Sole" è la storia della passione, della visione, dell'esaltazione folle e poetica di chi in quegli anni era convinto che un nuovo mondo si potesse creare e lo era col cuore ma anche con un'ingenuità da cui solo faticosamente il protagonista esce indenne. Tra paure, deliri, tenere insicurezze, tra fiumi di rock e jazz, il romanzo parte da una storia d'amore finita male e termina con un'altra storia d'amore che conduce finalmente davanti alla reale porta di ferro del Sé.
Un libro illustrato ed elegante che ci restituisce l'intimità con le cose della natura, che sanno diventare, attraverso l'occhio e la poesia di Maurizio Maggiani, cose della vita, cose del mondo. Gatti, uccellini, campi e orti, tenerezza dei mattini e violenza dei cieli: Maggiani ci accompagna dentro le piccole cose che rendono la vita migliore, più vera. Ed è lui stesso che ce lo racconta così: "Sono nato in un paese di campagna nel cuore della miseria degli anni cinquanta, sono stato cresciuto alla confidenza con tutto ciò che ha vita e va bene per la vita, chi mi ha educato aveva più parole per le piante e le bestie che per i cristiani, mi è stato insegnato a guardare e ascoltare e odorare e toccare ogni creatura e capire cosa ne veniva di buono e cosa di cattivo, evitando con cura di disturbare Creato e Creatore. Niente era mio, ma sono stato principe degli orti e barone dell'uva fragola, re dei fossi e granduca dei pesciolini che ci nuotavano dentro. Sono tornato a vivere nella campagna, i miei vicini sono tutti quanti contadini e continuano a parlare più volentieri con le creature che con i cristiani, a parte la miseria è tutto quanto rimasto più o meno allo stesso modo. E allo stesso modo prendo e vado per fossi e orti a toccare, ascoltare, guardare e odorare, considerare l'infinito universo di ciò che vive, evitando di disturbare. A meno che, metti, non mi ritrovi tra i peli la zecca assassina".
Il fondatore di Eataly torna sui grandi temi che gli stanno a cuore: in primis quelli della biodiversità e dell'eccellenza italiana nel campo agroalimentare. Lo fa con pagine che richiamano la forma delle operette morali, racconti in cui personaggi spesso appartenenti a epoche diverse - da Noè a Fabio Brescacin di NaturaSì, da Plinio il Vecchio a Tonino Guerra, da Hemingway ad Alice, "acciuga filosofa" - dialogano sulla scoperta del fuoco, ripercorrono la storia dell'agricoltura, raccontano la storia del vino, della birra, dell'olio e quella della pesca, si interrogano sul rapporto fra gli uomini e gli animali e provano a immaginare un futuro sostenibile. Farinetti condensa queste storie millenarie in sei brevi racconti vivi di un umorismo e di una spinta etica che rendono piacevole e appassionante la lettura, sicché pagina dopo pagina apprendiamo l'origine delle diverse colture e le scoperte che le riguardano, trattate con l'occhio attento e rispettoso di chi crede fermamente nell'innovazione così come nell'importanza della tradizione. Il racconto lungo di chiusura ci porta nel Rinascimento attraverso il dipinto "Il battesimo di Cristo" della bottega del Verrocchio. In un ripetuto confronto fra il presente e quel florido passato emerge la necessità di abbandonare le lamentele verso le storture del presente e diventare i primi protagonisti del cambiamento. A suggello del libro un "riassunto" dal Big Bang ai giorni nostri, una riflessione che ci invita a un modello sociale ed economico basato su un nuovo rapporto con la natura e tra noi uomini, in cui la parola chiave sia "rispetto".