
Un tempo Marco Tanzi era il miglior poliziotto di Milano. Poi la galera, gli anni da clochard, l'esilio volontario, fino alla riabilitazione e al ritorno. La sua vita ora scorre su binari tranquilli, finché non gli viene chiesto di collaborare a un'indagine non autorizzata. La sua missione: infiltrarsi nel peggior carcere d'Italia per ottenere informazioni da un contabile della malavita e infliggere così un duro colpo alla 'ndrangheta che controlla il traffico di cocaina a Milano. Tanzi accetta, nonostante il suo amico ed ex collega Luca Betti lo scongiuri di non farlo, temendo che possa nuovamente cedere ai suoi demoni interiori. Intanto una nuova organizzazione criminale ambisce a rimpiazzare la 'ndrangheta immettendo sul mercato la green inferno, una metanfetamina dai devastanti effetti collaterali. La guerra ha inizio con una sanguinosa rapina nel centro di Milano. Fronteggiare l'escalation di folle violenza non è un compito facile. Tra fiumi di polvere bianca, tradimenti e giochi di potere, Marco, Luca e il nuovo capo della squadra antirapine Laura Damiani, anime tormentate in una città perduta, seguiranno la propria strada fino a quando il destino li riunirà in un finale carico di tensione. Dove niente sarà più come prima.
Da una parte, i palestinesi. Dall'altra, gli israeliani. In mezzo, un muro in costruzione e le ricerche di una giovane e ambiziosa giornalista americana, Susan Foster. Grazie al suo mentore e caporedattore, Susan ottiene l'incarico di corrispondente da Gerusalemme ed entra così in contatto con le profonde contraddizioni della Città Santa e di quella terra bellissima e maledetta che fa da teatro al conflitto israelo-palestinese. Catapultata in una realtà ambigua e feroce, sembra trovare un po' di stabilità quando inizia una relazione con un collega, ma l'illusione di armonia dura poco. Tra i vicoli polverosi della Città Vecchia e lungo la linea verde del confine tra Israele e Cisgiordania, c'è chi si batte per un processo di pace, ma anche chi è disposto a tutto pur di proteggere quello in cui crede, con mezzi leciti e illeciti. Il gioco si fa sempre più grande, troppo grande per Susan: la destra sionista, Hamas, il Mossad e gli scandali della corruzione. Ben presto la giovane si trova coinvolta in oscure trame di potere che, in un crescendo di colpi di scena, la spingeranno ad adoperarsi con sempre più veemenza per denunciare gli orrori a cui assiste. Fino forse a intravedere, non senza aver pagato un caro prezzo, un debole raggio di speranza.
"Siamo storie, siamo le storie a cui abbiamo appartenuto, siamo le storie che abbiamo ascoltato. E infatti Maggiani ascolta. Ascolta il fiume di voci che si leva nel canto della nazione che avremmo potuto essere e che non siamo, le voci di un popolo rifluito dentro l'immaterialità della memoria. Si insinua nelle pieghe della vita apparentemente ordinaria dei suoi personaggi e racconta. Racconta di una madre e di un padre che si spengono portando con sé, prima nella smemoratezza e poi nella morte, un mondo di certezze molto concrete: la cura delle cose, della casa, dei rapporti parentali. Rammenta la fatica giusta (e ingiusta) di procurarsi il pane e di stare appresso a sogni accesi poco più in là, nella lotta politica, nella piana assolata quando arriva la notizia della morte di Togliatti. Racconta, allestendo un maestoso teatro narrativo, della costruzione dell'Arsenale Militare: un cantiere immenso, ribollente, dove accorrono a lavorare ingegneri e manovali, medici e marinai, ergastolani e rivoluzionari, cannonieri e fonditori, inventori e profeti, cuoche e ricamatrici, per spingere avanti destini comuni, avventure comuni, speranze in comune. Racconta di come si diventa grandi e di come si fondano speranze quando le speranze sono finite. Mai si era guardato negli occhi di un padre così a fondo per domandare una sorta di muto perdono, più grande della vita. Nella mitica contea di Maurizio Maggiani ci siamo tutti, a misurare quanto siamo stati, o meno, 'fondatori di nazioni'."
Autunno. Sullo sfondo di una Bologna umida e grigia, Giorgia Cantini lavora al suo nuovo caso. Emilio, studente diciassettenne in un liceo della città, si è suicidato senza ragione apparente, lasciando solo un laconico messaggio: "Sono stanco". A otto mesi dal fatto, la madre di Emilio è decisa a trovare i responsabili morali. Giorgia si immerge così in un universo adolescenziale di serate passate ad ascoltare musica hip hop, fumare canne e chattare, con i primi amori che nascono e l'ansia del futuro. Ed è una stagione decisamente malinconica quella in cui Giorgia si dibatte, perché ci sarà un secondo suicidio sospetto e l'incubo di una notte in cui forse è accaduto qualcosa di irreparabile. Senza contare la confusione degli adulti, il crollo delle facciate dietro cui si nascondevano, la finzione in cui sono calati e di cui i figli sono le vittime predestinate. In uno scenario di precarietà di valori e sentimenti, e in una Bologna specchio di un paese sempre più in crisi, si muove Giorgia. Vicino a lei, la sua surreale assistente Genzianella e il capo della Omicidi Luca Bruni, con il quale convive da pochi mesi, anche se il loro rapporto è ancora un'incognita. E Mattia, il figlio sedicenne di Bruni, che aiuterà Giorgia a capire qualcosa in più di una generazione costretta a muoversi in un mondo sempre più ambiguo, dove le apparenze non sono più salvabili e il senso delle cose è sempre più indecifrabile.
Agli occhi degli altri, e forse anche ai propri, Valerio ha l'aria di un quarantenne di successo: è uno stimato professore di latino, ha una casa, un'esistenza comoda, una moglie e una bambina affettuose. Eppure in un istante tutto questo perde senso; basta l'incontro con Paolo, giovane pittore di talento e amante appassionato, tanto fascinoso quanto insicuro, perché di colpo Valerio decida di voltare pagina. Finalmente insieme a Paolo potrà cominciare quella vita che già dai tempi della scuola sogna di vivere e che ora gli si offre irrinunciabile, improcrastinabile... Quand'ecco che una telefonata rivela l'illusione: Paolo ha appena scoperto di essere sieropositivo. Seguono la corsa di Valerio in una clinica per gli esami del sangue, la conferma dell'infezione, la scoperta dell'irrimediabile, e nel volgere di poche ore quell'amore nuovo, atteso da sempre, diventa una vertigine di fantasmi, paure, dubbi inesprimibili. Alla luce di un infaticabile lavoro di comprensione, Valerio fa piazza pulita di pregiudizi, luoghi comuni e falsificanti distinzioni, entrando sempre più a contatto con le ragioni della vita e dell'amore. Un romanzo intenso, intriso di pena e stupore, che riflette sulla sofferenza del corpo e del pensiero, sulla dissoluzione dell'identità, sulla fortuna, sulla colpa, sul desiderio, sulle parole. E sul senso della fine.
Ferite d'oro. Quando un oggetto di valore si rompe, in Giappone, lo si ripara con oro liquido. È un'antica tecnica che mostra e non nasconde le fratture. Le esibisce come un pregio: cicatrici dorate, segno orgoglioso di rinascita. Anche per le persone è così. Chi ha sofferto è prezioso, la fragilità può trasformarsi in forza. La tecnica che salda i pezzi, negli esseri umani, si chiama amore. Questa è la storia di Irina, che ha combattuto una battaglia e l'ha vinta. Una donna che non dimentica il passato, al contrario: lo ricorda, lo porta al petto come un fiore. Irina ha una vita serena, ordinata. Un marito, due figlie gemelle. È italiana, vive in Svizzera, lavora come avvocato. Un giorno qualcosa si incrina. Il matrimonio finisce, senza traumi apparenti. In un fine settimana qualsiasi Mathias, il padre delle bambine, porta via Alessia e Livia. Spariscono. Qualche giorno dopo l'uomo si uccide. Delle bambine non c'è più nessuna traccia. Pagina dopo pagina, rivelazione dopo rivelazione, a un ritmo che fa di questo libro un autentico thriller psicologico e insieme un superbo ritratto di donna, coraggiosa e fragile, Irina conquista brandelli sempre più luminosi di verità e ricuce la sua vita. Da quel fondo oscuro, doloroso, arriva una luce nuova. La possibilità di amare ancora, l'amore che salda e che resta.
Perché la parola "io" è diventata un'ossessione? Perché fare spettacolo di ogni istante del proprio vivacchiare? Giulio non lo sopporta, e soprattutto non lo capisce. Si sente fuori posto e fuori tempo. Ma di questa sua estraneità non si compiace: sospetta di essere un "rompiballe stabile", come lo definisce la fidanzata Agnese. In un'imprecisata pianura che fu industriale e non è quasi più niente, Giulio si aggira in attesa che qualcosa accada. Per esempio che qualcuno gli spieghi a cosa servono, se non a perdersi meglio, le rotonde stradali; o che qualcuno compri il capannone di suo padre, che fu un grande ebanista. Una bottega un tempo florida e adesso silenziosa e immobile, come un grande orologio fermo. Scritto quasi solo al presente, come se passato e futuro fossero temporaneamente sospesi, "Ognuno potrebbe" è il rimuginare sconsolato e comico di un vero e proprio eroe dell'insofferenza. Un viaggio senza partenza e senza arrivo che tocca molte delle stazioni di una società in piena crisi. Nella quale la morte del lavoro e della sua potenza materiale ha lasciato una voragine che il narcisismo digitale non basta a riempire.
"Il più e il meno sono segni della contabilità, della partita doppia dare/avere. Qui riguardano lo scorrere del tempo. Il Più è già arrivato, era un vento di corsa alle spalle spingendo innanzi, sparecchiando tavole, sfrattando inquilini, stringendo appigli e libri. Il Più è stato giovane e indurito come un callo. Il Meno governa il presente e mantiene quello che dice. Il Meno è sobrio, risoluto perché deve condurre fino in fondo."
Un'isola uncinata al cielo con le sue rocce plutoniche, attracco difficile, fuori dai tracciati turistici, dove buca il cielo un faro tuttora decisivo per le rotte che legano Oriente e Occidente. Paolo Rumiz, viandante senza pace, va a dividere lo spazio con l'uomo del faro, con i suoi animali domestici: si attiene alle consuetudini di tanta operosa solitudine, spia l'orizzonte, si arrende all'instabilità degli elementi, legge la volta celeste. Gli succede di ascoltare notizie dal mondo, e sono notizie che spogliano l'eremo dei suoi privilegi e fanno del mare, anche di quel mare apparentemente felice, una frontiera, una trincea. Il faro sembra fondersi con il passato mitologico, austero Ciclope si leva col suo unico occhio, veglia nella notte, agita l'intimità della memoria (come non leggere la presenza familiare della Lanterna di Trieste), richiama, sommando in sé il "gesto" comune delle lighthouse che in tutto il mondo hanno continuato a segnare la via, le dinastie dei guardiani e delle loro mogli (il governo dei mari è legato all'anima corsara delle donne), ma soprattutto apre le porte della percezione. Nell'isola del faro si impara a decrittare l'arrivo di una tempesta, ad ascoltare il vento, a convivere con gli uccelli, a discorrere di abissi, a riconoscere le mappe smemoranti del nuovo turismo da crociera e i segni che allarmano dei nuovi migranti, a trovare la fraternità silenziosa di un pasto frugale.
Le piane dell'Allaro sono un giardino delle meraviglie, la terra è rossa e grassa, la grande azienda agricola dà impiego all'intero paese e le stagioni si inseguono tra le sfide a saltozoppo dei bambini, il lavoro dei padri e la festa del santo patrono. Crescono così, in quel "composto di razze diverse costrette a vivere in un fazzoletto di argilla", Julien Dominici e i gemelli Agnese e Alberto Therrime. Crescono e si legano fra loro, come se fosse possibile per un Dominici e per una Therrime essere amici e poi amarsi. Solo i bambini possono crederlo, solo le donne. I Therrime, che conquistarono l'Aspromonte al seguito degli Aragonesi, e i Dominici, che su quei monti videro nascere i propri avi, non sono destinati a condividere la terra. E infatti il passato ritorna puntuale con violenza, spazzando via con il suo vento nero famiglie intere, spingendo gli uomini a uccidersi in faide senza fine e le donne a fuggire al Nord con i figli. Quel vento, tuttavia, per quanto forte, non può spezzare il filo di seta che lega Agnese al suo uomo. A Milano i due giovani sembrano finalmente liberi di amarsi, anche se i conti non sono ancora chiusi, non possono chiudersi. Il mostro che abita Julien è tutt'altro che sopito, si muove come un lupo seguendo sentieri di vendetta e giustizia immutati nei secoli, che lo conducono a incrociare inaspettatamente la via della Triade.
C’è una linea immaginaria eppure realissima, una ferita non chiusa, un luogo di tutti e di nessuno di cui ognuno, invisibilmente, è parte: è la frontiera che separa e insieme unisce il Nord del mondo, democratico, liberale e civilizzato, e il Sud, povero, morso dalla guerra, arretrato e antidemocratico. È sul margine di questa frontiera che si gioca il Grande gioco del mondo contemporaneo. Questa soglia è inafferrabile, indefinibile, non-materiale: la scrittura vi si avvicina per approssimazioni, tentativi, muovendosi nell’inesplorato, là dove si consumano le migrazioni e i respingimenti, là dove si combatte per vivere o per morire. Leogrande ci porta a bordo delle navi dell’operazione Mare Nostrum e pesca le parole dai fondali marini in cui stanno incastrate e nascoste. Ci porta a conoscere trafficanti e baby-scafisti, insieme alle storie dei sopravvissuti ai naufragi del Mediterraneo al largo di Lampedusa; ricostruisce la storia degli eritrei, popolo tra i popoli forzati alla migrazione da una feroce dittatura, causata anche dal colonialismo italiano; ci racconta l’altra frontiera, quella greca, quella di Alba Dorata e di Patrasso, e poi l’altra ancora, quella dei Balcani; ci introduce in una Libia esplosa e devastata, ci fa entrare dentro i Cie italiani e i loro soprusi, nella violenza della periferia romana e in quella nascosta nelle nostre anime: così si dà parola all’innominabile buco nero in cui ogni giorno sprofondano il diritto comunitario e le nostre coscienze. Quanta sofferenza. Quanto caos. Quanta indifferenza. Da qualche parte nel futuro, i nostri discendenti si chiederanno come abbiamo potuto lasciare che tutto ciò accadesse. Quella parola indica una linea lunga chilometri e spessa anni. Un solco che attraversa la materia e il tempo, le notti e i giorni, le generazioni e le stesse voci che ne parlano, si inseguono, si accavallano, si contraddicono, si comprimono, si dilatano. È la frontiera.
Amal nasce su un'isola in cui è guerra tra Esercito Regolare e Neri, soldati che in una mano impugnano il fucile e nell'altra il libro sacro. Amal è l'ultimo, servo figlio di servi pescatori e migliore amico di Ahmed, figlio del signore del villaggio. Da piccolo, una mina lo sventra in petto e ora Amal, che in arabo significa speranza, porta un cuore non suo. Amal e Ahmed si promettono imperitura amicizia, si perdono con i loro sogni in mezzo al mare, fanno progetti e dividono le attenzioni della affezionata Karima. Vivono un'atmosfera sospesa, quasi fiabesca, che si rompe quando le tensioni che pesano sul villaggio dividono le loro strade. In questo nuovo clima di conflitti e di morte anche Hassim, il padre di Amal, lascia il villaggio, portando con sé un segreto inconfessabile. Rimasto solo, Amal chiede ancora una volta il conforto e la saggezza del mare e il mare gli dice che deve raggiungere l'imam della Grande Moschea del Deserto, riempire il vuoto con un'educazione religiosa. Amal diventa preghiera, puro Islam, e resiste alla pressione dei reclutamenti. Resiste finché un'ombra misteriosa e derelitta riapre in lui una ferita profonda che lo strappa all'isolamento. Allora si lascia arruolare: la religione si colma di azione. L'educazione militare lo fa guerriero, lo fa uomo. Lo prepara a trovare una sposa per generare un figlio. Ma è proprio questo l'unico destino consentito? Qual è il bene promesso? L'avventura di vivere finisce davvero con la strage del nemico?