
Aldo Cazzullo e Fabrizio Roncone portano il lettore nei bassifondi e nell'empireo della capitale, nei campi della mafia nigeriana e nelle feste dei padroni di Roma, sino alle stanze segrete del potere e in fondo agli abissi dell'animo umano.
Roma. Tra qualche anno. Salvini è caduto, dopo che un barcone di migranti è affondato davanti a un porto chiuso. Ora al governo ci sono il Pd e il Popolo dell'Onestà. Ma il premier è debole, e il nuovo ministro dell'Interno prepara un piano per prendere il potere. Su questo scenario si apre il giallo. Il cardinale Michelangelo Aldrovandi, l'unico conservatore a essersi conquistato la fiducia del Papa, viene trovato morto in circostanze oscure. Lo scandalo è messo a tacere. Ma Remedios, la suora che lo accudiva, ritrova un telefonino con quattro foto. Che compromettono – per un curioso dettaglio – il leader emergente del Popolo dell'Onestà. Il telefonino viene rubato. E lo cercano in molti. Per quelle foto, che possono far saltare il governo e il Vaticano, si tenta di uccidere. Si uccide. Ci si uccide. Sulla scena compaiono i servizi, i gendarmi del Papa, un vecchio senatore che sa tutto di tutti, un killer con uno strano vizio e un peso sulla coscienza. E compare una ex spia, Leone Di Castro detto Gricia per la sua voracità, che con suor Remedios forma una coppia di investigatori sottovalutata e quindi sorprendente. In un vortice di colpi di scena, delitti e situazioni grottesche, drammi e farse, Aldo Cazzullo e Fabrizio Roncone portano il lettore nei bassifondi e nell'empireo della capitale, nei campi della mafia nigeriana e nelle feste dei padroni di Roma, sino alle stanze segrete del potere e in fondo agli abissi dell'animo umano. Il racconto, tra personaggi reali e altri immaginari, consegna il ritratto del nostro Paese, del nostro popolo, del nostro tempo. E quando tutti i nodi sembrano sciogliersi, ecco che si profila la vera minaccia che incombe sulla cristianità.
Queste parole di Primo Levi sono una sintesi della sua biografia e della sua opera. Levi è ormai riconosciuto in tutto il mondo non solo come uno fra i maggiori testimoni di Auschwitz, ma come uno scrittore di vivido talento linguistico e di multiforme energia immaginativa, e come un uomo di pensiero capace di innescare con ciascuno dei suoi lettori un dialogo limpido, appassionato, arguto. È per questo che il Centro internazionale di studi sorto a Torino nel suo nome propone, a partire dal 2009, una Lezione annuale - rivolta in primo luogo alle persone più giovani - che ne ripercorre l'opera a partire da interrogativi suggeriti dalla ricerca critica e dalle sollecitazioni del mondo attuale. Questo volume raccoglie le dieci Lezioni tenute fino a oggi, affidate di volta in volta a studiosi di letteratura e di scienza, a storici e a linguisti, a professionisti della traduzione, a esperti della tradizione ebraica: il tutto per indagare il pensiero, in continua evoluzione, di un uomo che aveva la capacità di tradurre le idee e le cose in parole, e che delle parole sapeva scorgere i significati materiali e immateriali.
«Giricoccola, il soldato napoletano, Rosmarina, i cinque scapestrati, Pomo e Scorzo, Naso d'Argento, Sfortuna, Giufà, Cecino, Giovannin senza paura, il gobbo Tabagnino si aggiungono al corteo di Biancaneve, Barbablù, Hänsel e Gretel». "Le fiabe italiane" racchiudono il tesoro della tradizione fiabistica popolare. Da quello scrigno Calvino stesso ha selezionato per i più piccoli queste storie, in cui le vite di persone e animali si intrecciano a magia e meraviglia senza tempo. Età di lettura: da 8 anni.
Ha vent'anni Daniele quando, in seguito a una violenta esplosione di rabbia, viene sottoposto a un TSO: trattamento sanitario obbligatorio. È il giugno del 1994, un'estate di Mondiali, e lui, ragazzo come tanti se non fosse per una sensibilità estrema, una percezione della realtà fatta tutta di picchi e di abissi, si trova inchiodato per una settimana in ospedale. Al suo fianco, come in un delirante campeggio, un girone infernale dell'assurdo, i compagni di stanza: personaggi inquietanti e teneri, sconclusionati eppure saggi. Negli abissi della follia brilla un'umanità creaturale, potente, a cui Mencarelli sa dare voce con una delicatezza e una forza uniche. L'autore mette in scena la disperata, rabbiosa, ricerca di senso di un ragazzo che implora salvezza: "Salvezza. Per me. Per mia madre all'altro capo del telefono. Per tutti i figli e tutte le madri. E i padri. E tutti i fratelli di tutti i tempi passati e futuri. La mia malattia si chiama salvezza".
La prima scena di questo romanzo è impressa nella mente di miliardi di persone in tutto il mondo. Ci sono tre croci sul monte Golgota, a Gerusalemme, e su quella centrale è inchiodato Jeshua, l'uomo che con la sua predicazione, e le sue gesta miracolose, aveva sconvolto la Palestina negli anni precedenti. Sulla croce, l'insegna con il motivo della sentenza: Gesù di Nazareth Re dei Giudei. Ai piedi della croce, come narrano i Vangeli, ci sono i soldati romani, alcune donne, Maria, sua madre, i discepoli più fedeli, ma anche una figura misteriosa che, non vista da nessuno, vede tutto. E vedrà anche, tre giorni dopo, Jeshua uscire dal sepolcro dove era stato sepolto, e avviarsi verso Gerusalemme. E comincerà a seguirlo. Nel frattempo, a Capri, l'imperatore romano Tiberio inizia a ricevere strani segnali dalla Palestina. È un uomo intelligente, acuto e sospettoso, e intuisce che quel predicatore, quella "specie di profeta", non era solo l'ennesimo predicatore di una terra dove i predicatori abbondano, ma era qualcosa di più. Era molto di più: un uomo che con la sua sola parola poteva minare le fondamenta dell'impero.
Ninella e don Mimì si sono sempre amati, anche se le loro vite hanno preso da molto tempo strade diverse. Da giovani le loro famiglie si erano opposte al matrimonio, a sposarsi invece sono stati i rispettivi figli Chiara e Damiano. Gli anni passano e davanti a don Mimì Ninella resta sempre una ragazzina. L'arrivo di una nipotina, anziché avvicinarli, sembra averli allontanati ancora di più, anche perché Matilde, l'acida moglie di don Mimì, fa di tutto per essere la nonna preferita, viziando a dismisura quella che tutti chiamano semplicemente "la bambina". La situazione cambia all'improvviso quando Matilde perde la testa per Pasqualino, il tuttofare di famiglia. Mimì decide così di andare a vivere da solo nel centro storico di Polignano: è la sua grande occasione per ritrovare Ninella, che però da qualche tempo ha accettato la corte di un architetto milanese. Con più di cento anni in due, Ninella e Mimì riprendono una schermaglia amorosa dall'esito incerto, tra dubbi, zucchine alla poverella e fughe al supermercato. Intorno a loro, irresistibili personaggi in cerca di guai: Chiara e Damiano e la loro figlia che li comanda a bacchetta; Orlando e la sua "finta" fidanzata Daniela; Nancy e il sogno di diventare la prima influencer polignanese; la zia Dora, che corre dal "suo" Veneto per riscattare l'eredità contesa di un trullo. Luca Bianchini torna a raccontare la "storia infinita". Tra panzerotti e lacrime, viaggi a Mykonos e tuffi all'alba, i suoi protagonisti pugliesi continuano a sbagliare senza imparare mai niente - ma questo è il bello dell'amore - sotto il cielo di una Polignano che ha sempre una luce unica e inimitabile.
Tutto comincia con "Delitto e castigo", un romanzo che Paolo Nori legge da ragazzo: è una iniziazione e, al contempo, un'avventura. La scoperta è a suo modo violenta: quel romanzo, pubblicato centododici anni prima, a tremila chilometri di distanza, apre una ferita che non smette di sanguinare. "Sanguino ancora. Perché?" si chiede Paolo Nori, e la sua è una risposta altrettanto sanguinosa, anzi è un romanzo che racconta di un uomo che non ha mai smesso di trovarsi tanto spaesato quanto spietatamente esposto al suo tempo. Se da una parte Nori ricostruisce gli eventi capitali della vita di Fëdor M. Dostoevskij, dall'altra lascia emergere ciò che di sé, quasi fraternamente, Dostoevskij gli lascia raccontare. Perché di questa prossimità è fatta la convivenza con lo scrittore che più di ogni altro ci chiede di bruciare la distanza fra la nostra e la sua esperienza di esistere. Ingegnere senza vocazione, genio precoce della letteratura, nuovo Gogol', aspirante rivoluzionario, condannato a morte, confinato in Siberia, cittadino perplesso della "città più astratta e premeditata del globo terracqueo", giocatore incapace e disperato, marito innamorato, padre incredulo ("Abbiate dei figli! Non c'è al mondo felicità più grande", è lui che lo scrive), goffo, calvo, un po' gobbo, vecchio fin da quando è giovane, uomo malato, confuso, contraddittorio, disperato, ridicolo, così simile a noi. Quanto ci chiama, sembra chiedere Paolo Nori, quanto ci chiama a sentire la sua disarmante prossimità, il suo essere ferocemente solo, la sua smagliante unicità? Quanto ci chiama a riconoscere dove la sua ferita continua a sanguinare?
Con il Paradiso si chiude nell'anniversario dei 700 anni dalla nascita di Dante questo progetto di rilettura e illustrazione della Divina Commedia a cura di Franco Nembrini, Gabriele Dell'Otto e Alessandro D'Avenia (che firma la prefazione).
Dare agli altri la colpa della propria infelicità è un esercizio di malafede collaudato, una tentazione alla portata di tutti. Ed è ciò che prova a fare anche il protagonista di questo romanzo. Almeno fino a un certo punto. Figlio unico di una strana famiglia disfunzionale, con genitori litigiosissimi e assediati dai debiti, è stato un bambino introverso, abituato a bastare a se stesso e a cercare conforto nella musica e nei propri pensieri. Cresciuto in una dimensione rigidamente mononucleare - senza mai sentir parlare di nonni e parenti in genere -, sulla soglia dell'adolescenza scopre che naturalmente un passato c'è, ed è anche parecchio ingombrante. Accade così che un terribile fatto di sangue travolga il protagonista facendo emergere i traumi fino a quel momento rimossi. Da un giorno all'altro entrerà a far parte di una famiglia nuova di zecca, in cui inaugurerà una vita di clamorosa impostura. Incontrerà personaggi affascinanti, viaggerà, frequenterà le migliori scuole e svilupperà un'insana passione per la letteratura, sulla scorta del disperato amore verso una cugina eccentrica, amante dei romanzi vittoriani. Ipocrisie, miserie, rancori e infelicità: pensava di esserseli definitivamente lasciati alle spalle, ma dovrà prendere atto che si tratta di veleni che infestano tutte le famiglie. Impossibile salvarsi. In questo romanzo Alessandro Piperno compie una sintesi delle sue identità romanzesche. Torna alla narrazione in prima persona ritrovando l'affabulazione pirotecnica, beffarda, iconoclasta del suo esordio, e la contempera con la vena introspettiva e dolente che percorre "Il fuoco amico dei ricordi". "Di chi è la colpa" è il nuovo romanzo di uno dei più grandi scrittori italiani, vincitore del premio Campiello Opera prima, del premio Strega e, in Francia, del Prix du meilleur livre étranger.
"Questo sarà l'anno del mio fidanzamento, l'ho deciso. Sì, Filippo Villa, ventiquattro anni, milanese da generazioni, giornalista sportivo e party-boy, quest'anno si fidanzerà. E adesso ho qualcosa come tredici chat attive su Grindr, che è tutto un pullulare di messaggi." Fortunatamente nella sua ricerca Filippo non è solo. Accanto a lui c'è Bea, l'amica di una vita e coinquilina da sempre che a ragazzi non è messa poi tanto meglio. Ma si sa, la speranza è l'ultima a morire, almeno finché viene alimentata dal vino bianco di pessima qualità che ogni sera Alice porta a Bea e Filippo in cambio di un posto sul divano del loro appartamento di Porta Venezia, nel cuore del quartiere della festa milanese. La malasorte sentimentale sembra invertire la sua rotta quando Filippo, grazie all'inseparabile Gilda, il suo bellissimo esemplare di bassotto a pelo ruvido, incrocia il proprio destino con quello di Diego: dog sitter, uno e novanta, moro, occhi neri. Un bòno, insomma. Diego ha solo un piccolo, trascurabile difetto: ha una fidanzata che lo aspetta a Monopoli, in Puglia. Dettagli. Diego è perfetto, è dolce, passionale, insomma è quello giusto. Ma non è tutto oro quel che luccica. Magari è solo bigiotteria fatta bene. Tra aperitivi troppo alcolici, poke al salmone e maratone di serie tv, in questo romanzo Tommaso Zorzi racconta con leggerezza e ironia l'amore, l'amicizia, il sesso e le relazioni ai tempi di Grindr. Perché sì, Siamo tutti bravi con i fidanzati degli altri, ma poi, quando tocca a noi, è un vero casino.
Cinquecento anni fa, in Italia, ci fu una esplosione di creatività che cambiò il mondo nel nome della bellezza. Il suo profeta fu Raffaello, ritenuto dai suoi contemporanei un nuovo Cristo. In questo romanzo, attraverso la voce di Margherita Luti, la celebre "Fornarina", gli ultimi cinque anni di vita e la storia d'amore del grande pittore urbinate vengono raccontati come non era mai stato fatto prima, e ci vengono restituiti il suo ideale di bellezza e la sua figura artistica. Bellezza e amore nel Rinascimento sono assai più vicini all'idea che se ne ha oggi. Sesso e potere sono il motore della Roma di papa Leone X nella quale Raffaello è il principe dei pittori, amato da tutti e amante di tutte. Nella dolce vita della Roma del 1515-1520 ritroviamo molte storie di oggi, come quelle della divisione tra popolo ed élite, del rapporto tra sesso e potere, del #metoo, delle feste galanti, delle morti misteriose e delle nuove cortigiane. Ma la leggenda dell'amoroso Raffaello e della Fornarina testimonia la forza e il potere dell'amore e rivela chi è nascosto dietro ai volti delle Madonne dipinte dal pittore. La popolana Fornarina racconta la vita quotidiana del Rinascimento a fianco del grande pittore.
Daniele è un giovane poeta oppresso da un affanno sconosciuto, "una malattia invisibile all'altezza del cuore, o del cervello". Si rifiuta di obbedire automaticamente ai riti cui sembra sottostare l'umanità: trovare un lavoro, farsi una famiglia... la sua vita è attratta piuttosto dal gorgo del vuoto, e da quattro anni è in caduta "precisa come un tuffo da olimpionico". Non ha più nemmeno la forza di scrivere, e la sua esistenza sembra priva di uno scopo. È per i suoi genitori che Daniele prova a chiedere aiuto, deve riuscire a sopravvivere, lo farà attraverso il lavoro. Il 3 marzo del 1999 firma un contratto con una cooperativa legata all'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. In questa "casa" speciale, abitata dai bambini segnati dalla malattia, sono molti gli sguardi che incontra e che via via lo spingeranno a porsi una domanda scomoda: perché, se la sofferenza pare essere l'unica legge che governa il mondo, vale comunque la pena di vivere e provare a costruire qualcosa? Le risposte arriveranno, al di là di qualsiasi retorica e con deflagrante potenza, dall'esperienza quotidiana di fatica e solidarietà tra compagni di lavoro, in un luogo come il Bambino Gesù, in cui l'essenza della vita si mostra in tutta la sua brutalità e negli squarci di inattesa bellezza. Qui Daniele sentirà dentro di sé un invito sempre più imperioso a non chiudere gli occhi, e lo accoglierà come un dono. Con la lingua precisa e affilata del poeta, Daniele Mencarelli ci offre con grazia cruda il racconto coraggioso del rifugio cercato nell'alcol, della spirale di solitudine, prostrazione e vergogna di quegli anni bui, e della progressiva liberazione dalla sofferenza fino alla straordinaria rinascita.