
"Il vicequestore sorrise nel pensare alla somiglianza che sentiva tra lui e quel cane da punta". Rocco Schiavone ha la mania di paragonare a un animale ciascuna delle fisionomie umane che gli si para davanti. Ma più che il setter che gli suscita quell'accostamento, lui stesso fa venire in mente uno spinone, ispido, arruffato e rustico com'è: pur sempre, però, sottomesso all'istinto della caccia. È uno sbirro manesco e tutt'altro che immacolato, romano di conio trasteverino, con una piaga di dolore e di colpa che non può guarire. Ad Aosta, dove l'hanno trasferito d'ufficio, preferirebbe tenere le sue Clarks al riparo dall'acqua e godersi i suoi amorazzi, che non imbarcarsi in un'altra inchiesta piena di neve. Una donna, una moglie che si avvicinava all'autunno della vita, è trovata cadavere dalla domestica. Impiccata al lampadario di una stanza immersa nell'oscurità. Intorno la devastazione di un furto. Ma Rocco non è convinto. E una successione di coincidenze e divergenze, così come l'ambiguità di tanti personaggi, trasformano a poco a poco il quadro di una rapina in una nebbia di misteri umani, ambientali, criminali. Per dissolverla, il vicequestore Rocco Schiavone mette in campo il suo metodo annoiato e stringente, fatto di intuito rapido e brutalità, di compassione e tendenza a farsi giustizia da sé, di lealtà verso gli amici e infida astuzia.
Raccontare una vita è un gesto romanzesco. Perché solo nella finzione di un romanzo si può tentare di comporre quasi senza ombre e silenzi il ritratto di un uomo o di una donna, e chiamare a raccolta i testimoni dei fatti come in un'inchiesta, mettendo insieme frammenti e ricordi, pareri e illazioni. Questa è la sfida del romanzo di Fabio Stassi: narrare la vita intera di una donna radunando le prove, gli sguardi e le parole di chi l'ha conosciuta, di chi l'ha amata, di quelli che hanno lavorato o sognato con lei, oppure di chi l'ha vista anche per un momento, ma quel momento l'ha serbato nella memoria. Sole, Soledad, è la donna di questa storia, un'artista, una bambina silenziosa, una ragazza che fa emozionare, una signora che molto ha vissuto, e soprattutto, almeno agli occhi del mondo, una cantante. E Sole non ha mai inciso un disco, perché niente di lei poteva essere registrato. All'inizio degli anni Sessanta è ancora una bambina che abita a Roma. Sulla terrazza del suo palazzo a Trastevere ascolta con lo zio una radio a transistor, e scopre le voci del mondo. Nel 2011 Sole è sparita, è andata in spiaggia e nessuno l'ha vista più. Ha lasciato spartiti, un quaderno, libri e il numero di un vecchio amico. Il suo diario racconta che in prima media un anziano insegnante di musica, dopo aver ascoltato la sua voce, le aveva imposto il silenzio per tre anni. E fu allora, per reazione, che aveva iniziato a cantare...
"Non è, questo, un romanzo d'ambiente; di costume. Non è un romanzo storico. È una potente azione narrativa. Se nel gioco degli scacchi l'obiettivo finale è catturare il re, le modalità operative e di ricerca di questa opzione strategica forzano il silenzio e le tenebre della storia, per affrontare il mistero di un'"ombra", penetrare nelle tante maschere di un volto che si può pensare ma non conoscere, catturare la personalità artificiosa di un protagonista di eventi reali che con infame talento si evolve su se stesso e sotto più nomi si tramuta; e restituire, infine, alle necessità del racconto, il lato oscuro, la metà notturna e fosforica della civiltà dell'Umanesimo raggiante di cultura. Qui Camilleri gioca a scacchi con l'imponderabile. Le strade del suo personaggio si moltiplicano, si confondono, si scambiano l'una con l'altra. Partono dalla giudecca di Caltabellotta, in Sicilia, e lungo il Quattrocento si inoltrano nei labirinti delle capitali, delle corti piccole e grandi, degli studioli umanistici, delle Accademie e delle Università; nella geografia politica della penisola italica e delle remote contrade di là delle Alpi. Il lettore fa il possibile per recuperare il fiato. Una pagina tira l'altra, vorticosamente. Tra vari avvisi di pericolosità e d'orrore, il protagonista del romanzo sprigiona intelligenza perversa, crudeltà e spietatezza. È un ebreo convertito, poliglotta: esperto soprattutto in lingue orientali..." (Salvatore Silvano Nigro)
Nell'autunno del 1869, Orta è un borgo tranquillo e forse intorpidito, solo con un fremito di animosità verso i forestieri. Ci vive Enrico Costa, detto il Francesino, ultimo figlio di una famiglia proprietaria squassata dalla disgrazia; vi soggiorna Dostoevskij, in cerca di un riparo dall'assillo dei creditori; vi scorrono le esistenze immutabili di tanti, ciascuno con la smorfia tipica del volto che svela a tutti carattere e destino, ciascuno tormentato da qualcosa di indicibile. Perché qui, cinquantasei anni prima, è avvenuto un macabro delitto, di quelli germinati nel torbido di una famiglia e nell'odio di famiglie tra loro. Teodoro Costa, bisnonno di Enrico, è stato ucciso con feroce violenza. Facilmente, la giustizia ha trovato il colpevole nel figlio Demetrio, ghigliottinato dopo un rapido processo. Tornato dalla Francia, Enrico il Francesino non è mai stato ben accolto in paese. Poeta e scrittore, ha sempre avuto il desiderio di scrutare nell'oscurità intorno alla storia dei suoi avi. Inoltre, un rasoio e un messaggio cifrato ritrovati per caso, gli sembrano una combinazione troppo azzardata per non essere un messaggio. Il suo itinerario di verità e di liberazione s'incontra con la curiosità intellettuale di Dostoevskij, che invece è motivato dalll'interrogarsi sulla colpa e sull'odio alla base della sua ricerca spirituale. Lentamente, si apre il velo della storia segreta, che è storia di tante vite che portano il proprio tributo di dolore, ingiustizia e vendetta.
Milano, estate 1981: siamo nella fase più tarda, e più feroce, della stagione terroristica in Italia. Non ancora quarantenne, Giacomo Colnaghi a Milano è un magistrato sulla linea del fronte. Coordinando un piccolo gruppo di inquirenti, indaga da tempo sulle attività di una nuova banda armata, responsabile dell'assassinio di un politico democristiano. Il dubbio e l'inquietudine lo accompagnano da sempre. Egli è intensamente cattolico, ma di una religiosità intima e tragica. È di umili origini, ma convinto che la sua riuscita personale sia la prova di vivere in una società aperta. È sposato con figli, ma i rapporti con la famiglia sono distanti e sofferti. Ha due amici carissimi, con i quali incrocia schermaglie polemiche, ama le ore incerte, le periferie, il calcio, gli incontri nelle osterie. Dall'inquietudine è avvolto anche il ricordo del padre Ernesto, che lo lasciò bambino morendo in un'azione partigiana. Quel padre che la famiglia cattolica conformista non potè mai perdonare per la sua ribellione all'ordine, la cui storia eroica Colnaghi ha sempre inseguito, per sapere, e per trattenere quell'unica persona che ha forse amato davvero, pur senza conoscerla. L'inchiesta che svolge è complessa e articolata, tra uffici di procura e covi criminali, tra interrogatori e appostamenti, e andrà a buon fine. Ma la sua coscienza aggiunge alla caccia all'uomo una corsa per capire le ragioni profonde, l'origine delle ferite che stanno attraversando il Paese...
"Si sono aperte le cateratte del cielo. I tuoni erompono con fragore. Nel generale ottenebramento, e sotto la pioggia implacabile, tutto si impantana e smotta. Il fango monta e dilaga: è una coltre di spento grigiore sulle lesioni e sulle frane. La brutalità della natura si vendica della politica dei governi corrotti, che non si curano del rispetto geologico; e assicurano appalti e franchigie alle società di comodo e alle mafie degli speculatori. A Vigàta dominano le sfumature opache e le tonalità brune delle ombre che si allungano sull'accavallato disordine dei paesaggi desolati; sui lunari cimiteri di scabre rocce, di cretti smorti, e di relitti metallici che sembrano ossificati. Questa sgangherata sintassi di crepature e derive ha oscuri presagi. E si configura come il rovescio tragico dell'allegra selvatichezza vernacolare di Catarella, che inventa richiami fonici ed equivalenze tra 'fango' e 'sangue'; e con le confuse lettere del suo alfabeto costruisce topografie che inducono all'errore. Del resto, macchiate di sangue sono le ferite fangose del paesaggio; e l'errore è consustanziale al labirinto illusionistico dentro il quale i clan mafiosi vorrebbero sospingere il commissario Montalbano per fuorviarlo, e convincerlo che il delitto sul quale sta indagando è d'onore e non di mafia. La vicenda ha tratti sfuggenti, persino elusivi..." (Salvatore Silvano Nigro)
Siamo alla fine di luglio, nel 1914, a Venezia. Il 28 giugno a Sarajevo Francesco Ferdinando è stato assassinato, l'Austria ha consegnato l'ultimatum alla Serbia. Sono i giorni dei "sonnambuli", di imperi e nazioni, governanti e diplomatici, che consegnano inconsapevoli l'Europa al suo suicidio. Il commendatore Niccolò Spada vigila sui suoi ospiti all'Excelsior: il presagio che aleggia sull'Europa soffia anche sul Lido. L'Albergo leggendario è affollato: l'aristocrazia di tutta Europa scintilla come non mai, ma celebra le ultime ore della Belle époque. Fra gli ospiti c'è anche la marchesa Margarete von Hayek, "bella come sa essere solo una donna dal piglio pari alla grazia", che nasconde un segreto terribile, inconfessabile, e che brindando alla fine del mondo chiede una lettera di credito molto particolare a Spada. Il commendatore vacilla, tentato dall'amore per Margarete, che è "fuoco e rapina". Un sogno, sempre lo stesso, lo disorienta: un cacciatore ossessionato da una belva che si aggira per la foresta. Senza riuscire a incontrarla, ne sente il ruggito. Poco lontano, nel cuore della laguna, l'isola di San Servolo, sede del manicomio, conserva il segreto della nobile Margarete.
È scomparsa Marilou, la figlia di Luisa Kakoiannis-Sforza. La signora, un'imprenditrice della moda, ospite fissa delle copertine dei rotocalchi popolari, si rivolge per le ricerche ad Amedeo Consonni, il tappezziere in pensione della Casa di ringhiera. Le è noto grazie al successo del caso investigativo della Sfinge di Lentate sul Seveso (raccontato nel romanzo "La casa di ringhiera"), ma la ragione è anche di sfuggire ai riflettori del gossip. Oppure c'è sotto qualcos'altro? Il Consonni, con le sue risorse semplici e antiquate, comincia a indagare. E finirà per imbattersi in un'altra donna, non meno ricca e superba, che con la prima condivide il segreto e l'odio.
"'Ora, Ampelio, secondo lei io mi metto a parlare del caso qui, al bar, di fronte a tutto il paese?'. 'Come, tutto il paese? Ci siamo solo noi quattro'. 'Appunto' confermò la commissaria". Ma in realtà tra la giovane commissaria Alice Martelli e i quattro vecchietti del BarLume s'è creato un feeling operativo. Il pettegolezzo come sistema investigativo trova una riconosciuta efficacia. È successo che Vanessa Benedetti è scomparsa. Venuta da fuori, dalla "lontana" Umbria, gestisce col marito Gianfranco, da cui ha divorziato per motivi fiscali, uno zoppicante agriturismo. Un giorno ordina chili e chili di carne, ma i tedeschi suoi ospiti pranzano regolarmente al Bocacito, il ristorante di uno dei pensionati. Poi svanisce nel nulla. Questo basta ai vecchietti per saltare al thriller: Vanessa uccisa dal marito che si è liberato del corpo. Tutte farneticazioni di anziani perdigiorno? A moltiplicare le ipotesi infinite che rimbombano nel BarLume, spunta una svolta imprevista. Atlante il Luminoso, un cartomante di successo, che aveva pronunciato da una televisione privata la sua preveggente verità sul caso Vanessa, viene ritrovato cadavere. Assassinio o suicidio? Nonostante la canicola a Pineta, i vecchietti del BarLume, con l'interprete investigativo delle loro maldicenze Massimo il barrista, sono in forma smagliante per dissolvere ogni dubbio, con l'arma della battuta letale e della rissa verbale, nel loro nuovo mistero.
"Sono otto le 'mosse' narrative che Camilleri si concede lungo le otto colonne e le otto traverse della sua geometrica scacchiera del racconto: tra i quattro lati del libro, e nell'ordine chiuso di un romanzo-matrioska che dentro di sé inclina, procedendo di racconto in racconto, di tensione in tensione, sull'asse unico dell'attività investigativa del commissariato di Vigàta. Più che racconti lunghi sono romanzi ristretti quelli che qui si spintonano a vicenda e concorrono al disegno unitario: uno compie un giro, l'altro ricomincia. L'andatura piacevolmente svagata e a punte d'arguzia è un effetto stilistico della restrizione e degli scorci. Fra gli aliti grassi del mare e il fresco odore salino, a Vigàta si conduce la solita vita fragorosa di ripicche e di rimbecchi; di passioni irritabili, di insofferenze e di strampalerie. La cameriera Adelina e Livia, la fidanzata 'straniera' di Montalbano, si annusano sempre da lontano. Catarella, devoto alle cerimonie più smaccate, indossa imperterrito il proprio corpo come una maschera cui aderiscono gesti e mimiche di dialettalità selvaticamente impetuosa e arruffata. Perdurano le moschetterie giornalistiche delle due contrapposte televisioni locali, abilmente strumentalizzate da Montalbano. Il medico legale, Pasquano, solo davanti a una guantiera di cannoli di ricotta è disposto a deporre acrimonie, ringhi, e "cabasisi". (Salvatore Silvano Nigro)
Negli anni Cinquanta a spostarsi dal Meridione al Nord in cerca di lavoro non erano solo uomini e donne pronti all'esperienza e alla vita, ma anche bambini a volte più piccoli di dieci anni che mai si erano allontanati da casa. Il fenomeno dell'emigrazione infantile coinvolge migliaia di ragazzini che dicevano addio ai genitori, ai fratelli, e si trasferivano spesso per sempre nelle lontane metropoli. Questo romanzo è la storia di uno di loro, di un piccolo emigrante, Ninetto detto pelleossa, che abbandona la Sicilia e si reca a Milano. Come racconta lui stesso, "non è che un picciriddu piglia e parte in quattro e quattr'otto. Prima mi hanno fatto venire a schifo tutte cose, ho collezionato litigate, digiuni, giornate di nervi impizzati, e solo dopo me ne sono andato via. Era la fine del '59, avevo nove anni e uno a quell'età preferirebbe sempre il suo paese, anche se è un cesso di paese e niente affatto quello dei balocchi". Ninetto parte e fugge, lascia dietro di sé una madre ridotta al silenzio e un padre che preferisce saperlo lontano ma con almeno un cenno di futuro. Quando arriva a destinazione, davanti agli occhi di un bambino che non capisce più se è "picciriddu" o adulto si spalanca il nuovo mondo, la scoperta della vita e di sé. Ad aiutarlo c'è poco o nulla, forse solo la memoria di lezioni scolastiche di qualche anno di Elementari. Ninetto si getta in quella città sconosciuta con foga, cammina senza fermarsi, cerca, chiede, ottiene un lavoro. E tutto gli accade come per la prima volta...
Martin Bora, l'investigatore di casi delicati per i servizi segreti della Wehrmacht, si trova a Mosca. Mancano settimane all'attacco di Hitler alla Russia di Stalin, e l'ufficiale è aggregato al corpo diplomatico della capitale sovietica immersa ancora nel clima del patto Ribbentrop-Molotov. In questa veste, gli arriva una strana richiesta da parte del diabolico Beria: recarsi a Creta, appena presa dai tedeschi, per procurare al raccapricciante capo dello spionaggio sovietico sessanta bottiglie di un pregiatissimo vino cretese. Invece, giunto nell'isola piena ancora dei segni di un bagno di sangue, l'ufficiale-detective è posto di fronte a un compito ben diverso. Una famiglia di civili è stata massacrata nella sua villa, a quanto pare da una pattuglia di paracadutisti tedeschi. I servizi vogliono vederci chiaro, non solo per scagionare i soldati accusati di crimini di guerra e impedire un incidente diplomatico, ma anche per prevenire l'intervento della Croce Rossa e tenere lontane le SS di Himmler, interessate alla strage. Infatti, la vittima principale è un residente svizzero, esperto di antichità e storia della razza ariana e membro dell'Ahnenerbe, la società fondata da Himmler per studiare il passato mitico della razza ariana e sovrintendere a tutte le ricerche ancestrali e archeologiche. L'imbarazzo è grande, ed enorme il mistero. Per scioglierlo, Bora dovrà farsi carico di un'indagine che lo porterà a muoversi lungo piste divergenti...