
La vita è divisa in due da una linea d'ombra. Succede a tutti di varcarla. Nasciamo dal calore di un amore, se siamo fortunati cresciamo sostenuti dai genitori e da altri affetti, se lo siamo ancora di più queste relazioni continuano a darci sicurezza anche nell'età adulta. Ma, prima o poi, arrivano i lutti, le certezze si polverizzano, i legami si sciolgono. E, da un giorno all'altro, passiamo dall'essere figli al non esserlo più, ci ritroviamo orfani al mondo, soli nell'universo. È successo anche ad Anna Cherubini che, in un periodo relativamente breve, ha perso un fratello, poi la madre e infine il padre. Si è familiarizzata con la parola "morte". E, messa spalle al muro da queste vicissitudini, ha avvertito fortissima l'esigenza di abbandonarsi ai ricordi. Ne è nato un memoir potente ed emozionante che racconta di un padre funzionario del Vaticano, testardo e ruvido ma innamorato dell'arte e della lirica, di una madre che aveva le sue fragilità eppure era capace di sacrifici che oggi le donne non sanno più fare, di un fratello che voleva volare e purtroppo si è perso nel cielo, di un altro fratello che si perse a piazza San Pietro ma ora canta e salta negli stadi, delle anziane e particolari zie, della Bellezza della musica e di quella di Roma.
1407. È solo un bambino, il principe Marcus II di Saxia, quando nel cortile del castello di famiglia assiste impotente al massacro dei suoi cari, trucidati per ordine di Ojsternig, signore del regno vicino. La strage, in cui tutti lo credono morto, è la prima mossa dell'usurpatore Ojsternig per farsi riconoscere dall'imperatore come legittimo erede della terra di Raühnvahl. Ma qualcosa va storto, perché Marcus sopravvive a quella violenza sanguinaria grazie all'aiuto della piccola Eloisa, figlia della levatrice del villaggio. Così quel giorno ritornerà ogni notte nei suoi incubi come l'ultimo della sua agiata vita da nobile e il primo di quella da pezzente. Accolto nella casa della levatrice Agnete. Marcus perderà il suo nome - nessuno deve sapere che l'erede del principe della Raühnvahl è vivo - e diventerà Mikael. Ma soprattutto imparerà a vivere come un animale, forgiato dagli stenti e dalla fatica della vita da contadino, e a combattere come un guerriero, senza mai dimenticarsi chi è e cosa gli spetta di diritto. Non può immaginare, Mikael, che la sua nuova esistenza è destinata a fare di lui un eroe che conoscerà la forza inarrestabile dell'amore. E cambierà per sempre le sorti dell'Impero.
Ci sono sogni capaci di metterci a nudo. Sono schegge impazzite, che ci svelano una realtà a cui è impossibile sottrarsi. Lo capisce appena apre gli occhi, il maestro Nani Sapienza: la bambina che lo ha visitato nel sonno non gli è apparsa per caso. Camminava nella nebbia con un’andatura da papera, come la sua Martina. Poi si è girata a mostrargli il viso ed è svanita, un cappottino rosso inghiottito da un vortice di uccelli bianchi. Ma non era, ne è certo, sua figlia, portata via anni prima da una malattia crudele e oggi ferita ancora viva sulla sua pelle di padre. E quando quella mattina la radio annuncia la scomparsa della piccola Lucia, uscita di casa con un cappotto rosso e mai più rientrata, Nani si convince di aver visto in sogno proprio lei. Le coincidenze non esistono, e in un attimo si fanno prova, indizio. È così che Nani contagia l’intera cittadina di S., immobile provincia italiana, con la sua ossessione per Lucia. E per primi i suoi alunni, una quarta elementare mai sazia dei racconti meravigliosi del maestro: è con la seduzione delle storie, motore del suo insegnamento, che accende la fantasia dei ragazzi e li porta a ragionare come e meglio dei grandi. Perché Nani sa essere insieme maestro e padre, e la ricerca di Lucia diventa presto una ricerca di sé, che lo costringerà a ridisegnare i confini di un passato incapace di lasciarsi dimenticare. Con questo romanzo potente, illuminato per la prima volta da un’intensa voce maschile, Dacia Maraini ci guida al cuore di una paternità negata, scoprendo i chiaroscuri di un sentimento che non ha mai smesso di essere una terra selvaggia e inesplorata.
"Che può fare un uomo per garantirsi l'eternità, se non passare il testimone al figlio maschio?" si domanda il vecchio don Turiddu Ciuni, mentre sente che la vita gli scappa via. Non si dà pace che la moglie si sia ostinata a far studiare tutti e dodici i loro figli, femmine comprese, e che nessuno di loro voglia occuparsi del feudo di Testasecca, nell'entroterra siciliano. La delusione più grande gliel'ha data ovviamente il primogenito, Filippo, che alla terra ha preferito la letteratura, aprendo una libreria e pure una casa editrice. "Grandissime minchiate", secondo l'anziano padre. Non la pensa così Concettina, che adora quel suo fratello sognatore e - siamo nel 1934 - vede in lui la possibilità di un futuro migliore per l'intera famiglia. Ma il destino si divertirà a sovvertire ogni aspettativa e, negli ottant'anni di storia raccontati in questo romanzo, chiamerà proprio lei, le sue figlie e le nipoti, a dimostrare quella straordinaria capacità di resistere che è propria di ogni donna.
Primi anni Settanta. A pancia in giù e sollevato sui gomiti, un ragazzino legge su una rivista frasi impenetrabili, rabbiose, attraenti. Sono tutte di Pier Paolo Pasolini. Il tempo passa e, quasi inavvertitamente, dentro quel bambino che oggi è uno scrittore sedimenta qualcosa di profondo: non è solo la passione per la parola, è l'istinto di un mestiere. "Seguire quello che succede, immaginare quello che non si sa o che si tace, rimettere insieme i pezzi disorganizzati e frammentari, ristabilire la logica dove regnano l'arbitrarietà, la follia e il mistero." Perché il Pasolini che ci parla dalle pagine di questo libro non è il poeta né il letterato, è quello della narrazione civile, lo stesso che confessò di sapere e che è stato assassinato. È proprio lì che torna Carlo Lucarelli, agli anni più violenti della nostra storia recente, ai pestaggi, ai morti ammazzati e alle stragi. Torna al Pasolini intellettuale e all'odio che lo circondava. Attraverso un tessuto di impressioni intime, analisi politiche e ricostruzioni storiche, torna a quella notte di novembre del 1975 in cui si è consumato un delitto comunque politico. Ciò che resta, una volta disintegrata la versione ufficiale e rimessi in ordine i fatti, è la certezza di trovarci di fronte a un Segreto Italiano.
Dopo quattordici anni dalla conclusione de "L'ultimo Catone", Ottavia Salina è di nuovo coinvolta in una missione misteriosa, una ricerca nelle pieghe più oscure del Cristianesimo. Smesso l'abito da suora e chiuso ogni rapporto con il Vaticano, suo massimo committente nella decifrazione di antiche scritture, oggi Ottavia è una brillante ricercatrice di Paleografia all'Università di Toronto innamorata del marito, l'archeologo Farag Boswell. Tuttavia è molto difficile essere al sicuro quando si è custodi di un passato eccezionale. Una coppia di multimilionari appassionata di antichità e reliquie, infatti, individuato il talento di Ottavia e Farag, li coinvolge nella ricerca degli ossari contenenti i resti di Gesù e della sua famiglia. Un'indagine che vede protagonista anche l'ormai dimenticato ultimo Catone, che qui ritorna dopo una lunga ed enigmatica assenza. Insieme a lui e ad Abby, l'elegante erede dei ricchi mecenati, Ottavia e Farag entreranno così in una spirale di avventure. Tra Mongolia, Turchia, Italia e Israele, affronteranno inseguimenti, agguati e rivelazioni che sembrano giocare con il loro destino come una maledizione lanciata dall'abisso dei secoli. Viaggio nei misteri del Cristianesimo, giallo teologico, ecco il seguito de "L'ultimo Catone".
Un doppiopetto grigio, il Borsalino in mano, un velo di brillantina sui capelli, lo sguardo basso. Sotto un cielo che affonda nel rosa di un tramonto infinito, un ragazzo degli anni Cinquanta torna dal passato, si ferma sul pianerottolo della casa di famiglia e aspetta il figlio, ormai adulto. Com'è possibile? E perché è tornato ora, dopo tanto tempo? Sono due sconosciuti, ma sono padre e figlio. Insieme per la prima volta e solo per una sera, provano a raccontarsi le loro vite, quello che è stato e quello che poteva essere, la storia di due generazioni vicine eppure diversissime. Le parole dell'infanzia, i paesaggi, i volti trasformati dal tempo; e Roma, quella più bella. Quella della radio, e della televisione che quel ragazzo timido e geniale ha contribuito a fondare. Ma qual è l'eredità di un padre che non c'è mai stato? Forse la malinconia, certe tristezze improvvise, la voglia di scherzare e di prendersi in giro, il ricordo commosso della donna che li ha amati. In un viaggio attraverso il dolore della perdita e la meraviglia della ricerca delle proprie radici, le parole si mescolano e si intrecciano fino a rivelare ciò che li unisce davvero. Perché non smettiamo mai di cercare il padre.
"Abbiamo paura di non essere sufficientemente allineati, obbedienti, servili, e venire scomunicati attraverso l'esilio morale con cui le democrazie deboli e pigre ricattano il cittadino. Paura di essere liberi, insomma. Di prendere rischi, di avere coraggio." Oriana Fallaci ha pronunciato queste parole nel 2005 quando decise di raccontare il suo "diritto all'odio". Sono riflessioni che ancora oggi, a distanza di dieci anni, risultano drammaticamente attuali, così come molti suoi brani finora inediti in cui affronta il conflitto con l'Islam senza mezzi termini né concessioni. "Ho visto le mussulmane la cui vita vale meno di una vacca o un cammello" scrive una giovanissima Oriana nel suo primo reportage sulla condizione delle donne nei paesi islamici. "Vi sono donne nel mondo che ancora oggi vivono dietro la nebbia fitta di un velo come attraverso le sbarre di una prigione." Una prigione che si estende dall'oceano Atlantico all'oceano Indiano percorrendo il Marocco, l'Algeria, la Nigeria, la Libia, l'Egitto, la Siria, il Libano, l'Iraq, l'Iran, la Giordania, l'Arabia Saudita, l'Afghanistan, il Pakistan, l'Indonesia: è il mondo dell'Islam, dove nonostante i "fermenti di ribellione" le regole riservate alle donne sono immote da secoli.
"Se leggere è un vizio, non che scrivere sia una gran virtù. Un romanzo o un volumetto di versi sono merci non richieste. Allora, perché tanto scrivere invano? Si diceva in tempo di grandi ottimismi che scrivere è un'impellenza, che chi scrive è obbligato a scrivere da un prepotente moto interiore. Può darsi; quantunque sulla ambigua prepotenza dei moti interiori ci sarebbe molto da discutere". In ogni caso Vittorio Sermonti da più di sessant'anni è anagraficamente uno scrittore: cioè "uno degli happy few che debbono la propria miseria all'ostinato esercizio della scrittura". Qui raccoglie, ordina, disordina il frutto multiforme del suo vizio, che non si limita a riflettere sui meccanismi segreti della poesia, ma si avventura a intervistare Marco Aurelio e Giulio Cesare, a redigere un paio di libretti d'opera, a tradurre in versi due classici di teatro, a scrivere racconti, epigrammi, aforismi e una tragica cronistoria del terremoto dell'Irpinia. La voce è sempre la sua, l'acume è inconfondibile, l'intelligenza è quella colta e libera di chi sta al mondo da ottantasei anni. Un percorso sorprendente a ogni pagina, condotto "con la perseveranza, con l'abnegazione, con l'inconfessabile voluttà" con cui si coltivano i vizi più radicali.
Massimo non è uno sfigato: ce lo hanno fatto diventare. La colpa al novanta percento è di Vito. È lui ad avergli affibbiato il nomignolo di Minimo, e se ti danno quel soprannome negli spogliatoi della piscina, è difficile che gli altri pensino che il tuo è un problema di altezza o di torace stretto. Vito però ha un segreto, un segreto fatto di lividi e serate trascorse trincerato in camera sua, e Massimo, suo malgrado, sta per scoprirlo. Poi c’è Celeste, divisa tra l’essere se stessa o trasformarsi in come mamma e papà la vorrebbero; Stefania, che desidera soltanto dimagrire; Margò, alle prese con un’estate da gigante prima di tornare hobbit a settembre. Intorno a loro, un’intera galassia di amici, parenti e adulti alle prese con una tempesta di incontri e scontri che nel corso di una manciata di giorni li cambierà per sempre.
Vigata, 1940. La sera dell'11 giugno, il giorno dopo l'entrata in guerra dell'Italia salutata dal paese intero come "la vincita di una quaterna al lotto", al circolo Fascio & Famiglia ricompare d'improvviso, dopo cinque anni di confino in quanto "diffamatore sistematico del glorioso regime fascista", Michele Ragusano. Nessuno, com'è inevitabile, lo saluta, ma gli animi in un attimo si riscaldano e volano male parole: fin quando a don Emanuele Persico, novantaseienne tutto pelle e ossa, squadrista della primissima ora, prende letteralmente un colpo. Tutto perché Ragusano gli ha chiesto con tono di sfida: "Il nomi di Antonio Cannizzaro vi dice nenti?". Qualcuno si inginocchia, avvicina l'orecchio al cuore del vecchio e sentenzia: "Morto è". Comincia così un esilarante circo di celebrazioni postume, di opportunismi e di verità sepolte, in cui ognuno eserciterà quell'arte sottile che è propria degli italiani d'ogni epoca: l'arte del revisionismo e del compromesso.
Di Giulia Di Marco esiste una storia ufficiale, che il tribunale dell'Inquisizione le ha cucito addosso nel Seicento: un'eretica, colpevole di aver sedotto e traviato l'intera Napoli. Poi esiste la storia vera, quella di una religiosa che ha dedicato la vita a soccorrere gli altri, prendendo il nome di "suor Partenope", come la Sirena che protegge la città e che rivive in tutte le sue donne. A loro indica una via nuova verso Dio: l'estasi, una comunione diretta dell'anima ma anche del corpo, senza la mediazione dei sacerdoti. Venerata come una santa, Giulia apre una voragine nell'ordine delle cose, sovvertendo regole e gerarchie. Occhi pericolosi si spalancano su di lei, occhi che non si chiudono neanche di notte: quelli del nemico più temibile, il Papa. Portata a Roma con la forza, Giulia conosce il dolore e l'umiliazione, ma rinasce giorno dopo giorno al fianco di un amico speciale, Gian Lorenzo Bernini, la cui ingenuità in amore si rivelerà grande soltanto come il suo genio.

