
C'è grande fermento in casa Cardillo, nella villetta vagamente vittoriana di un noto (più che altro alla polizia) quartiere di Detroit. I Cardillos, infatti, nelle persone di Tony, capofamiglia premuroso nonché quadro di quell'impeccabile azienda che è la mafia, Mary, sua moglie, e i due figli, sono in partenza per l'Italia, dove prenderanno parte all'evento più importante dell'anno: lo sposalizio della figlia di don Pinuccio 'o Cavaliere. Per Tony, un'irripetibile occasione di farsi notare dal burattinaio che muove i fili dei traffici di tutto il mondo. Peccato che, giunti in Italia - un Paese "ch'è tutto in miniatura" - ai quattro accada l'impensabile: si perdono in un bosco nel mezzo del Cilento e finiscono per imbattersi in Carminuccio, serial killer spietato e psicopatico, che li rapisce. Certo tutto poteva pensare, il povero Carmine, tranne che quell'allegra e chiassosa famigliola lo avrebbe trascinato nel più spaventoso degli incubi, mentre carabinieri e malavita, per recuperarli, si sfidano in un'indagine parallela al centro della quale c'è l'indizio più imbarazzante, della storia del crimine.
Un uomo che esce vivo dalla sua tomba, un ragazzino destinato a diventare un grande compositore, un leggendario generale napoleonico che non si piega al suo Imperatore, un romanziere dalla fantasia smisurata. Quattro vite immortali legate da un unico misterioso filo... Quando Wolfgang Amadeus Mozart, braccato dagli spietati membri della Sfinge, sparisce da Vienna, ha con sé un'unica cosa: un'antica scatola egizia di lacca nera con sopra un occhio d'avorio intarsiato, conosciuta come lo Scrigno dell'Immortalità. Nell'arco di un secolo quella stessa scatola passerà dalle mani del Maestro al suo giovane e promettente allievo di nome Gioacchino Rossini. E attraverso il Diavolo Nero, il soldato senz'anima mandato sulle loro tracce da Napoleone, arriverà a uno scrittore di talento capace di trasformare quella storia avvincente in uno dei più grandi romanzi d'avventura di tutti i tempi: "Il conte di Montecristo". Età di lettura: da 10 anni.
Dalila Di Lazzaro torna con un racconto intenso e struggente, che attraverso riflessioni, aforismi, schegge di pensiero offre ispirazioni per superare le tante piccole e grandi crisi di ogni esistenza: una sconfitta professionale, una malattia, il tempo che passa, la perdita di una persona cara, la fine di un'amicizia, la morte di un animale a cui si era molto affezionati. Come sostiene Dalila: «La vita è breve, proprio come una crisalide che diventa solo per un attimo una lieve farfalla: ci riempie di leggerezza e colori, e un attimo dopo scompare nel nulla». Non ha dunque senso affannarsi per cose futili e senza importanza, non ha senso irritarsi, vendicarsi, serbare rancore o vivere di rimpianti; dobbiamo invece custodire a ogni costo quella pace del cuore che ci fa reagire nelle avversità, e trovare energia in una rete positiva di relazioni: con noi stessi, con gli altri e l'intero universo.
La ragazza dell'albergo di Malpensa guarda partire e non parte. Il suo mondo è fatto di minuscoli brandelli di vite vissute altrove, vite che non sono la sua. Dell'esistenza di Pietro Fogliatti, la ragazza coglie due momenti: la fine di un matrimonio consumato, e un nuovo inizio, la partenza per Shanghai. È lì che il grande progetto imprenditoriale di Pietro vedrà finalmente la luce. Andare a Oriente, per sottrarsi al passato, ma anche per misurarsi con un paese dove i contrasti sono infiniti e i conflitti non esplodono mai. Nel suo bagaglio di imprenditore, Pietro porta con sé il ricordo del padre, morto di tumore per i veleni respirati sul lavoro. Nella sua fabbrica cinese, si dice Pietro, tutto questo non accadrà: niente morti bianche, niente sfruttamento, molti diritti. Ha in mente delle splendide utopie Pietro, e dimentica che le utopie sono un modo raffinato per suicidarsi. A ricordarglielo ci penseranno i soci americani e ci penserà il destino. Ma il destino gli farà anche incontrare Jin, la donna misteriosa che appende fiori a un semaforo, che lava i pavimenti e suona il pianoforte, che appare e svanisce, e che, come Pietro, aspetta segretamente la morte di chi le ha strappato la serenità. Pietro e Jin: due naufraghi, stretti l'uno all'altro per non affondare nel mare d'odio che hanno lasciato crescere intorno. Ma poi, rapidamente, tutto cambia, tutto si perde: Jin, la fabbrica, il sogno... E si perde anche Pietro, scompare dai radar del mondo civile.
Cos'è davvero la «Divina Commedia»? Non certo un polveroso tomo o una mera reminiscenza scolastica. Il poema immortale di Dante è ben altro: una «strepitosa storia d'amore», piuttosto, un'«esplosione di entusiasmo per Dio» e, soprattutto, il resoconto memorabile del viaggio più estremo e drammatico che un essere umano possa compiere. Un capolavoro che per la sua capacità di comunicare la potenza della fede cristiana e di parlare a ogni generazione, dovrebbe essere lettura indispensabile per noi cittadini spaventati di questo cupo XXI secolo, inghiottiti dal buio interiore della selva oscura in cui tutti, prima o poi, ci troviamo a vagare. Questa originale "traduzione" dell'«Inferno» - che qui rivive fedelmente in prosa e con le parole dell'italiano corrente - mostra l'impressionante contemporaneità dei temi e dei personaggi danteschi. Già la condizione iniziale del protagonista non può che stupire. È così moderna, così immediata per noi: l'angoscia, lo smarrimento, la solitudine, il sentirsi "gettati" nel mondo, la paura, la disperazione, il fallimento, il sentirsi braccati. Un'esperienza sbalorditiva in cui riconoscersi: perché il viaggio di Dante non è semplicemente grandiosa immaginazione, ma visione, testimonianza, esperienza. È un vero e proprio cammino di conversione, e il passo iniziale è costituito precisamente dal guardare in faccia il male. Se la modernità ha solo creduto di capire Dante, e in realtà non l'ha capito affatto, è perché ha creduto di conoscere il cattolicesimo. Dobbiamo avvicinarci all'«Inferno» con la stessa curiosità che si avrebbe per un poema riportato alla luce dalle ricerche su una civiltà perduta. Solo così la «Commedia», che è anche il racconto della risalita dall'abisso, fino a «rivedere le stelle», saprà rivelarci tutta la meraviglia del suo percorso di salvazione.
L’estate che cambierà per sempre la sua vita, quella del 1943, inizia con un lungo viaggio, dal Garda, dov’è nata e cresciuta, a Marina di Ravenna, dove per tre mesi dovrà esercitare la sua professione; sola, per la prima volta. Sa che spostarsi è pericoloso, ma il suo lago è divenuto ormai troppo stretto e ha bisogno di andarsene per dimostrare a se stessa, più che agli altri, chi desidera diventare. Un medico. Una donna. Entrambe le cose.
Ma anche così lontano da casa, il pregiudizio l’ha seguita. Quando compare sulla soglia del sanatorio, infatti, le infermiere, le suore, comprendono che, a dispetto del suo nome, Andrea Zanardelli non è il dottore che si aspettavano. C’è stato un errore, a cui però è impossibile porre rimedio. Unico rimprovero, il loro sguardo muto e sorpreso. Comincia quindi nel silenzio quell’estate. Un silenzio spezzato solo dall’inquieto moto delle onde del mare che Andrea non ha mai visto e dalle grida dei bambini che deve curare. Un silenzio lontano anni luce dalla guerra, dalla fine delle illusioni imperiali, dai proclami gridati, dalle divise e dai morti.
Ma che non durerà a lungo. Perché quell’estate segnerà una svolta per la storia del paese e per la sua vita. E non sarà più possibile tornare indietro.
La vita di Violette è uguale a quella di tante bambine. Due fratelli, Jean e Augustin, una madre premurosa, un padre completamente assorbito dal lavoro. Un cane, Javert, conosciuto per caso e amato all'istante. E tante case: la prima a Roma, poi a Parigi, infine a Plouzané, in Bretagna, a pochi metri dal mare, il posto migliore per curare le ferite dei sogni non realizzati. Le giornate di Violette corrono leggere, come quelle di tanti bambini, tra passeggiate, chiacchiere, giochi e letture. Le notti sono diverse. Perché Violette non dorme, cammina al buio, i piedi scalzi, l'abito celeste. Riempie le ore contando i libri dei genitori, tremilaottocentosettantotto per l'esattezza, sistema tutti i ricordi nel "ricordario", per non perderli più. E ogni giorno guarda il mondo e lo vede cambiare, le persone vanno a una velocità differente, crescono, invecchiano, spariscono. Invece lei rimane sempre la stessa, le stesse mani, lo stesso viso. Perché Violette è la bambina che non c'è. Non è mai nata, è il desiderio perfetto di tutti loro, mamma, papà, Jean e Augustin. Eppure vive, ride, corre, esiste, almeno fino a quando qualcuno continuerà a pensarla. Sul confine magico che divide la realtà dal sogno, Violette ci racconta il suo mondo con una leggerezza allegra e malinconica, raccogliendo gli attimi, le emozioni e i gesti che nessuno riuscirebbe mai a immaginare.
Nella Milano che vive l'attesa febbrile dell'Expo, la scomparsa del professor Attilio Scienza, a sole due settimane dal suo discorso inaugurale della grande manifestazione, non è certo una buona notizia. Perciò al Viminale hanno subito pensato a lui: schivo, in perenne conflitto con i giornalisti che non ama, di poche chiacchiere e molti fatti, Cosulich è l'uomo che risolve i casi in tempi record. Il commissario si mette sulle tracce dello scienziato e subito comprende che il movente si cela in una scoperta di Scienza, ma le piste sono tante: la ricerca e il business agroalimentare globale, la genetica, gli ogm, in un turbinio di personaggi - ambigui o pittoreschi ma sempre avidi - che ruotano intorno all'evento di risonanza mondiale. Su tutte, Cosulich è però affascinato dall'interesse dello studioso per il vigneto appartenuto nel lontano Rinascimento a Leonardo da Vinci. Quasi un'ossessione, quella di Scienza, per il giardino nel pieno centro di Milano dove il genio produsse realmente il suo vino, mentre dipingeva l'"Ultima cena". Saranno una lettera anonima e un crescendo di misteri a spingere Cosulich in un tunnel senza tempo ma dai protagonisti odierni e tutti molto, troppo interessati all'Expo. La malavita organizzata e un noto tycoon russo, un imprenditore dell'olio senza scrupoli e la giovane e ambiziosa assistente del professore, scienziati attempati e donne fatali...
C'è Remo, bevitore libertario, poeta e straccione, e la sua amata Bombolina, che lo adora quando non lo prende a bottigliate in testa. E il conte Costa Arrigoni, un nobile burlone che ama gli scherzi folli e che per un terribile scherzo del destino si farà folle per amore. C'è Bighe Boghe, improbabile yankee in salsa pistoiese, fanatico del boogie woogie, e Tubo, un partigiano che non ha mai dimenticato la bella staffetta che combatté con lui in montagna... E poi ci sono le loro avventure e disavventure, che si mescolano alla storia collettiva dai tempi della guerra ai giorni nostri, sul palcoscenico di una Toscana sospesa tra passato e futuro, provinciale ma verace, contraddittoria e talvolta feroce, eppure vitale e capace di tenerezza. Matti, litigiosi, cavallereschi, irresistibili: sono i toscani innamorati di Vauro Senesi, piccoli eroi irriducibili, anticonformisti per natura, capaci delle più spassose nefandezze e dei gesti più intrepidi. Impossibile non innamorarsene, impossibile non lasciarsi catturare da questa rocambolesca sarabanda di tragici amori e strampalate imprese, commoventi pazzie e instancabili ribellioni.
Guido Marchisio, torinese, 46 anni, è un uomo arrivato. Dirigente di una multinazionale, appoggiato dai vertici, compagno di una donna molto più giovane e bellissima: la sua è una vita in continua ascesa. Fino al 26 ottobre 2011, una data che crea una frattura tra ciò che Guido è stato e quello che non potrà mai più essere. Quella mattina, infatti, un incontro non previsto insinua in lui il dubbio: possibile che esista da qualche parte un suo sosia, un gemello dimenticato, un suo doppio misterioso e sfuggente? Giorno dopo giorno, il dubbio diventa ossessione e l'esistenza dell'ingegner Marchisio inizia, prima piano poi sempre più velocemente, a percorrere la stessa rovinosa china della sua azienda e della sua città. Di tutte le sicurezze costruite col tempo, non rimane più nulla: il suo ruolo di freddo tagliatore di teste, di manager di successo, la sua figura di uomo affascinante, tutto, per colpa di quel sospetto, sembra scivolare via da lui, come se accompagnasse l'emorragia che lentamente svuota l'industria italiana. Andare a fondo significherà per Guido affacciarsi all'orlo di un baratro e accettare l'inaccettabile.
Pistoia, 25 luglio: durante la festa di San Jacopo, patrono della città, due ragazzini in bicicletta trovano, vicino a un fosso, il cadavere di una donna, barbaramente uccisa, priva di documenti, vestita e truccata come una prostituta, probabilmente extracomunitaria. Dopo affannose indagini, portate avanti da carabinieri svogliati e un giovane cronista che sogna lo scoop, si scopre invece che il corpo è quello di Efisia Caddozzu, maestra elementare, che tutti credevano in vacanza, la cui scomparsa era stata segnalata solo dall'anziano padre, a cui nessuno aveva creduto. I sospetti sembrano portare sulle tracce della comunità albanese: Efisia faceva volontariato, conosceva il mondo degli immigrati e aveva preso sotto la sua protezione un ragazzo intemperante e violento. Ma chi era davvero Efisia Caddozzu? Perché una semplice maestra viene abbandonata sul ciglio di una strada con il cranio fracassato? Efisia era venuta dalla Sardegna agli inizi degli anni Sessanta: famiglia numerosa, carattere indomito, a tratti brusco e iracondo, aveva militato in Lotta Continua, aveva dedicato la sua vita all'insegnamento, al volontariato e aveva aiutato molti immigrati a inserirsi in città. Le indagini portano tutte a un unico indiziato: l'albanese, di cui si è persa ogni traccia. Ma la verità sulla morte di Efisia è un'altra. Per scoprirla sarà necessario scavare nelle ipocrisie più sottili e feroci dell'animo umano.
1046, Mantova. Tutto ebbe inizio con un sogno: un campo di battaglia, il fuoco, centinaia di morti. E poi una donna, i capelli rossi, l'armatura bianca, la spada in pugno, a ottenere la vittoria, riprendersi la sua terra. Questo sognò Beatrice di Canossa poco prima di dare alla luce la sua terza figlia, Matilde. Sapeva che la bambina avrebbe avuto un grande avvenire, ma mai avrebbe immaginato che potesse diventare un simbolo, la donna più temuta e rispettata del suo tempo, una combattente. Il suo destino, secondo la tradizione, era al fianco di un guerriero di nobili natali scelto dal padre. Solo una moglie, quindi, anche se blasonata, o una badessa di un importante convento. Ma le cose andarono diversamente. Dopo la morte prematura del padre, la cui posizione era considerata scomoda dall'imperatore Enrico III, e del fratello, avvelenato, Matilde si trovò costretta a governare, Grancontessa di tutte le terre italiche a nord dello Stato Pontificio, a combattere per difendere i suoi sudditi, al fianco del papa durante la Lotta per le investiture, a trattare per la pace tra Gregorio VII ed Enrico IV. Mai un giorno della sua vita venne speso per se stessa, ma la Storia la vede ancora oggi protagonista.

