
Che lettori va cercando questo libro che cerca segnali d'amore nell'universo? Coloro che vogliono conoscere tutto di Luca Barbareschi? Anche, certo. Ma più ancora chi, di questo personaggio che non si può dire si sia negato alle cronache lungo gli ultimi quarant'anni, pensa di sapere già tutto. Perché ogni pagina, ogni riga, ogni parola risulterà una scoperta. Senza negare né rinnegare nulla, Luca Barbareschi - con la "spudoratezza" di sempre - si racconta. Cerca segnali. D'amore. In una autonarrazione ironica, divertente, piena di energia. Di ciò che ha vissuto come uomo, come attore, come manager culturale, ci dice per la prima volta le motivazioni profonde. E come la ricerca di ciò che sta dietro l'apparenza si sia trasformata via via in cammino spirituale, un cammino che unisce ebraismo e neuroscienze, trasgressione e restituzione, rabbia e amore. Il "pirata" Barbareschi all'assalto non più dei velieri nemici ma di se stesso. Confrontandosi con le parole dei grandi - da Shakespeare all'ironia pungente di David Mamet, il suo autore di elezione - Barbareschi ha scritto un romanzo autobiografico dedicato a quanti non hanno smesso di credere nei loro sogni, nei cieli notturni, nelle storie antiche, nelle lunghe attese, nella voglia di fare festa perché la vita è questo strano gioco nel quale tutti ci troviamo a recitare.
«Bisogna prendersi cura dei doni come se fossero piccoli fiori selvatici: sbocciano senza il nostro aiuto, ma dobbiamo fare attenzione a non calpestarli, a non maltrattarli». E la piccola Livia di doni ne ha eccome. Come si fa a non accorgersene? Lei è una che quando si muove assomiglia a una nuvola trascinata dal vento, capace di rendere più colorato tutto quello che tocca. È timidissima, parla poco, però sorride a tutti. E poi ama scrivere, perché farlo la fa sentire diversa, nel senso di speciale, come se nelle sue vene al posto del sangue scorressero le parole. È un cuore puro il suo, e fragile, e per questo avrebbe bisogno di essere accudito e protetto. Però si sa, le stelle, le stesse alle quali Livia bambina si rivolge sommessamente tutte le sere, seduta sul terrazzo di casa, molto spesso si fanno gli affari loro e non sempre hanno voglia di guardare giù, di ascoltarci. Infatti, a un certo punto, nella vita di Livia accade qualcosa che le inceppa il cuore. Coll'aggravarsi della depressione della madre, tutto per lei diventa faticoso, difficile. Ragazzina sognatrice e poi giovane donna, Livia cerca comunque di spiccare il volo ma, quasi fosse una farfalla con un'ala di seta e una di piombo, non fa che sbattere da tutte le parti rovinando puntualmente al suolo. Così, caduta dopo caduta, sfinita da un amore - quello per la mamma malata - che si ciba della parte migliore di lei, inizia a non fare più caso alle piccole magie che accadono ogni giorno e finisce per rassegnarsi a lasciare andare tutti i suoi sogni. Quel che non sa è che l'amore è più potente di qualsiasi delusione e sa farsi largo anche tra le macerie di una vita che odora di terra bruciata come la sua. «Sempre d'amore si tratta» racconta la storia di Livia, dall'infanzia all'età adulta. E lo fa attraverso lo sguardo delle tante persone che, in momenti diversi, ne incrociano la strada, anche solo per poche preziose ore. Tante istantanee capaci di tratteggiare con precisione l'esistenza di una singola persona ma al contempo di raccontare anche un po' di tutti noi, di quanto sia difficile accogliere l'amore nella nostra vita, prendercene cura, proteggerlo e quanto sia spesso più facile, piuttosto, fuggirlo, maltrattarlo o convincersi di poterne fare a meno.
Il destino di Ercole, il più tragico degli eroi, è scritto nel suo sangue bastardo: per metà divino e per metà mortale, è frutto di una notte di passione rubata tra Zeus e la bellissima, inconsapevole Alcmena. Ma se l'ira di una donna tradita può essere implacabile, quella della Madre di tutti gli dei può trasformarsi in un'autentica maledizione. Era, accecata dalla rabbia per l'infedeltà del proprio sposo Zeus, ha in serbo per Ercole una vita di supplizi. Rifiutato dai genitori, che riversano tutto il loro amore sul suo gemello Ificle, il prodigioso ragazzo crescendo dimostra una forza fisica sovrumana, ma il suo animo è segnato da una ferita profonda. Nel senso di inadeguatezza e nella solitudine che lo abitano, trova terreno fertile la belva rossa della rabbia, che si abbatte persino su coloro che l'eroe ama davvero. Devastato dal senso di colpa, Ercole è così condannato a una lunga e tormentata espiazione: dodici insuperabili fatiche, impostegli dal pavido cugino Euristeo. Per guadagnarsi il proprio posto nell'Olimpo degli immortali, il figlio di Zeus si lancerà all'inseguimento di leoni invincibili, cerve dalle corna d'oro, mordaci uccelli dalle penne di bronzo, viaggerà ai confini del mondo e varcherà le soglie degli inferi. Ma ce la farà a lavarsi la coscienza dalle proprie gesta feroci, ad addomesticare la bestia ingorda che lo possiede e a trovare il coraggio di tornare ad amare? In questo primo volume del suo dittico, Simone Sarasso inizia a riscrivere la storia del più grande eroe dell'Occidente, e lo fa con uno stile moderno e visionario e il ritmo incalzante di un film d'azione, dando vita a un personaggio insospettabilmente vulnerabile, che incarna la fragilità stessa della condizione umana: un Ercole straordinariamente diverso da tutti quelli raccontati fino a ora.
A quasi cinquant'anni dalla sua scomparsa don Lorenzo Milani, prete degli ultimi e straordinario italiano, tante volte rievocato ma spesso frainteso, non smette di interrogarci. Eraldo Affinati ne ha raccolto la sfida esistenziale, ancora aperta e drammaticamente incompiuta, ripercorrendo le strade della sua avventura breve e fulminante: Firenze, dove nacque da una ricca e colta famiglia con madre di origine ebraica, frequentò il seminario e morì fra le braccia dei suoi scolari; Milano, luogo della formazione e della fallita vocazione pittorica; Montespertoli, sullo sfondo della Gigliola, la prestigiosa villa padronale; Castiglioncello, sede delle mitiche vacanze estive; San Donato di Calenzano, che vide il giovane viceparroco in azione nella prima scuola popolare da lui fondata; Barbiana, "penitenziario ecclesiastico", in uno sperduto borgo dell'Appennino toscano, incredibile teatro della sua rivoluzione. Ma in questo libro, frutto di indagini e perlustrazioni appassionate, tese a legittimare la scrittura che ne consegue, non troveremo soltanto la storia dell'uomo con le testimonianze di chi lo frequentò. Affinati ha cercato l'eredità spirituale di don Lorenzo nelle contrade del pianeta dove alcuni educatori isolati, insieme ai loro alunni, senza sapere chi egli fosse, lo trasfigurano ogni giorno: dai maestri di villaggio, che pongono argini allo sfacelo dell'istruzione africana, ai teppisti berlinesi, frantumi della storia europea.
Alex Gioia è uno dei più famosi cantanti italiani. La sua vita, baciata dal successo, è attraversata da un cruccio che lo tormenta: non aver potuto vivere fino in fondo la sua storia d'amore con Greta, una ragazza più giovane di lui, conosciuta durante un evento a Napoli. Alex e Greta si sono rincorsi, si sono sfiorati, ma il momento per loro non è stato mai quello giusto. Da qualche tempo Alex si è trasferito a Parigi, per riprendere fiato in una città in cui non conosce nessuno e nessuno lo conosce, per ritrovare la sua ispirazione perduta. Un giorno, in metrò, si incuriosisce osservando una donna che scende sempre a fermate diverse con persone diverse, facendo delle bolle di sapone. Ne resta affascinato, si presenta e si ritrovano a parlare di occasioni mancate e di rimpianti. Improvvisamente Nirvana, questo è il nome della ragazza, offre ad Alex un dono: un tubo di bolle di sapone. Un tubo magico, gli spiega, e ogni volta che soffierà potrà tornare a un giorno del suo passato, e cambiarlo. Ma ogni viaggio avrà un prezzo. Per ogni tentativo fatto per tornare indietro nel tempo, Alex dovrà dare in cambio un anno della sua vita. Un anno per un giorno. Alex torna all'albergo in cui vive, credendo sia uno scherzo. Finché, ripensando a Greta, non osserva il tubo e viene preso dalla voglia di soffiare. E se Nirvana avesse detto la verità? Se davvero il passato si potesse cambiare?
Una vacanza a New York programmata da tempo, la sveglia che non suona, l'inutile corsa in aeroporto. E, quando la prospettiva di partire sembra ormai sfumata, l'inaspettato regalo di uno sconosciuto. Il protagonista di questo libro non sa che quella mattina, quando con leggerezza accetta la curiosa proposta di un viaggio in Tibet, sta dicendo di sì al destino. Nulla succede per caso e, ora che gli ingranaggi si sono messi in moto, i suoi occhi stanno per aprirsi su una realtà impensabile. Da un incontro fortuito prende infatti avvio un percorso iniziatico in un monastero tibetano, dove grazie alle sagge parole di un anziano monaco scopriremo verità sconvolgenti e l'esistenza di una realtà fino ad ora inimmaginabile.
Questa raccolta di importanti testi due-centeschi può essere una felice scoperta, afferma Marco Santagata nella sua premessa. Addirittura, precisa, una doppia felice scoperta: «quella di una tradizione in volgare di visioni dell'aldilà e di testi didattico-escatologici che precede di poco il poema di Dante, e quella di una zona padana, fra Milano e Verona, sulla cui produzione letteraria quasi mai anche le persone colte - prese dai lirici di Sicilia, dai guittoniani, dagli Stilnovisti, dai laudisti, insomma, dalla grande fioritura poetica dell'Italia mediana - gettano un occhio». I poemi di Bonvesin da la Riva e Giacomino da Verona, qui accompagnati da alcuni passi scelti dalle opere di Uguccione da Lodi e Pietro da Barsegapè, costituiscono esiti letterari di inconfondibile fisionomia e grande tenuta per diversi motivi. In primo luogo per l'energia della tensione e delle finalità squisitamente morali che si prefiggono, e che costituiranno sempre, anche nei secoli successivi, una matrice e un carattere della cultura letteraria settentrionale. In secondo luogo per il loro collocarsi attivamente in un clima e in una tematica - quelli, appunto, delle visioni e dei viaggi d'oltretomba - specifici dell'epoca e che troveranno poi nella Commedia dantesca la più elevata e ineguagliata espressione. E ancora per la grande forza ruvida, originaria, espressivamente inquieta e carica di episodi e scene di una penetrante concretezza, dei versi di questi quattro autori. La cui opera viene qui proposta, con testo a fronte e nella traduzione in versi italiani, da quattro poeti del nostro tempo, Maurizio Cucchi, Mary Barbara Tolusso, Giorgio Prestinoni e Fabrizio Bernini: decisamente, apertamente coinvolti dall'esemplarità di quei lontani maestri, tanto da impegnarsi nell'esercizio e nella bellissima avventura di ricrearne lo spirito e i valori.
Quarta raccolta poetica di Sergio Zavoli pubblicata nello "Specchio", "La strategia dell'ombra" conferma l'auspicio espresso da Carlo Bo all'uscita della prima silloge: «Zavoli aveva in serbo un discorso poetico che ci auguriamo lungo». Un lavoro poetico, quello di Zavoli, che mostra una nitida coerenza tra pensiero e linguaggio, mettendo in un decisivo risalto la maturità della sua vocazione. E, rivelandoci la zona rimasta "in ombra" dell'animo del poeta, i suoi versi non tendono ad alzare i toni, ma confermano una scelta profondamente e stilisticamente rigorosa. In questo nuovo libro c'è una forza e una grazia, un'ironia e una gravità che nelle intonazioni della "narrazione" più privata sono il frutto di un prestigioso impegno comunicativo, già incline a una ferma cultura dell'immaginazione e del reale, dell'esistenza e del civismo, del laicismo e della spiritualità, tali da non interrompere, semmai ribadire, l'esplicito giudizio di Carlo Bo, secondo cui «i versi destinati all'arcano disegno di una creazione che ci obbliga di continuo a una difficile scelta restituiscono bene una sorta di sacro allarme» di fronte all'«infinito bivio». Al quale «il padrone di tante voci umane - maestro del "mestiere di chiedere", per usare una sua espressione - allega una sfida consapevole e libera, mostrandosi con il suo volto tutto rischiarato, in una luce ancor più dichiarata e pura». "La strategia dell'ombra" ricrea, citandoli come in una sorta di diario, i segni di una sempre più sorprendente continuità tra le parole rivolte al passato, affrontando la loro complessa, ardua, non dirado drammatica contemporaneità.
Questa storia si svolge nell'arco di un'unica giornata: il 2 agosto del 1980. Il giorno della strage di Bologna. Sono le otto di mattina, la periferia romana sonnecchia nell'afa. I Di Giacomo stanno facendo gli ultimi preparativi prima di partire per le vacanze. Matilde fa un veloce saluto a Marta, la vicina di casa, e come sempre si ritrova a invidiare la sua famiglia allegra e numerosa e il corpo procace esibito senza vergogna. Non può immaginare di essere a sua volta invidiata da Marta, che spesso si sorprende a sognare una vita ordinata e tranquilla come quella dell'amica. Soprattutto oggi, che ha scoperto di essere di nuovo incinta e all'idea di ricominciare un'altra volta da capo si sente male, con tutti i pensieri che le danno le sue figlie. Specialmente Gianna, che studia lettere a Bologna e con lei ha sempre avuto un rapporto difficile. Alle dieci passate, mentre Matilde e i suoi sono incolonnati nel traffico, Gianna, da un'aula universitaria di Bologna, sente le sirene attraversare la città. Il professore sospende la lezione, "è successo qualcosa alla stazione", pare sia scoppiata una caldaia o una bombola di gas. Alla ragazza basta un istante per capire che è sfuggita all'incidente per puro caso. I Di Giacomo apprendono la notizia in macchina, alla radio. E, per uno scherzo del destino, in quel momento anche la loro vita subirà uno strappo definitivo. Dalla stazione si alza una colonna di fumo, gli autobus si improvvisano ambulanze, e tra la folla cominciano a circolare le prime voci: "non può essere una caldaia, è un disastro", "una bomba, un attentato". Sotto le macerie sono in tanti, alcuni vengono estratti vivi. Tra loro c'è Marina, vent'anni, fresca di assunzione alla contabilità. Ma, a differenza delle sue colleghe Euridia, Rita, Mirella, Franca, Nilla e Katia, lei d'ora in avanti dovrà imparare a sopportare il ruolo, "del tutto fortuito, della sopravvissuta e della testimone". La sua, in mezzo alle tante storie possibili di questo romanzo, è una storia vera. Maria Pia Ammirati, con la sua lingua empatica e vitale, ha scattato un'istantanea feroce dell'Italia di quel giorno. Ma Due mogli è anche una toccante riflessione sul ruolo che il caso e il destino giocano nelle nostre vite, una partitura a più voci - incredibilmente attuale - in cui le deflagrazioni della grande Storia si sovrappongono al rumore sottile delle piccole storie di persone comuni.
Bologna, anni Ottanta: Tommy Bandiera, orfano di padre, cresce con la mamma Alice e la famiglia di lei. I racconti dell'avventuroso zio Ianez, i giochi condivisi con gli amici Athos e Selva fra cortile e parrocchia, e le prime, timide, relazioni con le coetanee scandiscono le tappe della sua crescita sino alla sconvolgente apparizione del vero amore. L'impareggiabile Ester, però, fa battere il cuore anche al nuovo arrivato Raul, che di Tommy diventerà la guida e la nemesi, il modello irraggiungibile e il "peggiore amico" capace di scortarlo attraverso le prove iniziatiche tutt'altro che innocenti dell'adolescenza. L'asimmetrico triangolo che li lega negli anni delle scuole superiori prenderà via via i colori di una tenera educazione sentimentale e di una conturbante lotta per trovare il proprio posto nel mondo; la meraviglia e la fatica del diventare grandi li metteranno di fronte a scelte non scontate e passi senza ritorno, tradimenti che li sprofonderanno nell'abisso della disperazione e inattese prove di lealtà capaci di riaccendere la fiducia, sino alla grande, incancellabile, avventura che vedrà i tre ragazzi protagonisti nell'estate dei diciott'anni.
Immaginato come un quaderno-diario di Sigmund Freud, questo affascinante romanzo – scritto da Stefano Massini in oltre sette anni di appunti e studi – è a tutti gli effetti un geniale clamoroso falso letterario. Perché nessuno ha osato origliare dentro i segreti di quel volume – L’interpretazione dei sogni – destinato a rivoluzionare la nostra percezione del mondo.
Cosa c’è oltre quel libro? E soprattutto chi c’è dietro? Per rispondere, Massini indaga l’animo dell’indagatore stesso e conduce il lettore all’esaltante scoperta di un Sigmund Freud reinventato, un personaggio meno scienziato e più Prometeo, intriso di un immenso fascino letterario: è come se il capolavoro di Freud venisse a sua volta sognato e riproposto in una forma anarchica, suggestiva e intensa.
Scorrono allora, pagina dopo pagina, decine di casi, decine di sogni, decine di pazienti e di umanissimi conflitti. Il tutto all’insegna di una grande domanda: come si legge un sogno?
In questa epopea, l’emozione di sentirsi coinvolti è fortissima fin dall’inizio, fin dal primo incubo infantile nel quale Freud veniva “derubato di se stesso”. Prende così forma un viaggio meraviglioso, in cui Massini ricostruisce passo per passo l’elaborazione di un metodo, usando i sogni come veri e propri “casi” che Freud risolve come se fosse Sherlock Holmes, con la capacità di deduzione e intuizione propria dei più grandi detective della storia. E in un susseguirsi di fallimenti e di trionfi, tutto si intreccia con il caso più difficile, quello dell’isterica Tessa W., il cui sogno cela inauditi traumi da far riaffiorare.
Dopo il successo eccezionale di Qualcosa sui Lehman (premio Selezione Campiello, salutato come un capolavoro dai principali giornali italiani e internazionali), Stefano Massini firma un’altra grande sfida letteraria: dopo il corpo a corpo con l’economia, il suo sguardo si ferma adesso sulla psicanalisi. E lo stile è inconfondibile, soprattutto se la lingua ritmica che aveva incantato i lettori di Qualcosa sui Lehman diviene qui la lingua del sogno, contrapposta alla prosa della riflessione e della vita quotidiana.
Con un nuovo libro straordinario, avvincente come un giallo e capace di rendere romanzo la teoria freudiana, Massini conferma di essere uno dei più originali e importanti scrittori contemporanei.
Antonio Pennacchi torna con un nuovo capitolo della saga della famiglia Peruzzi, in cui racconta gli anni Cinquanta dell'Agro Pontino, del "mondo del Canale Mussolini" e delle donne e degli uomini che lo abitano. E come sempre, nell'opera di Pennacchi, la "piccola" Storia delle famiglie originarie del Veneto, che erano scese nel basso Lazio alla fine degli anni Venti del Novecento per colonizzare le terre bonificate dal regime fascista, e che lì erano diventate una comunità, si intreccia e si mescola con la "grande" Storia italiana e internazionale del dopoguerra. Otello, Manrico, Accio, e tutti i figli e le figlie di Santapace Peruzzi e di "zio Benassi", crescono negli anni del boom economico, mentre Littoria diventa Latina, e si sviluppa, si dirama, si spinge fino al mare, grazie a quella "Strada del mare" per costruire la quale Otello si spezzerà la schiena, che legherà Latina allo scenario splendido e maestoso del Mediterraneo, del lago di Fogliano e del promontorio del Circeo, e che sarà poi percorsa, oltre che dagli abitanti delle paludi pontine, dai grandi nomi della storia italiana e internazionale di quegli anni, tra cui Audrey Hepburn, e John e Jacqueline Kennedy. E così, tra realtà e finzione, sogno e cronaca, seguendo e raccontando lo scorrere degli avvenimenti, Antonio Pennacchi traccia i percorsi dell'anima dei suoi personaggi e costruisce un romanzo corale. "La strada del mare" è una nuova tappa dell'epica italiana del Novecento.