
La vita di desolazione e sfruttamento di una comunità contadina nell'Italia meridionale. Una saga dolorosa di uomini che subiscono l'ingiustizia e la sopraffazione come ineluttabili, fino all'inevitabile ribellione.
Città reali scomposte e trasformate in chiave onirica, e città simboliche e surreali che diventano archetipi moderni in un testo narrativo che raggiunge i vertici della poeticità. Postfazione di Pier Paolo Pasolini.
Il narratore ripercorre la lunga vicenda del fratello, Cosimo di Rondò, vissuto nella seconda metà del XVIII secolo a Ombrosa, in Liguria. Cosimo, per sfuggire a una punizione inflittagli dai suoi educatori, decide di salire su un albero per non ridiscendere mai più. Cosimo si costruisce un mondo aereo dove diversi personaggi della cultura e della politica (Napoleone compreso) lo vanno a trovare, testimoniandogli la loro ammirazione. Vive anche una tormentata storia d'amore con la volubile Viola. Cosimo muore vecchio, senza mai discendere in terra: ammalato, in punto di morte, si aggrappa alla fune di una mongolfiera e scompare mentre attraversa, così appeso, il mare. Postfazione di Cesare Cases.
"L'impresa di cercare di scrivere romanzi 'apocrifi', cioè che immagino siano scritti da un autore che non sono io e che non esiste, l'ho portata fino in fondo nel mio libro 'Se una notte d'inverno un viaggiatore'. È un romanzo sul piacere di leggere romanzi; protagonista è il Lettore, che per dieci volte comincia a leggere un libro che per vicissitudini estranee alla sua volontà non riesce a finire. Ho dovuto dunque scrivere l'inizio di dieci romanzi d'autori immaginari, tutti in qualche modo diversi da me e diversi tra loro ... Più che d'identificarmi con l'autore di ognuno dei dieci romanzi, ho cercato d'identificarmi col lettore: rappresentare il piacere della lettura d'un dato genere, più che il testo vero e proprio. Ma soprattutto ho cercato di dare evidenza al fatto che ogni libro nasce in presenza d'altri libri, in rapporto e confronto ad altri libri." (Italo Calvino)
La vita di un professore non è mai facile: la noia nello sguardo degli studenti, la loro smania di guardare i cellulari durante la lezione, l'aria che, tra ormoni e finestre chiuse, si fa ben presto irrespirabile. E in più la consapevolezza che "gli studenti che vanno bene avrebbero buoni voti con qualunque insegnante; quelli che vanno male invece vanno male con te". È così anche per il protagonista di questo romanzo, un professore di Lettere, cinquantenne, vedovo, solitario, che da tempo ha perso la fiducia nell'incanto del suo lavoro. E di incanto non c'è nemmeno l'ombra nella rivoluzione messa in atto dalla nuova Dirigente scolastica, Lisa Bardella - un passato politico aggressivo -, decisa a razionalizzare la scuola in base ai più moderni criteri di valutazione e a renderla una vera e propria "Scuola della Felicità". Obiettivo principale è aumentare la "Fil", ovvero la Felicità interna lorda, ma anche, o forse soprattutto, recuperare iscritti. Nel frattempo, nell'istituto cominciano a verificarsi strani avvenimenti: chi si intrufola in piena notte per dipingere sulle pareti enigmatici murales di protesta? E perché gli studenti si sono divisi in due fazioni concorrenti, i Marci, contrari a quello che considerano un degrado dell'istituzione scolastica, e i Benesserini, sostenitori invece della Dirigente e dei suoi metodi? Un commovente romanzo di formazione, in cui ad affrontare un processo di profondo cambiamento non sono solo gli adolescenti, ma anche il loro insegnante.
Ci sono due tipi di passione. Una non mi piace, l'altra non m'interessa. Cosa hanno in comune la vita di Elsina Marone, miliardaria, impareggiabile ancheggiatrice e una breve esperienza da pilota di Formula 1, e quella di Salvatore Varriale detto (dai nemici) 'a Libellula, boss della camorra nascosto (dagli amici) in uno scantinato del casertano? E quelle di Peppino Valletta, romantico cantante di piano-bar, che vive per il figlio disabile, e di Linda Giugiù, imbattibile, o quasi, al tavolo da poker? O ancora quelle di Aristide Perrella, inesorabile e mostruosa forza della natura, di Donna Emma, perfida viceportiera in un signorile stabile sulla panoramica di Napoli, di Girolamo Santagata, "avvocato romano e misantropo internazionale", di Enza Condé, scienziata di fama planetaria, di Marco Valle, bolognese e taciturno, e di Settimio Valori, "infaticabile patrocinatore di se stesso e uomo di sconcertante banalità"? Hanno in comune che sono, appunto, vite. E come ogni vita sono composte di tutte le cose che ci sembrano decisive e non lo sono, di sparuti momenti di felicità e abissi di dolore, di una apparente monotonia rotta da squarci di luce e grazia, da illuminazioni improvvise, da migliaia di aspetti forse irrilevanti ma non per questo secondari. Partendo dai ritratti del fotografo Jacopo Benassi, Paolo Sorrentino immagina l'esistenza delle persone immortalate, senza conoscere i loro nomi, le loro generalità, che cosa facciano o abbiano fatto. E il risultato è un libro eccezionale, in cui Sorrentino è straordinario nella capacità di alternare i registri e i contenuti, passando nel giro di una frase dal dolore al riso, dalla commozione all'ironia, raccontando senza soluzione di continuità storie d'amore, di solitudine e di amicizia, commedie, melodrammi, tragedie e farse. I personaggi del libro si dispongono così l'uno accanto all'altro e sembrano interagire a distanza, come le figure che compongono un grande, meraviglioso affresco il cui soggetto è la vita stessa, figure non indispensabili se prese singolarmente ma fondamentali all'armonia e alla forza del dipinto. E chiusa l'ultima pagina, Gli aspetti irrilevanti appare per quello che è: un grande meraviglioso romanzo corale sull'esistenza umana.
"Nessuno è tanto annoiato quanto un ricco" dice Mauro Corona parafrasando il grande poeta Iosif Brodskij, e lo sa bene il protagonista di questo romanzo, un ragazzo talmente abituato a ottenere tutto dalla vita che ormai da tutto è nauseato. Di ottima famiglia, ricchissimo e anche piuttosto affascinante, a nemmeno trent'anni è già uno stimato ingegnere cui non manca davvero nulla: ville, automobili, ma anche amici, donne e salute. Un eccesso di cose per lui sempre più opprimente... È per questo che di punto in bianco decide di dare una svolta radicale alla sua esistenza abbandonando il lavoro e rinunciando a ogni comodità per andare a vivere in una baita di montagna. E proprio mentre comunica ai genitori l'intenzione di ritirarsi sdegnosamente dal mondo, ne capisce ancora più profondamente le ragioni. Evocando le memorie dell'infanzia, scopre infatti i ricordi buoni: visioni di cime lontane, limpide sorgenti, ruscelli canterini, pascoli verdi e cascate lucenti di sole. Sì, il sole! È lui il ricordo più bello, il vero motivo che lo spinge a lasciare tutto e trasferirsi lassù. Ma una volta tra i monti, dove finalmente può dedicarsi incessantemente alla contemplazione della palla infuocata, si accorge che le ore di luce a sua disposizione non gli bastano più...
Stavano così bene insieme, cosa è successo alla loro vita? Cosa è successo ai due chiusi in una camera d'albergo con il cartello "non disturbare" sulla porta? Dove sono finite la passione, la complicità? Il romanzo è un'immersione nella vita quotidiana di una coppia, nell'evoluzione di un amore. Racconta la crisi che si scatena alla nascita di un figlio e, ancora di più, racconta di quando qualcosa rompe l'incantesimo tra due innamorati. E suggerisce, lascia intravedere una risposta, una via d'uscita. È come se i protagonisti dei suoi romanzi più amati, "Il giorno in più" o "Il tempo che vorrei", si ritrovassero ad affrontare quello che viene dopo l'innamoramento, la responsabilità e la complessità dello stare insieme per davvero. Volo sorprende per la capacità di fotografare e dare un nome ai sentimenti, perfino quelli meno nobili e non per questo meno comuni. Si tratta di un romanzo diretto, sincero, spudorato. Leggendolo capita di ridere e commuoversi, come quando qualcosa ci riguarda da vicino.
Il 25 maggio del 1944 finisce la guerra a Littoria, la futura Latina, e il Canale Mussolini, dopo essere stato per mesi la dura linea del fronte di Anzio e Nettuno, torna a essere quello che era, il perno della bonifica pontina. Inizia la ricostruzione mentre al Nord la guerra continua e coinvolge i Peruzzi su tutti i fronti, repubblichini o partigiani. Antonio Pennacchi torna a narrare le gesta dei Peruzzi, famiglia di pionieri bonificatori, grandi lavoratori, eroici spiantati, meravigliosi gaglioffi e donne generose.
"Il mio nome è Fabro e di mio padre so solamente che era maniscalco e che non aveva un filo di fantasia." Così si apre l'epopea di Fabro, uomo semplice e forte, capace di rialzarsi e ricominciare nonostante i colpi che la vita non risparmia. Fabro nasce in una stalla ai piedi delle montagne un mattino di novembre del 1925 scaldato dal fieno e dal respiro di quattro mucche, perché "ci sono cose che, se sei povero, non cambiano mai". La sua infanzia trascorre serena tra i boschi e i picchi delle Dolomiti e alla scuola elementare incontra Rina, una bambina timida con un sorriso che solo lui sa accendere, un sorriso capace di scaldare gli inverni più freddi. La vita va avanti, dà e toglie, generosa e spietata, finché Fabro scopre la musica. Se ne stava nascosta in un vecchio armonium, nella chiesa di Tai di Cadore. La melodia che esce vibrando dallo strumento è il respiro del bosco, il vento che accarezza rami, e lo pervade d'incanto. Poi arriva la guerra e Fabro deve lasciare casa per andare in bottega a Cibiana, il mitfico paese delle chiavi. Qui viene iniziato a segreti di un mestiere antico e affascinante. La musica però non smette di aspettarlo. C'è un organo nella chiesa del paese che il parroco suona durante la messa. Una sera Fabro si siede sullo sgabello, guarda fuori dalla finestra e inizia a suonare, sono le sue montagne a suggerirgli la melodia, lui solamente le ascolta e le copia...
Anche Luciano De Crescenzo, come tutti i comuni mortali, un giorno decide di imbiancare casa, con quel che ne consegue: sgombrare, riordinare, eliminare, inscatolare, in breve mettere ordine nel caos accumulato negli anni. "A darmi una mano" racconta "è stata mia figlia Paola. A un certo punto, tra le tante scatole ne ho ritrovata una che avevo messo da parte un po' di tempo fa, e in cui avevo conservato vecchie fotografie. 'Paola, vieni a vedere come sono belle queste foto! Ma chi l'ha fatte?' E lei: 'Chi può averle fatte se non tu!' 'Ora che mi ci fai pensare, forse fanno parte di quella serie di foto su Napoli che ho scattato negli anni Sessanta... Lo vedi com'era bella la nostra città? Paole', sient' a me , ogni luogo del mondo avrebbe bisogno di un po' di Napoli, perché Napoli non è una semplice città, ma uno stato d'animo!' La scrittura non è stata la mia prima passione... Prima di ricorrere alle parole, la Napoli dei quartieri, quella dei panni stesi al sole, dei numeri al Lotto, dei misteri, l'ho raccontata con la macchina fotografica. Il primo problema che mi ritrovai ad affrontare era come fotografare le persone senza bisticciare. Di solito fingevo di essere uno straniero, e per la precisione un tedesco. I napoletani sono da sempre gentili con i turisti, infatti mi lasciavano fare, senza opporre resistenza. Anzi, a volte si mettevano anche in posa. Alcuni scatti però, preferivo rubarli. Per farlo ricorrevo a due cascetelle di mia invenzione. Ora, per chi non è pratico della lingua napoletana, la cascetella altro non è che una piccola scatola. Le mie erano nere e di diverse dimensioni: una un po' più grande, simile a una valigetta quarantott'ore, e una un po' più piccola, quasi delle dimensioni di un borsello. Entrambe erano munite di una tracolla e di un foro per l'obiettivo. Mimetizzavo al loro interno la macchina fotografica, e grazie a un piccolo cavo che nascondevo nella manica della giacca potevo attivare lo scatto. Così passeggiavo per le strade della città e al momento giusto, quando una scenetta attirava la mia attenzione, spostavo la mano che copriva il foro dell'obiettivo e... click ! L'immagine era rubata. Un po' per nostalgia, un po' per il piacere di far conoscere anche ai più giovani la mia Napoli, ho deciso di raccogliere in questo libro una selezione delle foto ritrovate e inedite, e di accompagnarle con alcuni dei racconti che hanno contribuito alla mia carriera di scrittore. Volutamente ho deciso di non indicare i luoghi dove sono state scattate le foto, in parte perché a una certa età si fa fatica a ricordare, in parte perché mi auguro che, nel tentativo di riconoscere i luoghi, si presti più attenzione ai dettagli, scovando quei particolari che mi hanno fatto innamorare di una Napoli che secondo alcuni non c'è più. Che poi, come dico sempre, io di questa cosa non sono del tutto convinto".
Pubblicato nel 1961 e premio Strega nello stesso anno, il romanzo ruota intorno alla figura del giovane napoletano Massimo De Luca, per molti aspetti trasparente alter ego dell'autore, ed ha come palcoscenico Napoli, la città "che ti ferisce a morte o t'addormenta", che si identifica con l'amore perduto d'una donna e coi miti d'una giovinezza troppo presto conclusa.