
Il libro è formato dall'intreccio di storie raccontate, di immagini, di spiegazioni delle une e delle altre, allo scopo di dare un'idea più precisa degli anni fra il 1590 e il 1630. La città al centro di questi racconti è Bologna. Le storie sono quasi tutte tratte dagli atti dei processi del tribunale criminale del Torrone (così detto dalla grande torre in cui aveva sede), che operò in città dal 1535 circa al 1796.
Narratore, critico letterario e compagno di strada di Tondelli per alcuni anni, Enrico Palandri intesse in questo libro un dialogo serrato e appassionato con lo scrittore e con l'amico scomparso. Un dialogo che prende le mosse dalla Bologna degli anni Settanta, la città del Dams, della contestazione studentesca e di Radio Alice, ma che arriva a scavare le radici profonde dell'ispirazione letteraria di Tondelli, la portata reale del suo lavoro di scrittore, il significato della sua morte prematura, la sua eredità ancora viva.
È il 1354. Il ricco mercante Giannino viene convocato in Campidoglio da Cola di Rienzo, che gli si getta ai piedi e gli rivela: "Voi siete il legittimo re di Francia, vittima di uno scambio in culla avvenuto pochi giorni dopo la vostra nascita". La grande Storia travolge la vita del tranquillo mercante senese. Nel pieno della Guerra dei Cento Anni, Giannino rivendica il proprio diritto al trono e si aggira per l'Europa in cerca di aiuto. Sostenuto in segreto da una potenza nemica della Francia, coinvolge nel suo disegno cardinali e gran signori. Si procura documenti falsi, una corona, una spada, un'armatura e, alla testa di una compagnia di mercenari, si lancia alla conquista del 'suo' regno.
L'infanzia segnata dalla guerra, il desiderio di vivere ascoltando e raccontando storie, il teatro, gli incontri, i viaggi attraverso i cinque continenti, di stazione in stazione. E poi l'impegno civile, lo sguardo attento alle ingiustizie del presente: la guerra, il terrorismo, le offese ai bambini, alle donne, alla natura. Dacia Maraini parla di sé, delle tappe e delle ragioni di un lungo percorso di scrittura e di vita. Con la passione e la sensibilità che mette in gioco nei suoi romanzi e nel dialogo generoso con migliaia di lettori in tutto il mondo.
Partito per l'india del sud senza ragioni o necessita evidenti, a pochi giorni da una immane catastrofe naturale, un uomo capitò per caso in un posto chiamato Mullur. Mentre i giorni passavano, quella che doveva essere la prima tappa del suo viaggio iniziò a trattenerlo, come se fosse dotata di una volontà propria, e di un progetto nei suoi confronti. Ma un viaggio che si ferma alla prima tappa è ancora un viaggio? E se non lo è, c'era forse un altro nome più adatto?
La malìa è trappola e incanto, e di trappola e incanto la città di Salvador de Bahia sembra voler raccontare a chi se ne appassiona. È un'illusione faticosa, foriera di grandi dispiaceri, ma capace di rinnovarsi ogni volta che la si vorrebbe abbandonare. Un mondo che canta e balla quando vorrebbe piangere. Che sa ridere beffardo come trainasse sempre dietro di sé un gigantesco carro di carnevale. Una comunità nera, povera, che non si lascia mai, resta unita a dispetto di tutto, e una minoranza ricca, bianca, che vive il proprio maggior agio in solitudine e quasi in silenzio. Un mare che certe mattine è azzurro. Un aeroporto che si guarda dalla macchina pensando che si potrebbe non volare mai più, rimanere qui a vedere alternarsi la luce squillante, l'umido e la pioggia.
La Valle dei Belice è una distesa di rovine quando la famiglia Susani vi si trasferisce per vivere in una baraccopoli. I genitori di Carola, che all'epoca ha solo quattro anni, lavorano alla ricostruzione insieme al gruppo del Centro Studi e Iniziative Valle Belice, nato da una scissione del Centro Studi di Danilo Dolci. Questa è la memoria di quell'esperienza, racconto di un viaggio, minima ricostruzione di storia orale e un po' anche romanzo. Nel libro ci sono le rovine, c'è Danilo Dolci e il lavoro che con il suo gruppo faceva da molto prima del terremoto, c'è l'infanzia nelle baracche alla Comune che affiancava il Centro studi, tra amici mai smarriti, tetti che si scoperchiano, leggende spaventose di maiali che divorano i morti; ci sono le persone che si raccoglievano intorno al Centro, ci sono anche minacce e intimidazioni mafiose, misteriosamente compaiono anche Bettina e Regine, le figlie di Ulrike Meinhof. E qualcosa viene fuori dell'onda lunga del Sessantotto e dei suoi contraccolpi.
"Accanto alla Trieste austroungarica è sempre esistita un'altra Trieste. Accanto alla città dei caffè letterari, della composta amicizia di Svevo e Joyce, c'è sempre stata un'altra città, morbida, disinvolta, picaresca, dai connotati quasi carioca. C'è un edonismo antico, morale, nei triestini. E anche un vitalismo moderno un po' easy-golng, alla californiana. Trieste è una città meridionale, la città più meridionale dell'Europa del Nord." A spasso per vicoli e piazzette, lungo gradinate a picco sui mare, bighellonando nella bora che spezza il fiato e pulisce l'aria: quindici itinerari narrativi svelano e ricompongono il puzzle affettivo e affettuoso di una Trieste ricolma di storia, curiosità, contraddizioni.
La passione calcistica è una di quelle pericolose ossessioni in grado di annientare l'equilibrio mentale e spirituale del più posato e sano degli individui. Ma che succede se la squadra per cui si tifa, per cui si soffre e si gioisce, per cui si urla e ci si dimena, è il Toro? Che succede se quella squadra deve confrontarsi con la sovrannaturale fortuna che da tempo immemorabile accompagna le sorti della sua rivale, la più odiata, la più amata dagli italiani, la famigerata altra squadra? Tra derby, cori e sfottò, memorabili partite di Coppa, finali e semifinali, gol, pali, traverse, truffe, dolori e felicità, un inno alla gioia di essere granata.
"Firenze è come una bella donna che usa la sua bellezza soltanto per essere bella. Un meccanismo incantato. Questa attitudine le conferisce un aspetto ingessato e polveroso. Uno strano paradosso. Firenze, città di mercanti, viene spesso accusata di essere una città in vendita. Il problema è che Firenze vende solo Firenze, come in uno spaventoso gioco di specchi, e nessuna delle due invecchia, né la città né la sua immagine da un tanto al chilo. Mangiando se stessa, Firenze ha finito per avvelenarsi." Elena Stancanelli cammina con leggerezza nella città sua infanzia e adolescenza, diquaddarno e diladdarno.
"La Barbagia d'inverno dunque. Per un barbaricino l'inverno è quasi una condizione naturale. Certo per chi è abituato a pensare alla Sardegna "smeraldizzata", alla Sardegna come regione monostagionale, può sembrare una stranezza pensare alla montagna, al clima alpino, al freddo secco, alla neve. Eppure basta voltarsi dal mare alla terra e si possono vedere le montagne che si gettano nell'acqua. Dentro a quelle montagne abita la sostanza di un territorio molto folklorizzato, ma ancora sconosciuto nella sostanza. Il territorio barbaricino rifiuta, direi quasi geneticamente, il concetto di "divertimentificio", la costa barbaricina rifiuta la condizione di "Caraibi del Mediterraneo", che tanto piace ai tour operators improvvisati e ai turisti da gossip. Chi navigasse da Posada ad Arbatax lo capirebbe al volo. Chi cioè passasse per mare dalla costa gallurese, quella dove è sempre estate, a quella barbaricina dove le stagioni si alternano, vedrebbe a occhio nudo la differenza. È proprio l'inverno che dà alla Barbagia quella profondità di territorio vivo, che differenzia il viaggiatore dal vacanziere. Perché come l'estate sostanzia il mare, l'inverno sostanzia i monti a Nuoro, in Barbagia, d'inverno. Se veniste da queste parti, dunque, dove sono nato io, dovreste affrontare il tratto più straordinario dell'intera strada statale 131, dal mare fino all'interno, salendo appena sareste gratificati nella vista e nell'olfatto. Da Olbia a Nuoro tutto profuma".