
Chi non ricorda lo stupore e l’incanto dei risvegli dell’infanzia, quando cadeva la neve? Ma anche da adulti continuiamo a rivivere quella magia, ogni volta che la bianca signora dell’inverno fa la sua comparsa. Di là dalla fiaba natalizia moderna, la neve si è trasformata nei secoli, così che il «crudo verno» degli antichi non è più associato al freddo, alla paura e alla fame, ma, oggi, al tempo libero e allo sport. La neve ha prestato il suo candore alle donne cantate dai poeti; ha sollecitato la sensibilità degli artisti, da Brueghel, con i suoi pattinatori sui canali gelati, ai vellutati paesaggi degli impressionisti, alle raffinate stampe giapponesi; al cinema è un infallibile dispositivo classico del thriller; in molti romanzi e racconti una presenza chiave: si pensi a Zanna Bianca, alla Montagna magica, alla Regina delle nevi, o a Frankenstein, in cui una abnorme creatura si aggira sul pack polare e sui ghiacciai del Monte Bianco. La ritroviamo nella ricerca scientifica, nelle imprese degli esploratori polari, nelle guerre (da Annibale a Napoleone, fino alla nostra «guerra bianca»), nella diffusione degli sci, nella nascita dell’alpinismo e del turismo di montagna. Una storia emozionante, che si nutre della stessa esperienza dell’autore e che comincia con un microscopico fiocco esagonale per giungere alle sfide metafisiche che le vette più famose lanciano agli scalatori degli 8.000 himalayani.
Un diario di bordo per addentrarsi nella giungla della nostra epoca. Massini raccoglie e amplia i pensieri di due anni - raccolti nell'omonima rubrica del supplemento culturale «Robinson» di «Repubblica» - prima ispirati alle contraddizioni del nostro vivere, successivamente sollecitati dal dramma del virus di Wuhan, destinato a mutare non solo la percezione del presente ma il valore stesso del verbo sopravvivere. Parole come quarantena o coprifuoco diventano d'un tratto limiti reali del quotidiano di ognuno, entrando a far parte di un nuovo dizionario emotivo, tanto imprevisto quanto difficile da declinare. Massini tenta la sfida, stilando un sismografo del comune sentire: squarci esistenziali e letterari svolgono così il ruolo di periscopio sugli umori e le paure di un paese prima sconvolto, poi sempre più provato dal lungo tunnel della pandemia.
Il Saggiatore lancia la sua nuova collana di narrativa italiana con un libro visionario e perturbante. Ferruccio Parazzoli riprende e amplia il successo di "Adesso viene la notte"... Una risposta narrativa a "L'affaire Moro" di Sciascia e a "Buongiorno, notte" di Bellocchio. In "Altare della patria" Dio e Satana si giocano le anime e i corpi di Paolo VI e di Aldo Moro. Tra Dostoevskij e Bret Easton Ellis, il racconto medianico di un grande narratore del nostro tempo.
Nella pozza insanguinata del Mar Egeo, dove si incontrano le navi achee e Troia va in fiamme, dove i pirati cretesi vanno saccheggiando le coste, uomini e dèi sono morti, tutti morti. C'è un unico sopravvissuto: Ulisse. Ma non si chiama Ulisse; si chiama Nessuno. Ha il cranio rasato, un corpo che trabocca, il volto coperto da una maschera di gesso. Porta gli occhiali da sole, la pistola nella cintura, una triplice cartucciera di traverso su petto e pancia sformata. Assediato da una schiera di fantasmi, temuto e adorato, si agita per le stanze della sua reggia délabrée, nelle valli nude di un'Itaca sottratta alla levigatezza del mito e restituita al pulsare disordinato della vita: Nessuno la spazza, da capo a fondo, e ricorda. Ricorda la carne di Nausica, la sua carne pallida e virginale, la carne che non ha mai potuto possedere e che lo ossessiona, le braccia di panna, le cosce di seta, gli occhi blu e verdi e neri insieme; ricorda gli eroi della guerra e i suoi ignavi, l'inganno del cavallo e il massacro notturno, le rotondità di Circe, Calipso dalla pelle liscia, le sirene pennute; ricorda una moglie e un figlio che lo hanno tradito e abbandonato. Ricorda e ricordando racconta: cinico e sboccato, non si arresta davanti ad alcuna brutalità, mai pago di stupri, stragi e razzie. Vestito ora come un esploratore coloniale e ora come un gentiluomo russo, essere enorme al di là del Tempo e della Storia, Nessuno passa i giorni crapulando ed emettendo leggi che subito abroga, incurante dei suoi sudditi...
Il mare è un abisso di tenebra: ad andare troppo in fondo non si torna più. Una ragazza di quindici anni scompare nella notte, vicino alla Scogliera degli Angeli. Non ci sono tracce, non si trova il corpo; solo le scarpe sono rimaste, una sulla pietra, l'altra in acqua, a suggerirne il destino. La notizia travolge il paese, lì vicino: arrivano i telegiornali, poi i sommozzatori. Eppure, nulla. Sparita. Sul caso cala impietoso un velo di indifferenza, a fagocitare ogni ipotesi e ogni pettegolezzo. C'è qualcuno però che non si arrende: un uomo, un appassionato di immersioni subacquee, decide di tornare in acqua per trovare la ragazza. A spingerlo è il desiderio di riscattarsi nei confronti della donna amata che lo ha lasciato e, insieme, di annegare nello sforzo la propria insostenibile sofferenza. Nella solitudine e nel silenzio delle profondità marine, tuttavia, circondato solamente dalla vastità e dalle creature dell'ombra, i ricordi lo travolgeranno e sarà costretto a rivivere tutto: il primo, romantico incontro; la passione, la felicità; l'ultimo dolore condiviso, l'addio straziante. "Io sono il mare" è un viaggio romanzesco in un universo rovesciato; un'immersione in un luogo senza tempo, in cui anemoni variopinti e coralli millenari dominano la superficie della Terra e animali estinti sopravvivono attraverso le forme di migliaia di specie differenti. Tra storie dimenticate e rimorsi mai confessati, nella sua ricerca disperata il protagonista dovrà esplorare ogni centimetro del fondale della sua anima fino a capire qual è la differenza tra ciò che sparisce per sempre e ciò che invece sa tornare a galla. Perché il mare è un involucro trasparente: più lo si indossa, più ci si rivela.
Il libro è dunque, il ritratto di una terra, dei suoi miti, dei suoi archetipi immutabili, ma nel contempo della sua storia, del suo mutare, del suo divenire nel tempo. Il miele che una volta c'era ed ora è finito, come indica il titolo, sta a significare che la Sardegna non è una terra senza tempo, immobile, ma una realtà nella quale si avverte, nel ritornare, il moto della storia. "Qui nell'isola dei sardi, ogni andare è un ritornare", ma nel ritornare alle cose di un tempo si avverte, pur nella fissità delle sue immagini primitive e originarie, la trasformazione, la diversità, il cambiamento.
Nei racconti di Massimo Barone l'individuo si ritrae dagli altri e da sé, preso dall'intrattabile misantropia che affiora all'improvviso. Nello svenimento del ragazzino nell'isola d'Elba si celebra una ritirata dal mondo che poi si ripeterà, diversamente declinata, in tutti i protagonisti di queste storie: dal "bell'Alfio che lasciava tutto" fino al borghesissimo Odissea che torna a Itaca e contempla malinconicamente il figlio Telemaco che tesse la tela... Da questa ritirata si origina un punto di vista straniato e poetico sulla realtà. Ma il talento affabulatorio di Barone si esprime soprattutto in una ritrattistica apparentemente minore, in una selva di personaggi disegnati con felicità impressionistica e precisione da entomologo. Tanti frammenti implosi di una comédie humaine difficile a ricomporsi nel caos contemporaneo, scandita da una nascosta pietas verso individui irregolari e generosi, "uomini poco allineati" direbbe Ivano Fossati. E alla fine scopriremo che forse è proprio la letteratura quella preziosa "endorfina" che ci aiuta a tenere a bada, prima ancora di qualsiasi svenimento, ciò che Massimo Barone chiama "l'amor panico e il panico senso della morte che ti sfiorano in tutte l'età".
Caterina ha sedici anni e vive in un povero borgo del Sud Italia, dove la maggior parte dei giovani è priva di lavoro e dove il muro dell'omertà è molto resistente. La sua è una famiglia disastrata. Il padre è alcolizzato e violento, la madre è una giovane donna i cui sogni sono stati infranti troppo presto. In un mondo crudele e oscuro, Caterina cercherà uno spiraglio di luce, ma dovrà scontrarsi con le bugie degli adulti, la prostituzione e la malattia. Tutto sembra precipitare: lei perderà ogni certezza e scivolerà in un baratro sempre più profondo, da cui riuscirà a uscire grazie a un evento inaspettato. Alla fine la vita la ripagherà di ogni sofferenza subita.
Tra le pagine di Tinì affiorano avvenimenti personali, fatti storici e di costume, moda, arte, mondanità. Il suo racconto si snoda attraverso molteplici viaggi, in Italia e all'estero, ma al centro c'è sempre Milano, con gli artisti, la "bella gente", i salotti e le conversazioni; i paesaggi, i vecchi negozi, le strade silenziose dimenticate tra i grattacieli. Dalla charlestonmania al concerto di Toscanini che riaprì la Scala dopo la guerra, al "ballo del secolo" offerto dal miliardario Charles de Beistegui in un palazzo veneziano, questa personale "ricerca del tempo perduto" costituisce un documento per quanti ricordano con nostalgia quegli anni e per quanti, non conoscendoli, avranno l'emozione di scoprirli come in un film d'epoca.
Questo romanzo è liberamente ispirato alla storia di Tammam Youseff, il cardiochirurgo siriano che, insieme al professor Alessandro Frigiola, luminare della cardiochirurgia pediatrica, è riuscito a trovare i fondi per la costruzione dell'Ospedale di Damasco. È il racconto di un uomo speciale, un uomo retto, che vive quotidianamente la guerra e rischia la propria vita per salvare quella di migliaia di bambini, nella profonda convinzione che, per superare le barriere ideologiche che provocano conflitti e morti, sia necessario non guardare le differenze tra le persone, ma riconoscerne le somiglianze, per trovare quel filo conduttore che ci lega tutti: la sacralità e l'inviolabilità della vita. Il destino lo porrà di fronte a una scelta importante: operare il figlio di uno dei componenti del gruppo terroristico che uccise suo fratello. Tammam terrà fede al giuramento di Ippocrate?
Al di là delle versioni ufficiali, al di là delle sentenze dei tribunali, al di là delle inchieste giornalistiche, è questo il punto di vista da cui Maurizio Torrealta vuole spiegarci cosa è successo tra il 1990 e il 1994, quando l'Italia è stata scossa profondamente dalle stragi di mafia, dall'implosione della Prima Repubblica e il passaggio alla Seconda, dallo scioglimento del Partito comunista italiano, "introducendo qua e là qualche elemento di realistica finzione".
Tutto dovrà risolversi in cinque round. Su un ring improvvisato all'interno di un hangar fatiscente si sta svolgendo un combattimento clandestino. Nessun colpo è escluso, nessuna regola può fermare i due avversari che puntano solo all'annientamento reciproco. Uno scontro definitivo tra due uomini costretti dalla vita e dalle circostanze a salire su quel quadrato e a combattersi senza pietà. Perché solo chi vincerà potrà tornare a casa. Contemporaneamente, un'altra battaglia, quella per il controllo dei traffici illeciti delle zone più ricche di Roma (il nord e il centro), sveglia la Capitale con un «Capodanno di sangue». I titoli dei giornali lanciano la notizia che in città, in una sola notte, sono stati messi in fila undici cadaveri. Undici ammazzati. La risposta dello Stato, con una raffica di arresti e l'annuncio della decapitazione del cartello criminale che controlla una grossa fetta della città, non convince però il commissario Avitabile: la faccenda non è chiusa. Sa che quella carneficina rappresenta solo il primo tempo di una guerra che ben presto insanguinerà l'intera Roma, trasformandola in terra di nessuno. Scandito dai ritmi del combattimento, evento in cui convergeranno i destini di tutti i protagonisti, «Quinto round» è il racconto di una guerra quotidiana, quella che viviamo ogni giorno nelle nostre città, combattuta in silenzio da personaggi non sempre limpidi, costretti a muoversi in bilico, lungo il confine ambiguo del legale e dell'illegale, del giusto e dello sbagliato e, in definitiva, del bene e del male.