
Tutto può accadere nel bar sotto il mare. Un bar in cui tutti vorremmo capitare, una notte, per ascoltare i racconti del barista, dell'uomo col cappello, dell'uomo con la gardenia, della sirena, del marinaio, dell'uomo invisibile, della vamp e degli altri misteriosi avventori. Sompazzo, il paese più bugiardo del mondo - Gaspard Ouralphe, il più grande cuoco di Francia - Il verme mangiaparole e l'incredibile storia del capitano Charlemont - La disfida di Salsiccia - Il dittatore pentito - Kraputnyk, il marziano innamorato Priscilla Mapple e il delitto della II C - Il folletto delle brutte figure, il diavolo geloso e la chitarra magica - La storia di Pronto Soccorso e Beauty Case - Il mistero di Oleron e l'Autogrill della morte - Californian crawl - Il pornosabato del cinema Splendor - I capricci del dio Amikinont'amanonami-kit'ama - Arturo Perplesso Davanti alla Casa Abbandonata sul Mare - Il racconto più breve del mondo, la fatale Nastassia e la grande Traversata dei Vecchietti.
Il Virginian era un piroscafo. Negli anni tra le due guerre faceva la spola tra Europa e America, con il suo carico di miliardari, di emigranti e di gente qualsiasi. Dicono che sul Virginian si esibisse ogni sera un pianista straordinario, dalla tecnica strabiliante, capace di suonare una musica mai sentita prima, meravigliosa. Dicono che la sua storia fosse pazzesca, che fosse nato su quella nave e che da lì non fosse mai sceso. Dicono che nessuno sapesse il perché. Questo racconto, nato come monologo teatrale, è uscito per la prima volta nel 1994. Nel 1998 Giuseppe Tornatore ne ha tratto il film "La leggenda del pianista sull'oceano".
De Luca ci presenta le sue riflessioni sul Vecchio Testamento sotto forma di piccoli racconti. Si tratta, come lui stesso afferma, di un "tentativo di essere lettore di Bibbia in un'epoca fredda". Un lettore che ha studiato per anni, da sé, la lingua ebraica. Ne risultano una lettura e una traduzione del testo sacro assai sorprendenti.
Pino Cacucci, da ormai un quarto di secolo, raccoglie storie di eroi e ribelli, lotte e ingiustizie, registrando e dando conto dei propri vagabondaggi. In questo libro, che è in qualche modo una summa di emozioni e riflessioni squisitamente cacucciane (gli articoli qui raccolti sono stati pubblicati per la prima volta in Un po' per amore e un po' per rabbia), c'è tutta la passione di Cacucci per il mondo e per la letteratura, per le idee e i paesaggi del nostro paese e degli altri. E c'è tutta la sua indignazione per i guasti della società civile e politica, per i paradossi della realtà sociale, per le ferite non chiuse della Storia. Tre le sezioni che compongono il volume: Leggere per r/esistere, materiali diversi sui suoi scrittori preferiti e recensioni; La memoria non m'inganna, ricordi di persone, personaggi ed eventi degli ultimi vent'anni; Varie ed eventuali, raccolta di scritti "inclassificabili", dal cinema alla musica, fino a un primo e inedito racconto. Un caleidoscopio di esperienze, di piccole e grandi storie.
"Ogni volta che torno in Sicilia da qualche parte dentro di me continuo ad arrivare in Sicilia per la prima volta, bambino, negli anni settanta". Questo è il racconto del viaggio del Culicchia bambino, un viaggio che prepara mesi prima, dopo aver "ascoltato" la Sicilia attraverso le favole - "la favola del nonno, la favola della nonna, la favola dei cavalli da corsa, la favola della maestra severa, la favola delle sfilate in uniforme da Ballila. E poi c'era la mia favola preferita, e cioè la favola dei due soldati dell'Afrikakorps" - e averla "vista" dalle sbiadite foto in bianco e nero. Ed ecco allora l'arrivo alla stazione di Torino, il treno che taglia di netto l'Italia, la nebbia che dirada, i paesaggi al di là del finestrino, le prime avvisaglie di odori e colori. Quando il piccolo Giuseppe arriva in Sicilia, le fiabe prendono vita, i racconti diventano volti, città, parole. Palermo, Trapani e finalmente Marsala, dove i parenti lo accolgono con una frase che diventa formula di rito - "Ma tu Peppe sei! Peppe come tuo nonno Giuseppe Culicchia! Pippinu! Pippinu Piruzzu!". L'orizzonte si allarga sul mare e Torino sembra appartenere a un'altra vita. Giuseppe Culicchia mette in gioco la propria memoria e si affida allo sguardo di un bambino - innocente, curioso, pieno di meraviglia - per raccontare un viaggio che non ha ancora terminato.
“Brillat-Savarin è stato per noi una scoperta recente. Avevamo già deciso di scrivere un libro di cucina per esprimere la profonda gioia che ci dà il cucinare e il grande conforto che ne abbiamo tratto vivendo all’estero. Volevamo celebrare la gastronomia e i piaceri dei sensi che si incontrano nel preparare il cibo, nel servirlo e nel mangiarlo. Cucinato, condiviso, consumato da soli, regalato; occasione d’incontro, simbolo di appartenenza a gruppi e a religioni, nutrimento del corpo e della psiche, il cibo è potentissimo antidoto contro l’isolamento e la tristezza. Ce ne siamo rese conto quasi per caso. Rosario, da bambina, nella cucina di casa si incantava a osservare la trasformazione degli ingredienti in pietanza; da adulta, all’estero, cucinava per mantenere la propria identità e ha cominciato ad apprezzare dettagli che danno piacere, come organizzare e riordinare la dispensa, fare la spesa nei mercati del quartiere e cucinare con i fiori del terrazzo. Molte alunne della sua scuola di cucina londinese frequentano i corsi da anni, perché hanno imparato che cucinare aiuta a stare meglio. Simonetta, cuoca per tradizione familiare e per necessità, ha sperimentato attraverso le vicissitudini della vita il valore catartico della cucina. Per lei, la cucina e la tavola, oltre a essere elementi fondamentali dell'esistenza, costituiscono un trionfo dei sensi, della bellezza e dell’ospitalità.” Simonetta Agnello Hornby e Maria Rosario Lazzati.
Lo sfondo, sempre presente, è la Milano di un tempo, fragile e fortissima, nucleo pulsante del cambiamento del paese. Su questo palcoscenico un professore di liceo appassionato di enigmistica muore improvvisamente. Oppure, mentre fuori cade fitta la neve, viene ritrovato il corpo di un vecchio adagiato sulla poltrona di casa. O ancora esaminiamo una foto in bianco e nero della recinzione che divideva Italia e Svizzera durante la guerra. Poche immagini e il mondo che ruota attorno al maresciallo dei carabinieri Pietro Binda appare subito vivido, così come gli intrecci semplici ma travolgenti con i quali Piero Colaprico e Pietro Valpreda ci mostrano come si svolge un'indagine.
"Chi salirà nel monte di Dio? Chi ha le mani innocenti e il cuore puro." Un quartiere di vicoli a Napoli: Montedidio. Un ragazzo di tredici anni va a bottega da Mast'Errico, il falegname. E' l'inizio della sua vita nuova, la vita che a sera, a casa, in una casa vuota per l'assenza del padre e per la malattia della madre, il ragazzo va scrivendo su una bobina di carta avuta in regalo dal tipografo di Montedidio. Ha anche un altro regalo, che porta sempre con sé, un "bùmeran", un legno nato per volare che il padre ebbe a sua volta da un marinaio di passaggio. Così passano i giorni: Mast'Errico gli insegna il mestiere e Don Rafaniello, uno scarparo che Mast'Errico tiene ospite a bottega, gli insegna a pensare sugli uomini e sulle cose.
Dice Antonio Tabucchi: "Sono un viaggiatore che non ha mai fatto viaggi per scriverne, cosa che mi è sempre parsa stolta. Sarebbe come se uno volesse innamorarsi per poter scrivere un libro sull'amore". Eppure, in "Viaggi e altri viaggi" ci sono i luoghi del mondo, un mondo sufficientemente grande per non essere quel "villaggio globale" che vorrebbero i sociologi e i mass media. Vi entrano "alla rinfusa" la Lisbona di Pessoa, il Brasile distante dalle mete obbligate di Congonhas do Campo, la Madrid dell'Escorial, il Jardin des Plantes a Parigi, l'Australia di Hanging Rock, la Séte di Paul Valéry, e poi Creta, la Cappadocia, Il Cairo, Bombay, Goa, Kyoto, Washington. Tabucchi ci accompagna con sovrana gentilezza a conoscere e a riconoscere i luoghi di una mappa singolare, certo, ma condivisibile attraverso la lingua familiare del racconto. Una mappa che si apre volentieri ad "altre" forme di viaggio la rassegna delle città fantastiche degli scrittori, le letture di Stevenson, la misteriosa frase di uno zio davanti agli affreschi del Beato Angelico, le montagne di Eça de Queirós, l'Egitto di Ungaretti, l'evocazione dell'Amazzonia attraverso un grande libro come Il ventre dell'universo. Nell'uno e nell'altro caso - nei viaggi effettivi e in quelli evocati dalla letteratura - Tabucchi ci invita a vedere e a restare, a muoverci e a ritornare. Ogni volta l'appuntamento è una sorpresa, perché il mondo è sempre un altrove, una scoperta di noi stessi attraverso gli altri.
Otto monologhi al femminile. Una suora assatanata, una donna ansiosa e una donna in carriera, una vecchia bisbetica e una vecchia sognante, una giovane irrequieta, un'adolescente crudele e una donna-lupo. Un continuum di irose contumelie, invettive, spasmi amorosi, bamboleggiamenti, sproloqui, pomposo sentenziare, ammiccanti confidenze, vaneggiamenti sessuali, sussurri sognanti, impettite deliberazioni. Uno "spartito" di voci, un'opera unica, fra teatro e racconto. Una folgorazione. Tra un monologo e l'altro, sei poesie e due canzoni.
"La vita agra" segnò per Luciano Bianciardi il momento dell'autentico successo, un successo che non tardò a fare entrare in sofferenza un intelletto indipendente come il suo. Il romanzo, ampiamente autobiografico, vede il protagonista lasciare la provincia e con essa la moglie e il figlioletto per andare a vivere a Milano. L'intento iniziale è far saltare un grattacielo, per vendicare i minatori morti in un incidente causato dalla scarsa sicurezza sul lavoro (il riferimento è all'incidente alla miniera di Ribolla del 1954, in cui persero la vita quarantatré minatori). Ma il protagonista vive in perenne bilico fra voglia di far esplodere il sistema e desiderio di esserne riconosciuto... A cinquant'anni dalla prima pubblicazione nel 1962, "La vita agra" resta uno sguardo sulle conseguenze umane e sociali del boom economico italiano, ricco di una scrittura irrequieta, precisa, impossibile da imbrigliare. Al romanzo si ispirò il celebre film "La vita agra" di Carlo Lizzani, con Ugo Tognazzi che interpretava il Bianciardi/protagonista.
"Ho preso dalla provincia lombarda cinque anziani signori - due coppie e un vedovo, tutti afflitti da malanni più o meno disastrosi - e li ho portati in vacanza a Nizza. In Jaguar. In un hotel a quattro stelle, con in mano un elenco di ristoranti lussuosi e in tasca un'American Express a credito illimitato. Tra i giardini del Cimiez e una clinica privata diretta dal sosia di Daniel Auteuil, con l'aiuto di un romanzo inedito di Frederic Prokosch e di una magica sfera di hashish, Cesare, che racconta la storia, si metterà sulle tracce di Leo Meyer. Lo scrittore che negli anni ottanta ha fatto esordire e ha sostenuto come direttore letterario di una nota casa editrice. Leo, il suo amico della vita. Che dopo anni di misteriosa latitanza riappare lì, a Nizza, gli occhi incavati nel volto malato, sul sedile posteriore di un taxi in corsa. Lo so che alla fine ne è uscito un romanzo struggente, con questi cinque anziani a ricapitolare le loro vite in smobilitazione, mentre provano caparbiamente a riallacciare i fili degli affetti. Ma Cesare è fermamente deciso a non cedere di un'unghia alla malinconia e al rimpianto. Come me, che mentre scrivevo tiravo giù dagli scaffali Wodehouse, Carlo Manzoni, Marcello Marchesi, e facevo esorcismi in forma di battute. Intanto che nel romanzo, questa volta felicemente, il mistero cresceva e la trama si infittiva." (Piersandro Pallavicini)