
Quali sono le ventisette azioni dell’uomo civile? Lo scoprirete a Montelfo, il paese più magico e fantastico del mondo. In un romanzo di sfrenata comicità. Stefano Benni monta un grande circo di creature indimenticabili: il Nonno Stregone, Ispido Manidoro, Trincone Carogna, Sofronia e Rasputin, Archimede detto Archivio, Frida Fon, lo gnomo Kinotto, il beato Inclinato, Simona Bellosguardo, il gargaleone e il cinfalepro, Fen il Fenomeno, Piombino, Raffaele Raffica, Alice, don Pinpon e don Mela, Zito Zeppa, la Jole, Gino Saltasù, il sindaco Velluti, Ottavio Talpa, Bubba Bonazzi, Bum Bum Fattanza, Nestorino e Gandolino, Sibilio Settecanal, Tramutone, la Mannara, Giango, i fratelli Sgomberati, Bingo Caccola e Tamara Colibrì, Maria Sandokan, Adelmo il Cupo, Checca e Caco.
Tu dici California e pensi al Golden Gate di San Francisco, alle spiagge sabbiose di Malibu, agli studi cinematografici di Hollywood. E invece, appena più giù, c’è un’altra California, che a metà Ottocento seppe resistere all’avanzata delle truppe statunitensi e conservare la propria integrità e indipendenza. È la Baja California, la California messicana: la più lunga penisola del mondo, quasi duemila chilometri conficcati nel cuore dell’Oceano Pacifico.
Pino Cacucci è ritornato nel “suo” Messico per attraversarla e per raccontarla, da sud a nord, da La Paz alla frontiera di Tijuana. Lungo la Carretera Federal 1, detta anche Transpeninsular, ha raccolto storie di pirati e tesori sepolti, di gesuiti e missioni abbandonate, di indios e viaggiatori perduti. Sulle orme di Steinbeck, che qui viaggiò nel 1940, ha riscoperto leggende di regine e perle giganti. E ovviamente si è immerso nella strepitosa natura della Baja, nelle sterminate distese di cactus, nel paesaggio lunare delle saline, nelle montagne che hanno forma di donna. E nelle baie d’incanto dove le balene si avvicinano allegre per giocare con le barche dei pescatori. Perché il Messico fu il primo paese, più di sessant’anni fa, a creare riserve protette per questi animali dall’intelligenza misteriosa, e loro lo sanno – lo hanno certamente capito – che gli uomini non sono tutti assassini, e che da queste parti vive un’umanità più autentica e amichevole.
Gilgul, nella Qabbalah ebraica, è il frenetico movimento delle anime vagabonde che ruotano intorno a noi quando la separazione dal corpo è dovuta a circostanze ingiuste o dolorose. Tanto violenti possono essere i conflitti che attendono gli spiriti rimasti sulla terra, che la tradizione parla addirittura di "scintille d'anime" prodotte dalla loro frantumazione. Gad Lerner si addentra nel suo gilgul familiare, nelle "scintille d'anime" della sua storia personale. Suo padre Moshé reca il trauma della Galizia yiddish spazzata via dalla furia della guerra. Dietro di lui si staglia enigmatica la figura di nonna Teta, incompresa e dileggiata perché estranea alla raffinatezza levantina della Beirut in cui è cresciuta Tali, la moglie di Moshé. Ma anche la Beirut degli anni Quaranta si rivela un recinto di beatitudine illusoria. Vano è il tentativo di rimuovere lo sterminio degli ebrei d'Europa e la Guerra d'indipendenza nella nativa Palestina: anche se taciuti, questi eventi si ripercuotono nella vicenda familiare generando malessere e inconsapevolezza. Un'indagine sulla memoria e sui conflitti familiari si rivela occasione per un viaggio nel mondo contemporaneo minato dalla crisi dei nazionalismi. Una storia sospesa tra biografia e reportage.
"Abbiamo tutti sedici, diciassette anni, ma senza saperlo veramente, è l'unica età che possiamo immaginare: a stento sappiamo il passato".
Matilde ha dodici anni. Non sopporta i guanti spaiati e compie piccoli, bizzarri rituali per addomesticare la realtà, per darle un ordine. È un dicembre torinese, pieno di neve e di ombre. Pochi giorni prima di Natale, il padre di Matilde, il magistrato Giovanni Corrias, è chiamato a indagare sul caso di un bambino morto in circostanze misteriose. Mentre avvia i primi accertamenti e formula le prime ipotesi sua moglie viene investita da un'auto, ed è come se la sorte disegnasse una sua geometrica contemporaneità. Al colpo durissimo il magistrato risponde facendo leva sul senso del dovere e della professione, aggrappandosi alle indagini in corso. Violaine, una giovane poliziotta laureata in psicologia, lo aiuta a ricostruire la sequenza dei fatti. Matilde, intanto, osserva gli adulti e il loro dibattersi alle prese con la fragilità dell'esistenza. Con ostinata tenerezza si domanda in che maniera curare il dolore del padre e delle sorelle, nella convinzione che spetti a lei tentare di aggiustare quello che si è improvvisamente rotto, e alla geometria oscura della morte se ne sovrappone un'altra, luminosa e impalpabile
Questa raccolta di racconti ("Lidia Mantovani", "La passeggiata prima di cena", "Una lapide in via Mazzini", "Gli ultimi anni di Clelia Trotti" e "Una notte del '43") valse a Giorgio Bassani il premio Strega 1956. In comune le cinque storie hanno una sorta di dolente consapevolezza e l'ambientazione: Ferrara, cittadina di provincia che qui assurge a simbolo di un'intera nazione, avvolta dal pesante panneggio scuro del fascismo. Bassani ci porta nell'animo di questa "gente, per il resto, quasi sempre per bene": la ragazza madre Lidia Mantovani; il dottor Elia Corcos in perenne scontro con la moglie; il sopravvissuto al lager Geo Josz; la vecchia socialista Clelia Trotti, lasciata morire in carcere. Storie diverse eppure vicine, accomunate dalla difficoltà con la quale i protagonisti si adattano a una provincia italiana che da un lato consola, dall'altro respinge qualunque cosa non le sia propria. Persone comprese.
Dove sta andando il professor Bordini, carico di valigie e di inquietudini? Che cosa lo spinge verso quell'appuntamento importante con una persona che non lo aspetta? Il suo non sarà soltanto l'incontro, temuto e desiderato, con un essere umano che ha sempre cercato di rimuovere dalla sua vita, ma sarà anche l'incontro con Venezia, la città su cui "tutto è già stato detto e ridetto". Il professore, un cinquantenne dall'aspetto ingombrante con un passato da scrittore di un unico insuccesso, viene sospinto verso percorsi misteriosi, incontri occasionali con persone che, come la loro città, si rivelano sempre diverse da quello che sembrano. La sua dichiarata misantropia e il suo sorridente nichilismo, a contatto con le multiformi visioni della laguna, lo trascinano in fantasie labirintiche e bizzarre, e la sua missione veneziana diventa ancora più intricata. In un luogo in cui "l'aqua no ga ossi", la storia di un difficile rapporto tra padre e figlio produrrà un inatteso risultato che il professore non aveva previsto. Flussi d'acqua e flussi di vita, il ritmo di una svelata serenità, come la barca che viaggia leggera e sicura quando, su invisibili e incessanti correnti marine, cattura "il filo dell'acqua".
"Vorrei che tutto apparisse meno romanzesco possibile, perché non se ne può più di queste vite da romanzo a cui dovrebbe somigliare anche la nostra. Giorno per giorno passa la vita e basta. Io mi ritrovo con undici taccuini scritti in fretta, spesso illeggibili, senza nessun ordine. Sono appunti su aspetti che mi sono diventati familiari in questa parte del mondo, con elenchi di parole wolof, discorsi scritti in fretta, figure di amici con cui cui ho vissuto in queste terre, idee di per un film sul villaggio di Diol Kadd, e frasi e che non so chi le abbia dette." Lieve, affettuoso e complice, lo sguardo di Celati ci restituisce l'allegria e la pace, lo sfarzo delle vesti femminili durante le feste, lo sciamare dei bambini, la lenta e cauta sopravvivenza di questo villaggio di duecento anime, governato soprattutto da donne. Non c'è nessuna idealizzazione, ma c'è senza dubbio la percezione di un tempo "diverso", di un tempo quasi fermo, che parla con una voce che ci tocca da vicino. Una testimonianza d'eccezione di un modo di vivere tanto più povero e, al contempo, più ricco di quello in cui si dispiegano le nostre esistenze quotidiane.
"Questi sono racconti scritti nell'arco di vent'anni, poi riscritti a lungo per tenermi occupato e vedere che cosa succede... Sono racconti di studenti e di girovaghi, di qualcuno che vuole diventare santo nel deserto e qualcun altro che si perde correndo dietro alle voci, d'un ragazzo che corteggiava sua mamma e d'un mendicante che diceva di aver parlato con Dio. Poi c'è la storia della prima volta che sono sbarcato in America, la storia di una celebre modella, e infine il racconto di Cevenini e Ridolfi che si perdono in Africa." (G. C.)
Ci sono donne che non riescono a liberarsi dei fantasmi di altre donne, donne che valgono solo per gli uomini che riescono a tenersi, e donne che fuggono. Giorgia Cantini, dell'Agenzia Investigativa Cantini, ha passato da poco i quarant'anni, fuma ancora le Camel, e vorrebbe giocarsi tutti i ricordi in un colpo solo. L'autunno di Bologna, ancora calda di vita, con i suoi figli di papà e le ombre degli emarginati, si raffredda quando la Cantini scopre la morte di Franca Palmieri, una donna vistosa ed eccentrica che abitava nel suo quartiere, dove da ragazza Giorgia trascorreva i pomeriggi insieme ai suoi amici dell'American bar. La donna uccisa introduceva allora i giovanissimi ai piaceri del sesso, senza chiedere nulla in cambio, solo forse un po' di compagnia, per finire poi per essere di tutti e di nessuno. Era sempre stata strana Franca, meglio conosciuta come la Ragazza dei Rospi, tanto da non destare stupore il fatto che negli ultimi anni si fosse messa a leggere il futuro nei tarocchi e nei fondi di caffè. Intanto Giorgia è alle prese con il caso di Barbara, una diciottenne inquieta e dolente, appassionata d'arte che ha smesso improvvisamente di frequentare il liceo e si muove per la città come una scheggia impazzita. Una doppia indagine per l'investigatrice anticonformista di "Quo vadis, baby?", tra passato e presente, dritta nel cuore ferito delle donne.