
«A cosa pensa una donna quando, assordata dalle voci di tutti, capisce all'improvviso di aver soffocato la propria?» In pochi come Matteo Bussola sanno raccontare, con tanta delicatezza e profondità, le contraddizioni dei rapporti umani. In pochi sanno cogliere con tale pudore il nostro desiderio e la nostra paura di essere felici. Una donna sola che in tarda età scopre l'amore. Una figlia che lotta per riuscire a perdonare sua madre. Una ragazza che invece non vuole figli, perché non sopporterebbe il loro dolore. Una vedova che scrive al marito. Una sedicenne che si innamora della sua amica del cuore. Un'anziana che confida alla badante un terribile segreto. Le eroine di questo libro non hanno nulla di eroico, sono persone comuni, potrebbero essere le nostre vicine di casa, le nostre colleghe, nostra sorella, nostra figlia, potremmo essere noi. Fragili e forti, docili e crudeli, inquiete e felici, amano e odiano quasi sempre con tutte sé stesse, perché considerano l'amore l'occasione decisiva. Cadono, come tutti, eppure resistono, come il rosmarino quando sfida il gelo dell'inverno che tenta di abbatterlo, e rinasce in primavera nonostante le cicatrici. Un romanzo in cui si intrecciano storie ordinarie ed eccezionali, che ci toccano, ci interrogano, ci commuovono. «Ho deciso di scrivere di donne perché non sono una donna. Perché ho la sensazione di conoscerle sempre poco, anche se vivo con quattro di loro. E perché è piú utile scrivere di ciò che vuoi conoscere meglio, invece di ciò che credi di conoscere già» (Matteo Bussola).
1939. L'Italia si prepara a vivere l'ultimo Natale di pace, ma un omicidio squassa il ventre della città. Quanta solitudine che c'è. In Europa la guerra è cominciata, eppure da noi qualcuno si illude ancora che sia possibile tenerla fuori della porta. E poi sta arrivando la più bella delle feste, quella dove si mangia, si beve, ci si abbraccia, quella in cui ci si scambiano doni con le persone care; non bisogna avere pensieri tristi. La solitudine, però, la solitudine vera, è difficile da scacciare. Puoi essere solo perfino se stai in mezzo alla gente, se hai una famiglia, degli amici. Soprattutto puoi essere solo se decidono che sei diverso, magari perché non sai parlare, o perché ami persone del tuo stesso sesso. O perché, dicono, sei di un'altra razza. Anche Erminia Cascetta era diversa, a modo suo. Aveva troppa voglia di vivere, perciò l'hanno uccisa. In questo tempo che accelera verso l'abisso, spetta al commissario Ricciardi e al brigadiere Maione scoprire chi è stato. La chiave di tutto, però, è sempre la solitudine. Che, a volte nemmeno lo sappiamo, ci siede accanto. «Potessi parlarti, ti parlerei della solitudine del cuore. E della condanna che hai comminato, senza nessuna pietà, e senza avere idea di quello che stavi facendo. Potessi parlarti, ti direi che alla fine la colpa è tua. Ma non posso parlarti, giusto? No, non posso. Perché sei morta».
«Cominciamo dal nome, Velarus. Lo scelse quella scema di mia madre. L'idiota che era mio padre non si oppose, e così fu». Sullo sfondo della ricca e fin troppo operosa provincia del Nord Italia, la sfrenata tragicommedia di un ragazzino con una famiglia di disgraziati. Il padre e la madre di Velarus non sono quel che si dice due tipi amorevoli. Del resto come potrebbero esserlo dei faccendieri sempre in viaggio, sempre attaccati al telefono, sempre impegnati a comprare e a vendere. Anche la nascita di un figlio è per loro una semplice transazione. Solo che poi non hanno né il tempo né la voglia di occuparsene, preferiscono scaricare l'impiccio su uno strampalato tassista e sulla sua altrettanto bizzarra moglie infermiera. Così il bambino viene lasciato in custodia un po' a chi capita: comincia per lui una lunga teoria di «affidamenti». Tutto questo, però, produce nel piccolo uno strano fenomeno fisico, qualcosa di davvero eccezionale. Ed ecco che nella testa dei genitori guizza l'idea di combinare l'ennesimo affare della vita, il più redditizio. A quel punto, la vendetta di Velarus prende il via.
«Se proprio dovessi, sceglierei la Tasmania. Ha buone riserve di acqua dolce, si trova in uno stato democratico e non ospita predatori per l'uomo. Non è troppo piccola ma è comunque un'isola, quindi facile da difendere. Perché ci sarà da difendersi, mi creda». "Tasmania" è un romanzo sul futuro. Il futuro che temiamo e desideriamo, quello che non avremo, che possiamo cambiare, che stiamo costruendo. La paura e la sorpresa di perdere il controllo sono il sentimento del nostro tempo, e la voce calda di Paolo Giordano sa raccontarlo come nessun'altra. Ci ritroviamo tutti in questo romanzo sensibilissimo, vivo, contemporaneo. Perché ognuno cerca la sua Tasmania: un luogo in cui, semplicemente, sia possibile salvarsi. Ci sono momenti in cui tutto cambia. Succede una cosa, scatta un clic, e il fiume in cui siamo immersi da sempre prende a scorrere in un'altra direzione. La chiamiamo crisi. Il protagonista di questo romanzo è un giovane uomo attento e vibratile, pensava che la scienza gli avrebbe fornito tutte le risposte ma si ritrova davanti un muro di domande. Con lui ci sono Lorenza che sa aspettare, Novelli che studia la forma delle nuvole, Karol che ha trovato Dio dove non lo stava cercando, Curzia che smania, Giulio che non sa come parlare a suo figlio. La crisi di cui racconta questo romanzo non è solo quella di una coppia, forse è quella di una generazione, sicuramente la crisi del mondo che conosciamo - e del nostro pianeta. La magia di "Tasmania", la forza con cui ci chiama a ogni pagina, è la rifrazione naturale fra ciò che accade fuori e dentro di noi. Così persino il fantasma della bomba atomica, che il protagonista studia e ricostruisce, diventa un esorcismo: l'apocalisse è in questo nostro dibattersi, e nei movimenti incontrollabili del cuore. Raccogliendo il testimone dei grandi scrittori scienziati del Novecento italiano, Paolo Giordano si spinge nei territori più interessanti del romanzo europeo di questi anni, per approdare con felicità e leggerezza in un luogo tutto suo, dove poter giocare con i nascondimenti e la rivelazione di sé, scendere a patti con i propri demoni e attraversare la paura.
Nei racconti che compongono questo volume, rinvenuti tra le carte di Fenoglio dopo la sua morte e rimasti a lungo inediti, scene e personaggi delle Langhe sono colti con la vena del cronista disincantato ma partecipe del mondo di casa, tra asprezze e generosità, miserie e grandezze. Ma siccome è di Fenoglio che parliamo, le storie di famiglia, i matrimoni, l'ossessione per la "roba", le beghe e le risse lievitano ben presto, fino ad assumere le dimensioni di una ruvida epica paesana. Forse perché dietro a ognuna di queste vicende sta l'incessante sperimentazione dello scrittore: il linguaggio che utilizza accortamente le durezze del dialetto e le robuste metafore del parlare contadino, con il suo piglio svelto e concreto. O forse perché Fenoglio ha, come pochi, la straordinaria capacità di consegnarci eventi e personaggi memorabili.