
San Sebastiano in Alpe, paese dell'Appennino romagnolo, 1906. Amerigo ha nove anni e sua madre l'ha chiamato cosi perché l'ha concepito in America. Quando il Wild West Show fa tappa a Ravenna, lei decide di portare il figlio a conoscere suo padre. Buffalo Bill però non accetta di incontrarlo e questo rifiuto spinge il già inquieto Amerigo a schierarsi per sempre "dalla parte degli indiani". Con Mariano e Rachele si dipinge il viso, e scorrazzando per i boschi sogna di fare la rivoluzione. Ma la Storia divide le strade di questi amici inseparabili, travolti dalle burrasche del Novecento: le lotte di classe, il fascismo, le guerre mondiali. Con grande potenza evocativa, "Stirpe selvaggia" mette in scena un protagonista struggente come un eroe romantico, eppure modernissimo. Diviso, come ognuno di noi, tra l'affermazione di sé e la rinuncia, tra la solitudine e il bisogno d'amore.
Luca Lazzarini detto Lazzaro ha ventisei anni, un'auto a metano e un sacco di problemi. Vive in un paesino sprofondato nella bassa padana, è ancora vergine, certo non bello e di una timidezza patologica. Vivacchia Luca, lavora a testa bassa per dimenticare i suoi insuccessi, non riesce a farsi valere neppure sul lavoro e le sue serate sono fatte di pochi amici fidati e qualche partitella a carte con i vecchietti del circolo Arci. Un fratello ritardato di cui vergognarsi e una madre che ancora non gli ha perdonato di essersene andato di casa completano il quadro. Ma di tempo Luca non ne ha più. Una brutta tosse trascurata, lunghe analisi mediche e una diagnosi che non lascia scampo. Insieme all'angoscia e alla paura arriva, però, anche la fede e ha la voce di Don Edoardo, il sacerdote degli anni del catechismo, perso di vista da anni. Ed è questo incontro a far nascere in Lazzaro il desiderio di voler dare un senso al tempo che gli rimane. E così, anche l'incontro con Anna, prostituta dal viso bellissimo e dall'atroce passato, riesce a fargli superare definitivamente la paura di vivere e di morire.
Nel 1924 il Giro d'Italia rischia va di non partire. Gli organizzatori non erano in grado di far fronte alle richieste economiche delle squadre e queste risposero con una diserzione in massa. Celebri campioni come Girardengo, Brunero, Bottecchia non avrebbero gareggiato; gli atleti dovevano iscriversi a titolo personale e la corsa rischiava di passare inosservata, con grave danno per gli sponsor. Occorreva qualcosa di eclatante, e si decise di accogliere la richiesta di una donna di trentatré anni che insisteva da tempo per partecipare. Si tratta va di Alfonsina Strada, aveva già affrontato due Giri di Lombardia. Il tracciato della competizione attraversava la penisola per oltre 3.000 chilometri, gli iscritti furono 108, al via se ne presentarono novanta, e fra questi c'era Alfonsina. Solo in trenta completarono la gara. Il romanzo racconta la sua storia, dai tempi duri e affamati di Fossamarcia, nei pressi di Bologna dove n acque nel 1891, fino al 13 settembre del 1959, giorno della sua morte. In mezzo ci sono due guerre mondiali, la Marcia su Roma cui prese par te uno dei suoi fratelli, e poi D'Annunzio che le regalò una stella d'oro, Mussoli ni che volle darle un'onorificenza da lei mai ritirata, una medaglia che la zarina Alessandra le appuntò personalmente al petto. E gli anni passati a esibirsi nei circhi d'Europa e due matrimoni, il primo a 14 anni, l'unico modo per andar via di casa perché i genitori le volevano impedire di gareggiare. Il giovane marito era Luigi Strada, di professione meccanico, uomo dalla psicologia molto fragile. Le offrì un amore sincero, lei ne mantenne per sempre il cognome. Dalla povertà alla fama all'oblio, Alfonsina è stata una pioniera della parificazione tra sport maschile e femminile. Simona Baldelli ha trovato lo sguardo e la voce per trasformare la sua epopea in un romanzo attento alle verità della Storia e sensibile alle sfumature dei sentimenti, creativo nella struttura e libero di intrecciare i fatti concreti con l'invenzione necessaria al gesto letterario. Accade allora che nelle sue pagine Alfonsina prenda vita e ci mostri, nella scoperta di un'impresa faticosissima e anticipatrice, il ritratto di una donna che mai volle porsi dei limiti.
Nina viene abbandonata in un orfanotrofio nell'immediato dopoguerra. Le suore fanno la cresta sul vitto e le elemosine, il confine fra disciplina e oppressione è molto sottile e le punizioni corporali e psicologiche sono parte integrante del sistema di educazione. Quando Nina compie sette anni, arriva Lucia, che ha la sua età e non possiede la scorza necessaria per salvarsi dall'insensata cattiveria delle monache. Nina si sente in dovere di difenderla. Insieme all'amicizia, scopre la differenza fra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, mentre cresce in lei il senso di esclusione. Oltre le mura dell'istituto c'è un mondo al quale loro non hanno accesso e dove accadono fatti clamorosi - la nascita della televisione, il discorso rivoluzionario di un reverendo nero, l'assassinio di J.F. Kennedy, dighe che straripano e trascinano a valle migliaia di corpi, la morte del Papa buono. Quando a diciott'anni Nina esce dall'orfanotrofio trova davanti a sé un continente inesplorato. La sua vita sembra iniziare da capo: incontra nuove amiche, con loro partecipa a manifestazioni e scioperi e alla storica occupazione del grande tabacchificio di Lanciano, nel maggio del 1968, durata per ben quaranta giorni. Le vicende private e sentimentali delle ragazze si mescolano a quelle pubbliche, tutto attorno l'Italia cambia, pare lasciarsi indietro l'oscurità del passato, scopre i consumi e le réclame, la moda e le prime utilitarie, mentre le radio a transistor raccontano una trasformazione dei costumi a tempo di canzoni. La colonna sonora di ciò che poteva essere e non è stato. Il pozzo delle bambole racchiude in sé molti romanzi: una storia di crescita e di formazione, sulla scoperta del mondo palmo a palmo; un'avventura di collegio, di istituto, di camerate e cucine, spazi in cui crescere e trasformarsi; un affresco storico sul dopoguerra che è anche racconto di fabbrica e lotte; e soprattutto un romanzo di donne che diventano consapevoli, commettono errori, avanzano e retrocedono in una lotta lunga e difficile che Simona Baldelli descrive con ritmo, verosimiglianza, attenzione e sensibilità.
Siamo a Roma, a partire dall'anno 800 dopo Cristo quando, nella notte di Natale, Leone incorona Carlo Magno, è questo lo sfondo delle vicende narrate da Beniamino Baldacci. Con rapidi tratti sulla complessa scena di una Roma altomedievale si affacciano molteplici personaggi che fanno rivivere un mondo dove ancora si mescolano l'eredità romana, il dominio longobardo e l'arrivo dei nuovi signori franchi, le vicende di corte e la quotidianità del popolo, gli intrighi politici e le passioni più genuinamente umane. In un susseguirsi di scene e di episodi dal ritmo sincopato, quasi convulso, si avvicendano personaggi molto umani e molto concreti, a partire dallo stesso Leone III, un papa tanto importante quanto controverso, poco amato dalla nobiltà locale e fatto oggetto persino di un attentato, di un processo e di un tentativo di deposizione. Così nel libro le congiure e i giochi di potere di conti e prelati si intrecciano con la quotidiana avventura della vita di Ottavia, Lucia, Lucrezia, Tullia, Flavia, tutte personalità forti capaci di sfidare a testa alta il destino avverso e la difficile condizione di donna, diventando addirittura chi guerriera, chi abile imprenditrice, chi saggia governante. Tanto che saranno le donne a chiudere il libro, guidando davanti a cardinali e a principi il corteo funebre di Leone.
Quattro scrittori alle prese con un gioco serissimo: passandosi il testimone della nostra tragicomica esistenza nazionale - e intrecciandola al loro privato - danno vita a un impasto unico, un diario a staffetta che racconta gli aspetti più impensati di quello che chiamiamo "presente". Così, domandandosi se sia vero che i bambini amano leccare i pavimenti, scopriamo che nella lingua italiana i tempi verbali sono molti più di quelli che possiamo immaginare. E se qualcuno prova a elencare le infinite sfumature che può avere la mancanza, qualcun altro si interroga sul momento esatto in cui ha smesso di cercare di far bella figura. Intanto, fuori dalla finestra, scorrono le istantanee di un Paese che cerca la propria direzione all'interno di un mondo che cambia. Andrea Bajani, Michela Murgia, Paolo Nori e Giorgio Vasta raccontano il 2011, un anno della loro e della nostra vita. Ciascuno indaga con curiosità ogni fenomeno che vede (o sente) accadere, e ne distilla materiale narrativo incandescente. Attraverso una cronaca quotidiana, appassionata, ironica e sentimentale, un mese dopo l'altro si compone il disegno collettivo di un tempo intimo e civile. Presente diventa cosi un diario pubblico che parla a e per tutti noi.
Lui è uno dei tanti italiani che atterrano a Bucarest, ma spinto fin laggiù da un motivo diverso da tutti gli altri. Gli uomini che scendono dall'aereo prima di lui hanno scarpe dalla punta quadrata e cravatte con il nodo troppo largo: sono in cerca di fortuna, hanno trasferito lì le aziende, tirato su capannoni e comprato fuoristrada per mettere le mani su donne e denaro. Lui deve seppellire una madre che non è mai stata sua per davvero, se non in un'infanzia - magica nel ricordo - di pazza allegria: una donna carica di sogni, che un giorno di molti anni prima si è lasciata alle spalle lui e tutto il resto per seguire un progetto improbabile e una passione mal riposta. Una storia d'amore totale all'orizzonte di un mondo che scambia per oro tutto quello che luccica.
In un momento come questo in cui l'universo degli adolescenti viene studiato soltanto col cipiglio perplesso degli entomologi, con l'atteggiamento diagnostico degli psicologi o con la verve scandalistica dei cronisti, Andrea Bajani ha deciso di calarsi tra i ragazzi delle nuove generazioni. È ritornato prima tra i banchi di scuola (a Torino, Firenze e Palermo) e poi in gita di classe a distanza di 15 anni dal suo esame di maturità. Il risultato è un reportage ironico sull'Italia dei teenagers, raccontato da un infiltrato, poi diventato in qualche modo ostaggio dei ragazzi, tra chiacchiere sul pullman, foto di classe e improbabili discoteche turistiche.
Gli uomini che atterrano a Bucarest sono in cerca di fortuna. Hanno trasferito Ií le loro aziende, comprato terreni e fuoristrada e innalzato capannoni con nomi italiani. Lui invece cerca qualcos'altro: vuole capire chi era sua madre ora che non c'è più, ridarle un volto, camminare le sue strade. Nel ricordo rimangono un'infanzia magica e un abbandono, le due metà di una donna che si è lasciata tutto alle spalle per seguire un progetto grandioso e un uomo sbagliato. Sullo sfondo il ritratto feroce di un Occidente che spaccia miti da due soldi, e per due soldi compra la miseria altrui.
«Sara se n'è andata via il giorno in cui è finita la scuola. L'estate si è spalancata all'improvviso: ha inghiottito i miei bambini tutti insieme, ha svuotato la mia casa e io sono rimasto lì, una macchina sul ciglio di un burrone».
Ogni sera Pietro si china sulla pancia di Sara per sapere se dentro c'è qualcosa che nasce, e ogni sera lei, toccandosi il ventre, aspetta di poter dare un nome al loro futuro insieme. Ma la speranza rimane un'attesa, e l'attesa spacca tutto come una crepa nel muro. Fino a quando ogni cosa si sfalda e sul tavolo della cucina resta soltanto un foglio, o meglio una bomba che si prepara a esplodere. «Telefonato tua madre, è morto Mario». E poco sotto una domanda scritta di fretta: «Mario?» Mario è il nonno di Pietro, ma più che un parente è lo scheletro nell'armadio di una famiglia e di un paese intero. Tornato folle dalla campagna di Russia, vissuto dentro una clinica eppure morto per tutti, per lui la guerra non è mai finita. Ora fa la sua comparsa morendo per davvero, come un fantasma molto terreno che ha lasciato troppe domande dietro di sé.
L'estate si apre quel giorno con un duplice addio, spalancata come una casa vuota e piena di strade possibili. La prima è un viaggio a ritroso, con in tasca il peso di un segreto che Pietro e Sara si sono nascosti tanto a lungo da non poterlo dimenticare.
La seconda è un viaggio sul Don, carico di tutte le storie che Mario non ha mai raccontato: un percorso lungo quasi settant'anni, alla ricerca vana di una Russia che non c'è più, come provare a tuffarsi nelle acque del 1943.
Sono i ricordi degli altri che dentro di noi non trovano appiglio, come promesse tradite dal tempo. Con una scrittura tesa e tersa fino alla poesia, Andrea Bajani ci racconta la responsabilità e la difficoltà di ricordare. La memoria è una trama forata, i fili si slacciano e si disperdono nell'ordito di una realtà vissuta al presente.
Ma è proprio lì, tra le omissioni e le mancanze, che forse si annida un senso. Lungo quelle strade deviate, dove si affacciano risposte impreviste a domande mal poste.
"Un bene al mondo" racconta di un paese sotto una montagna, a pochi chilometri da un confine misterioso. Un paese come gli altri: ha poche strade, un passaggio a livello che lo divide, e una ferrovia per pensare di partire. Nel paese c'è una casa. Dentro c'è un bambino che ha un dolore per amico. Lo accompagna a scuola, corre nei boschi insieme a lui, lo scorta fin dove l'infanzia resta indietro. E ci sono una madre e un padre che, come tutti i genitori, sperano che la vita dei figli sia migliore della loro, divisi tra l'istinto a proteggerli e quello opposto, di pretendere da loro una specie di risarcimento. Ma nel paese, soprattutto, c'è una bambina sottile. Vive dall'altra parte della ferrovia, ed è lei che si prende cura del bambino, lei che ne custodisce le parole. È lei che gli fa battere il cuore, che per prima accarezza il suo dolore. "Un bene al mondo" è una storia d'amore e di crescita; è una storia universale, perché racconta quanto può essere preziosa la fragilità se non la rifiutiamo. Basta cercarsi su una mappa, disseminare parole per trovarsi, provare altre strade e magari perdersi di nuovo.
Il giorno in cui il maestro insegna ai bambini l'alfabeto è la fine e l'inizio di un mondo. La fine di un mondo in cui le cose succedevano e basta, e l'inizio di uno in cui possono essere messe in fila indiana in forma di parole. La vita intera passa attraverso le molteplici combinazioni di quelle ventuno lettere: sorprese, delusioni, imprevisti, nascita e crescita, persino la morte. Trentotto storie brevi, trascinanti e poetiche, piene di profonda leggerezza. Ciascuna di loro, una parola. Ciascuna di loro, il mondo. Sono epifanie scovate quasi per caso negli interstizi del quotidiano: lo smarrimento di una donna di fronte alla rottura di un braccialetto dei desideri, l'impossibilità di resistere dal prendere a calci un pallone che rotola per strada, il sollievo con cui si consegna a uno sconosciuto la propria storia sapendo che non lo si vedrà mai più, il piacere perverso di rimettere in circolazione una banconota falsa ricevuta chissà dove. Andrea Bajani compone una commedia umana in miniatura, in cui ogni piccolo gesto può diventare una chiave per capirsi, e rendersi conto che la felicità, alla fine, sta dentro la piega che di colpo prendono le cose.

