
Nel 1998 Giuseppe Caliceti e Giulio Mozzi avevano raccolto in "Quello che ho da dirvi" le lettere di ragazzi e ragazze italiani ai loro genitori. Ora gli stessi curatori hanno costruito un secondo libro-collage raccogliendo le lettere di tanti genitori che, rivolgendosi ai figli, rivelano aspettative e speranze, motivano le ragioni dei conflitti, cercando di dire con le parole scritte - quindi meditate e lente - ciò che nelle parole parlate non si riesce a dire.
"La rovina di Kasch tratta di due argomenti: il primo è Talleyrand, il secondo è tutto il resto" (Italo Calvino). L'Età delle Rivoluzioni racconta il suo naufragio.
Ka è la terza parte di un'opera in corso, di cui sono apparsi finora La rovina di Kash (1983) e La nozze di Cadmo e Armonia (1988). Materia di questo libro è l'India, tutta l'India, dai Veda al Buddha e oltre. Ma non un libro sull'India. E' un libro dove tutto appare attraverso l'India.
Questo libro è una prima guida a quel mondo possibile che si è manifestato in una foresta di pagine sotto il nome Adelphi: circa millecinquecento titoli a partire dal dicembre 1963. E nel corso di quarant'anni numerosi lettori hanno notato come, a tenere insieme questi libri, ci sia qualcosa, un legame tenace, che va oltre la qualità. Questo legame tenace che la casa editrice tenta di indicare fin dall'inizio, per quanto possibile in modo esplicito, nell'unica forma in cui l'editore accompagna ogni singolo libro: il risvolto di copertina. Fra gli oltre mille risvolti che ha scritto, Roberto Calasso ha isolato quei cento che più gli sembravano capaci di una vita indipendente, e li ha inanellati come altrettante "lettere a uno sconosciuto".
Come Zeus, sotto forma di toro bianco, rapì la principessa Europa; come Teseo abbandonò Arianna; come Dioniso violò Aura; come Apollo fu servo di Admeto, per amore; come il simulacro di Elena si ritrovò, insieme a quello di Achille, nell'isola di Leukè; come Erigone si impiccò; come Coronis, incinta di Apollo, lo tradì con un mortale; come le Danaidi tagliarono la testa ai loro sposi; come Achille uccise Pentesilea e si congiunse con lei; come Oreste lottò con la follia; come Demetra vagò alla ricerca della figlia Core; come Core guardò Ade e si vide riflessa negli occhi di lui; come Giasone morì, colpito da una trave della nave Argo; come Fedra smaniò invano per Ippolito; come gli Olimpi scesero a Tebe per partecipare alle nozze di Cadmo e Armonia...
Il volume raccoglie una serie di saggi, a partire da quello che dà il titolo al libro, dedicato alle ninfe, esseri delicatissimi e oscuri, fascinosi e terribili, provocatrici dell'ossessione primigenia, l'ossessione erotica. A questo si affiancano saggi che toccano temi disparati come la letteratura dei Brahmana, "Lolita" da Nabokov, "La finestra sul cortile" di Hitchcock, l'idea di bibliografia come forma, dell'editoria come genere letterario (partendo da Aldo Manuzio, grande editore rinascimentale, per arrivare a Kurt Wolff, che fu l'editore di Kafka).
Tiepolo passò la vita a eseguire opere su commissione in chiese, palazzi, ville. Talvolta affrescando vasti soffitti, come per la Residenz di Würzburg o per il Palazzo Reale di Madrid. Intorno scorreva la vita di un'epoca - il Settecento - che lo apprezzò e ammirò, ma senza troppo preoccuparsi di capirlo. Così fu più facile per Tiepolo sfuggirgli, quando volle dedicarsi a effigiare il suo segreto, che tale è rimasto, in una sequenza di trentatré incisioni: i Capricci e gli Scherzi. Ciascuno di quei fogli è il capitolo di un romanzo nero, abbagliante e muto, popolato da personaggi disparati e sconcertanti: efebi fiorenti, Satiresse, Orientali esoterici, gufi, serpenti e anche Pulcinella e Morte. Li ritroveremo tutti nelle pagine di questo libro, insieme a Venere, Tempo, Mosè, numerosi angeli, Armida, Cleopatra e Beatrice di Burgundia: una variegata, zingaresca compagnia sempre in cammino, "tribù profetica dalle pupille ardenti", come suona un verso di Baudelaire. Oltre che un intermezzo smagliante nella storia della pittura, Tiepolo fu un modo di manifestarsi delle forme, un certo stile nell'ostentarsi della loro sfida. Le sue figure rivelavano una fluidità senza ostacoli e senza sforzi. Accedevano a tutti i cieli, senza dimenticare la terra, incarnando per un'ultima volta quella virtù suprema della civiltà italiana che è stata la "sprezzatura".
Al centro di questo libro si trova un sogno, l'unico che Baudelaire abbia raccontato. Entrare in quel sogno è immediato, uscirne difficile, se non attraversando un reticolo di storie, di rapporti e di risonanze che coinvolgono non solo Baudelaire ma ciò che lo circonda. Dove spiccano due pittori di cui Baudelaire scrisse con stupefacente acutezza: Ingres e Delacroix; e due altri che solo attraverso Baudelaire possono svelarsi: Degas e Manet. Secondo Sainte-Beuve, perfido e illuminato, Baudelaire si era costruito un "chiosco bizzarro, assai ornato, assai tormentato, civettuolo e misterioso", che chiamò "la Folie Baudelaire" (folies era il nome settecentesco di certi padiglioni dedicati all'ozio e al piacere), situandolo sulla "punta estrema del Kamcatka romantico". Ma in quel luogo desolato, in una terra ritenuta dai più inabitabile, non sarebbero mancati i visitatori. Anche i più opposti, da Rimbaud a Proust. Anzi, sarebbe diventato il crocevia inevitabile per ciò che apparve da allora sotto il nome di letteratura. Qui si racconta la storia, discontinua e frastagliata, di come "la Folie Baudelaire" venne a formarsi e di come altri si avventurassero a esplorare quelle regioni. Un storia fatta di storie che tendono a intrecciarsi, e per alcuni decenni ebbero come sfondo le stesse strade di Parigi.
«Queste storie non avvennero mai, ma sono sempre». Tali parole di Salustio - forse la più bella, certamente la più concisa definizione del mito - si leggono nell'epigrafe delle Nozze di Cadmo e Armonia. E ci ricordano che le storie degli dèi e degli eroi greci non soltanto si trovano all'origine di tutta la letteratura occidentale, ma continuano a vivere sino a oggi: una vita intessuta di parole innanzitutto, ma altrettanto di immagini. Per più di tremila anni, dai sigilli micenei fino a certi quadri del secolo ventesimo, quelle storie sono state raccontate anche per figuras, sotto forma di statue, vasi, stele, monete, dipinti, affreschi, disegni, rilievi. È un immenso corteo di immagini, che mostrano ogni volta come quegli dèi, quegli eroi e le loro gesta sono stati concepiti, di epoca in epoca, in quanto epifanie.
Le nozze di Cadmo e Armonia - libro che appartiene al più antico genere letterario: la mitografia - presuppone non solo il continuum delle fonti scritte del mondo classico, da Omero a Nonno, ma anche le innumerevoli raffigurazioni dei miti greci attraverso immagini di ogni specie. Con questa edizione, che si presenta come una versione a sé stante, a distanza di vent'anni dalla prima pubblicazione, quelle immagini affiorano in superficie, sempre in corrispondenza a certi dettagli - narrativi o esegetici o anche stilistici - del testo. E si calano nella gabbia tipografica più congeniale e azzardata, che è lo specchio di pagina dove vennero disposte le silografie di un libro che apparve nel 1499 e in cui sembra essere confluito il vasto corso della mitologia classica: la Hypnerotomachia Poliphili. Ogni buon lettore sarà sfidato a cogliere i nessi di questo gioco, che mira a espandere le risonanze delle parole e delle immagini, per via di osmosi, contrappunto e controcanto. Al testo delle Nozze di Cadmo e Armonia si giustappone qui un saggio, Lo sguardo sommario, che tratta di quella singolare e inconfondibile ebbrezza a cui le immagini degli dèi greci - attraverso «le opere e i giorni» di molti secoli - invitano ad abbandonarsi.
«Tutto il libro è, se non scritto, guardato da Baudelaire, perché Calasso cerca sempre di condividere l'occhio con cui Baudelaire osserva i personaggi e le figure mentali del proprio tempo e addirittura del futuro ... Il risultato segreto di questa ricerca è quello che Calasso chiama la storia segreta della letteratura: storia molto difficile, perché gli scrittori sono abilissimi nel celarsi, e nascondono sia le affinità sia le differenze più profonde. Bisogna violare la cortina di menzogne con cui un artista si difende, possedere una cultura che permetta di trovare le somiglianze più lontane, essere preciso e minuzioso come una formica nell'aggirarsi tra i particolari dei testi: conoscere l'arte sovrana del tatto, che consente di cogliere i rapporti esatti fra due brani e due scrittori ... Ci vuole una dote ancora più audace: quella di portare, nel proprio sistema nervoso, l'istinto metafisico» (Pietro Citati).
«... scintillante di nessi e citazioni, suggestioni e maliosi accordi, rimandi, congetture, nodi strettissimi presto sciolti in spirali di fumo vagamente oppiaceo. Un vero sollievo, dati i tempi. E un costante, mai espresso, mai sbandierato, atto di fede implicito: la cultura ("alta", se è ancora lecito) è l'unica cosa che conta» (Carlo Fruttero).
Di che cosa parlano le storie di Kafka? Sono sogni? Sono allegorie? Sono simboli? Sono cose che succedono ogni giorno? Non si può dire che le innumerevoli risposte si siano rivelate, alla fine, del tutto soddisfacenti. Questo libro segue un'altra via: non già dissipare il mistero, ma lasciare che venga illuminato dalla sua stessa luce. Kafka scrisse tre romanzi incompiuti, non soltanto perché mancavano ancora alcuni episodi. Piuttosto, era come se fossero stati concepiti per prolungarsi indefinitamente, anche oltre il loro autore. Capire quei romanzi implica ripercorrerli e proseguirli. E implica anche mescolarsi al corso, al movimento, alla fisiologia di quelle storie. Sino al punto di trovarsi in un mondo costituito quasi solo dai suoi scritti.

