
Iniziato durante i primi anni settanta, durante le crisi petrolifera mondiale, e portato avanti fino alla morte, nel novembre 1975, «Petrolio» è un gigantesco frammento di quello che avrebbe dovuto essere un romanzo-monstruum di circa duemila pagine. Una enciclopedia del racconto, che comprende tutti i registri, bassi e alti, della scrittura. Appunti, annotazioni, una lettera a Alberto Moravia, schizzi e specchietti che compongono un libro «nero», pubblicato, con fedeltà all'autografo, solo nel 1992. Risulta da questi frammenti una disperata archeologia umana, un'esplorazione dei misetri della sessualità e insieme uno spaccato dell'Italia del boom tra oscuri complotti di potere e stragi di stato rimaste impunite. Con nota filologica di Aurelio Roncaglia.
Il Riccetto, il Caciotta, il Lenzetta, il Begalone, Alduccio e altri sono giovanissimi sottoproletari romani. Sciamano dalle borgate della Roma anni Cinquanta verso il centro, in un itinerario picaresco fatto di eventi comici, tragici, grotteschi. Alternano una violenza gratuita a una generosità patetica: Riccetto salva una rondine che stava per annegare ma non potrà far nulla dinanzi al piccolo Genesio trascinato via dalla corrente dell'Aniene; Agnolo e Oberdan assistono Marcello agonizzante, rimasto travolto dal crollo della sua scuola. La Roma monumentale e quella della speculazione edilizia sono lo spazio contraddittorio in cui avviene questa sorta di rito iniziatico di una giornata dei "ragazzi di vita". Prefazione di Vincenzo Cerami.
Scritte tra il 1955 e il luglio del 1960 e pubblicate per la prima volta nel 1961, le poesie di "La religione del mio tempo" raccontano in versi un'intera società in fermento. Usando la frusta quando lo ritiene necessario, Pasolini non retrocede di fronte a nulla e utilizza ogni possibile materiale argomentativo: da quello metafisico a quello polemico, dal giornalistico al profetico, proponendo schemi e ideologie che - come spiegherà sul settimanale "Vie nuove" - "non sono solo opinioni politiche, ma sono, insieme, poetiche; hanno cioè subito quella trasformazione radicale di qualità che è il processo stilistico". In questa raccolta Pasolini riesce così a mettere poeticamente in azione tutta la sua incontenibile passione civile, un'insaziabile fame di vita e un irresistibile desiderio di capire e sentire. Prefazione di Franco Marcoaldi.
I "Poemi cristiani" sono l'estremo fiore della poesia latina di Pascoli e tra le creazioni più originali del primo '900 italiano. Il lettore non ha ragione di temere una sperimentazione erudita: sono piccoli capolavori, un miracolo di fantasia, di freschezza, di penetrazione storica, e paradossalmente il primo vero atto di indipendenza da una sovrastante cultura classica. Nascono in un latino materno, del cuore, pieno di echi del cristianesimo familiare e dei poeti amati, rifuso in un'esecuzione tutta personale e moderna. Poesia latina a pieno diritto, e poesia cristiana non meno delle "Georgiche cristiane" di Francis Jammes o dei" Quattro quartetti" di T. S. Eliot, e a noi più vicina e familiare. I "Poemi cristiani" sono riproposti in questo volume in una nuova edizione riveduta e ampliata.
Un uomo si aggira nel buio della sua casa, di notte; i bambini dormono, sua moglie prima di uscire ha lasciato in bagno un rossetto aperto, una scia di profumo, le tracce di un desiderio di sedurre certamente non dedicato a lui. A volte le emozioni sgocciolano come rubinetti vecchi, a volte i legami si sfarinano come intonaci esposti al sole: la manutenzione degli affetti è compito arduo e complesso, è un esercizio infinito di duttilità. La scrittura di Pascale delinea in questi racconti un ceto medio distratto, vagamente meridionale, alle prese con i cambiamenti della società e i privatissimi scacchi individuali.
Partiamo dall'inizio. Da quando per sfuggire al traffico della città, e provare a contrastare l'insonnia, Antonio compra una bicicletta. La notte, però, continuano ad assalirlo pensieri che si susseguono indisciplinatamente: una sorta di "intasamento democratico" in cui il problema del riscaldamento globale ha lo stesso valore di un bottone dei pantaloni che si stacca. Ma proprio da quel magma prende forma l'idea di girare un documentario sui sentimenti, che mischi neuroscienza, biologia evolutiva e psicologia. Perché gli uomini e le donne oggi sembra che in amore si siano scambiati i ruoli? Ma il disordine delle notti si ricompone al mattino, quando i figli fanno colazione e tocca accompagnarli a scuola - Brando fissato con il calcio, Marianna alle prese con la creatività e i suoi cascami. Cominciano cosi giornate fatte di aerei da prendere per lavoro, consigli di classe e "cene bislacche" in cui giocando ai mimi si finisce per rivelare aspetti terribili del proprio carattere. Aggiungeteci il funambolico tentativo di tenere a bada gli automatismi da maschio casertano che porterebbero Antonio a corteggiare tutte le donne, e l'avversione viscerale per il fanatismo ecologista. Cosi la realizzazione del documentario si allontana, e quel sentimento dolceamaro della delusione rischia di prendere il sopravvento, perché "mica la parola amore rende la vita migliore, no, semmai la rende possibile, migliore certo che no".
A Caserta le cose cambiano, si evolvono. E così, il contrabbando di sigarette cede il passo alla vendita della cocaina e la camorra organizza un sistema in franchising per potenziare lo smercio della droga. A Caserta ci sono degli architetti che si lagnano perché in tanti vogliono ristrutturare il proprio locale alla maniera neoborbonica. A Caserta ci sono quelli ottimisti che da un giorno all'altro si sono trovati sommersi dai rifiuti e si sono avviliti e ci sono quei casertani che, pessimisti cronici, stanchi di tutto questo andazzo, hanno deciso di prendere un treno per il Nord e non tornare mai più e una volta lontani si sono resi conto che alcune tipologie di rifiuti che impestavano Caserta partivano proprio da quelle città del Nord, in apparenza linde, ottimiste, pulite. E che in tanti, durante il fine settimana, dal Nord scendevano giù a Caserta per comprare droga a basso prezzo, arricchendo cosi i clan, gli stessi che magari investivano i proventi nel settore rifiuti. E allora quei casertani emigrati si sono resi conto con stupore che Caserta è ovunque e complessa è la sua antropologia.
Cosa può combinare un uomo, sulla soglia dei cinquanta, da solo in città mentre moglie e figli sono al mare? Per esempio, lasciarsi trascinare alla rocambolesca premiazione di un vecchio maestro del cinema, per poi infilarsi in lunghe discussioni - un occhio alla luna e uno alla birra - sul senso del tragico, la stabilità delle orbite planetarie, i sentimenti post lavatrice e la ricerca della felicità. Con lui, un gruppo di sgangherati amici: Giacomo che da promettente film-maker si è ridotto a consegnare le pizze; Paola che si sente "fuori mercato" a trentacinque anni e arriverà a tentare un gesto estremo; Luigi, artista affermato, che si caccia in una relazione pericolosa dietro l'altra. Nessuno di loro è davvero felice, per quanto si sforzi di vivere seguendo i propri sentimenti. Ma in fondo chissà quanta parte ha la volontà, e quanta il caso, nelle nostre vite. E, soprattutto, quanta parte ha l'amore. Sulla scia delle "Attenuanti sentimentali", Antonio Pascale tratteggia con intelligenza e ironia il nostro tempo. Attraverso episodi esilaranti e digressioni tanto puntuali quanto svagate, ci colloca nel centro esatto del racconto, di fianco al suo protagonista così nevrotico e contemporaneo, così sentimentale e forse tragico, così simile a noi. "Sì, lo ammetto, a furia di contemplare il cielo la felicità era in notevole ritardo e gli eventi sentimentali, invece, sul punto di precipitare".
Maria ha superato da poco i quarant'anni, vive a Napoli, lavora come insegnante in una scuola serale e un giorno, al sesto mese appena di gravidanza, partorisce una bambina che viene subito ricoverata in terapia intensiva neonatale. Dietro l'oblò dell'incubatrice Maria osserva le ore passare su quel piccolo corpo come una sequenza di possibilità. Niente è più come prima: si ritrova in un mondo strano di medicine, donne accoltellate, attese insensate sui divanetti della sala d'aspetto, la speranza di portare sua figlia fuori da lì. Nei giorni si susseguono le mense con gli studenti di medicina, il dialogo muto con i macchinari e soprattutto il suo lavoro: una scuola serale dove camionisti faticano su Dante e Leopardi per conquistarsi la terza media. La circonda e la tiene in vita un mondo pericolante: quello napoletano, dove la tragedia quotidiana si intreccia con la farsa, un mondo in cui il degrado locale è solo la lente d'ingrandimento di quello nazionale.
Succede a volte che un imprevisto interrompa il corso normale della vita: un accidente si mette di traverso, e d'un tratto il tempo si biforca. Alla drammatica rapidità dell'istante si affianca un tempo diverso, dilatato e fermo: il tempo dell'attesa. «Io non sono buona ad aspettare, - dice Maria, la protagonista di questo romanzo. - Non sento curiosità nel dubbio, né fascino nella speranza. Aspettare senza sapere è stata la piú grande incapacità della mia vita».
Maria insegna italiano in una scuola serale di Napoli, legge Dante e Leopardi a giganteschi camionisti che faticano a infilarsi nei banchi.
Una sera, tornando a casa, un dolore rotondo e forte la precipita nella sala d'aspetto di un ospedale: «Quelli sono medici, signò, che vi possono rispondere?»
Narrata con una voce ribelle che pure sa trovare i toni dell'indulgenza, una storia che inizia come un destino di solitudine personale e piano piano si trasforma in un caldo coro di scoperte, volti e incontri. Tanto che a Maria sembra quasi che siano la vita e la città a farle da compagne.
Un libro bruciante, profondo, luminoso.
Scendendo a capofitto per i rami delle generazioni, Clelia riesce a trovare il suo posto sull'asse del tempo: ha una data d'inizio, il 1914, e persino una capostipite, la nonna Franca, giunta dalla Russia a Napoli. Innamorata della vita, ricca di passione e di ideali, Clelia cresce con i piedi piantati nella provincia e lo sguardo rivolto alla città. Quando Clelia incontra Gianni non ha dubbi su cosa fare: insieme trovano quarantadue metri quadri in cui sostenersi "l'un l'altra come due carte da gioco poggiate in piedi". Per mantenersi lavora come maschera in un teatro, e proprio in teatro farà presto carriera. Appagata dal successo, Clelia sembra non accorgersi di scegliere sistematicamente il "male minore". Il nuovo romanzo di Valeria Parrella ha l'energia e il coraggio delle storie necessarie. La storia di Clelia procede di pari passo con quella dell'Italia, e ci restituisce il ritratto di un Paese che ha progressivamente rinunciato al pubblico per il privato, all'etica per il guadagno, ma che con ostinazione ciascuno di noi continua ad amare "come si amano solo le cose che vengono prima di noi e dopo di noi resteranno". Senza dismettere la voce intima e sensuale che le è propria, Valeria Parrella narra la perdita di contatto tra ciò in cui si crede e il modo in cui si agisce, fino alla consapevolezza che "le cose non si compiono all'improvviso, ma all'improvviso le vedi nel loro intero".
Fare il nodo ai lacci delle scarpe, colorare dentro i contorni, lavare bene i denti (anche quelli in fondo), salire scale sempre nuove senza stringere per forza il corrimano. E poi: avere lo sguardo lungo, separare l'ansia dal pericolo vero, vincere, perdere, aspettare, agire, confidarsi, farsi valere, rassegnarsi. A dover imparare tutto ciò, in questo romanzo colmo d'energia e dal potere medicamentoso, sono una donna e il suo bambino. Lei ha l'esperienza, mentre lui per capire mira all'essenziale; lei ha occhi pronti a cogliere ogni spigolo, mentre lui da dietro gli occhiali le insegna a leggere il mondo a due dimensioni. Davanti a loro si stagliano tutti gli ostacoli possibili, e per fronteggiarli hanno a disposizione molta paura e altrettante armi. La paura è quella di non farcela, e le armi a ben guardare sono le stesse della letteratura: nominare le cose, percorrerle, trasfigurarle, lasciarle andare. Tenendosi per mano - ma chi reggendo chi è difficile dirlo si muovono tra fisioterapisti e burocrati, insegnanti e compagni di classe, barcollando o danzando, ma sempre stringendo nel pugno una parola difficile che comincia per "H", e che sembra impossibile far germogliare. Perché se hai tatuato addosso il numero 104 - quello della legge sulla disabilità - e vivi in un mondo "che non ha proprio la forma della promessa", mettere un passo dopo l'altro diventa ogni giorno più difficile. Ma c'è chi prima di loro e insieme a loro ha solcato lo stesso mare impetuoso...