
Pirandello inizia a scrivere novelle alla fine dell'Ottocento, muovendo dai retaggi di un verismo di cui veniva disintegrando gli stessi presupposti teorici, e continua fino agli ultimi giorni di vita. Al progetto, rimasto incompiuto, di raccogliere la produzione breve in un corpus compatto di trecentosessantacinque racconti, le Novelle per un anno, Pirandello dedicò molte energie, testimoniando quanto questo genere letterario ben radicato nella tradizione italiana rappresentasse per lui un serbatoio prezioso di figure e di temi, un momento ineliminabile di confronto tra lo scrittore e i suoi ricorrenti fantasmi, calati nelle vesti di personaggi. Questo volume raccoglie trentaquattro novelle tra le più celebri e conosciute, da La patente a Ciàula scopre la Luna a Una giornata: copioni spesso di derivazione ancora ottocentesca nei loro temi narrativi, che offrono uno spaccato a tutto campo della società italiana del primo Novecento, ma che rimangono impressi soprattutto per il punto di vista, quello del "filosofo", dell'"umorista", dal quale fatti ordinari vengono osservati. Lo scarto, l'anomalia, l'emarginazione diventano la molla che permette il sovvertimento di quel "pantano della vita ordinaria" in cui annaspa l'anti-eroe pirandelliano, nel quale l'uomo del XXI secolo non può non riconoscersi.
Scritto nel 1904, pietra miliare della narrativa del XX secolo, "Il fu Mattia Pascal" narra la vicenda di Mattia, sfaccendato bibliotecario di un ipotetico paesino della Liguria, odiato da moglie e suocera e connotato da un occhio strabico, simbolo inequivocabile di uno sguardo deformante sul reale. La vicenda si svolge tutta sotto il segno del fortuito e dell'imprevisto. Imprevisto è il suo stesso matrimonio, cui finisce obbligato dalla sua eccessiva disponibilità alle occorrenze del caso. Ma sarà ancora il caso (o il diavolo?) a sottrarre Mattia alle infelici conseguenze dei suoi atti fortuiti: un'eccezionale vincita al gioco e un provvido sbaglio di persona (o meglio, di cadavere) lo renderanno improvvisamente ricco e libero. A completare questo bagno nell'irrazionale e nel fantastico, la rinascita di Mattia si snoda lungo una dimensione esoterica che lo porterà a vivere un universo misterico popolato da ombre e forze occulte. Introduzione di Marziano Guglielminetti. Cronologia di Simona Costa. Note e appendici di Laura Nay.
Nel più celebre dramma di Luigi Pirandello, rappresentato per la prima volta nel 1921, sei personaggi si presentano a un Capocomico e raccontano di essere stati inventati da un autore che li ha abbandonati senza risolvere la loro storia nelle forme dell'arte. Creature vive e autonome quali ormai sono, essi soffrono il fatto di dover imprigionare negli schemi generici e convenzionali del linguaggio scenico le proprie vicende, pur avendo nella finzione teatrale l'unica fonte di salvezza. Lo stesso motivo, ricco di pathos, del contrasto tra arte e vita, anima l'"Enrico IV", scritto nel 1921 e rappresentato l'anno seguente: la tragedia del giovane improvvisamente impazzito che crede di essere l'imperatore di Germania ed è costretto a fingersi tale anche dopo aver riacquistato la ragione. Due classici del teatro universale, dall'altissima significazione poetica, caratterizzati da un'ardita tecnica scenica e da un desolato scavo dell'animo umano.
Guardandosi come ogni mattina allo specchio, Vitangelo Moscarda, detto Gengè, nota un particolare del proprio volto di cui non si è mai accorto: il naso in pendenza verso destra. Inizia qui l'avventura dell'uomo, che si sente sdoppiato in un altro se stesso, conosciuto solo dallo sguardo altrui. Le cose si complicano velocemente: Moscarda non è più alle prese con un solo estraneo, bensì con centomila estranei che convivono in lui, secondo la realtà che gli altri gli danno, "ciascuno a suo modo". Nello sfuggire alle proprie centomila realtà, Gengè si troverà a rinnegare perfino se stesso. Con "Uno, nessuno e centomila", il suo ultimo romanzo (pubblicato nel 1925), lo scrittore siciliano porta all'estremo compimento il processo di scomposizione del personaggio, raggiungendo nel contempo il vertice della sua carriera narrativa...
Pubblicato nel 1927 è il romanzo più tipico di Pirandello, quello in cui meglio si manifesta il nucleo fondamentale di quel particolare sentimento della vita e della società che sta alla base di tutta la sua grande opera teatrale. Vitangelo Moscarda si convince improvvisamente che l'uomo non è "uno", ma "centomila"; vale a dire possiede tante diverse personalità quante gli altri gliene attribuiscono. Solamente chi compie questa scoperta diventa in realtà "nessuno", almeno per se stesso, in quanto gli rimane la possibilità di osservare come lui appare agli altri, cioè le sue centomila differenti personalità. Su questo ragionamento il tranquillo Gengé decide di sconvolgere la sua vita.
Luigi Pirandello uno dei maestri del racconto fantastico novecentesco? L'idea fatica ancora ad affermarsi, tra gli studiosi come tra i lettori comuni. Eppure, a giudicare dalla quantità e dalla qualità dei testi dello scrittore siciliano, una simile affermazione non pare davvero eccessiva.
Questa originale scelta dei suoi racconti, curata da Gabriele Pedullà, rivela per la prima volta il versante notturno, gotico e lunare delle Novelle per un anno ed evidenzia come - da un Mediterraneo per definizione distante tanto dalle brume del Nord quanto dalle fate morgane dell'Oriente - Pirandello abbia saputo dare vita a un fantastico originalissimo, non piú succube dei grandi modelli del romanticismo europeo.
Un fantastico all'insegna dello spaesamento geografico, della lotta alle maschere sociali e della riflessione sui processi della creazione letteraria che non potrà che sorprendere - e deliziare - i lettori.
Nelle Novelle per un anno, Pirandello propone cinque diversi sguardi sul giorno di Natale. La tensione tra il rigore pauperistico di un parroco e la devozione popolare delle pie donne del paese. Una festa che termina in pianto. La figura di un Gesù furtivo e pallido che erra per vie deserte nella notte in cui si celebra la sua nascita. Un presepe di guerra nel quale pecore, pastori e Magi vengono sostituiti da soldatini di stagno con i fucili spianati contro la grotta di Betlemme. E un pranzo della festa attraversato con ironia da astuzie e malintesi.
Umoristico antieroe della modernità, filosofo pazzo, il protagonista Vitangelo Moscarda narra la sua storia che, partendo dalla frantumazione della coscienza unilaterale, culmina in una sorta di santità laica coincidente con l'attività di una scrittura indirizzata al lettore da un "oltre" fuori della vita. Il volume fa parte della serie pirandelliana diretta da Nino Borsellino che firma l'ampia introduzione sulla vita e l'opera dell'autore. L'apparato critico introduttivo è completato da una bibliografia di Graziella Pulce.
"Ma voi, insomma, si può sapere chi siete?" Mi stringo nelle spalle, socchiudo gli occhi e rispondo: "Eh, caro mio... Io sono il fu Mattia Pascal."
"Una realtà non ci fu data e non c'è, ma dobbiamo farcela noi se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile. La realtà d'oggi è destinata a scoprircisi illusione domani." (Luigi Pirandello)
"Chi ha la Ventura di nascere personaggio vivo può ridersi anche della morte. Morrà l'uomo, lo scrittore, strumento della creazione; la creatura non muore più!" (Luigi Pirandello).
"Quando parliamo noi? Quando riflettiamo? Solamente quando vi siamo costretti da cause avverse; mentre poi in quelle che ci danno diletto il nostro spirito riposa e tace. Pare così che il mondo sia soltanto pieno di mali." (Luigi Pirandello).