
Gwenni Morgan ha dodici anni. La notte non dorme granché bene perché divide il letto con Bethan, sua sorella. È vero che prima di andare a letto dispone un nastro rosa nel senso della lunghezza per delimitare il suo territorio, ma la sorella sconfina invariabilmente, costringendola a trovare una via di fuga immaginaria.
Ogni notte Gwenni sogna di volare nel cielo sopra il villaggio del Galles in cui abita, e a volte vede cose che non dovrebbe vedere. Come un uomo che galleggia a braccia spalancate e occhi sbarrati nella vasca battesimale.
Gwenni è curiosa e ha una grande fiducia nelle parole. Ecco perché legge tanto e fa tante domande. Domande che forse non dovrebbe porre e che la portano a scoprire cose che nel villaggio in cui vive, come in molti altri posti del genere, sono rimaste nascoste per anni, coperte da un'omertà diffusa. E che la riguardano anche da vicino. Oscuri segreti celati dietro la facciata di rispettabilità che gli adulti erigono tutte le volte che non vogliono o non sanno affrontare la realtà che loro stessi hanno contribuito a creare.
Un romanzo forte e delicato al tempo stesso, che cattura sin dalle prime pagine, con una voce fresca e assolutamente credibile. Una storia che lascia il segno.
Maria Jameson, docente universitaria, è sposata, ha due figli e un amante più giovane di lei, al quale è legata da un’intensa passione. Tra la complicata e impegnativa doppia vita che conduce e l’incertezza di rimanere sola, Maria trova guida e sostegno nella lettura dei romanzi di George Sand, la famosa autrice dell’Ottocento su cui sta scrivendo un libro. Lo studio dei testi e dell’autobiografia della scrittrice, la visita nei luoghi che amava e frequentava, e in particolar modo la scoperta delle sue numerose e intense relazioni sentimentali, trascinano Maria in un universo femminile rivoluzionario e anticonformista.
Ed è soprattutto nella tormentata relazione di George Sand con Frédéric Chopin che Maria trova risposta alle domande che l’assillano sull’amore, sulla fedeltà, sugli uomini, sull’arte e la vita. Fino alla conclusione del suo libro, quando Maria si riconcilierà con se stessa, riscoprendo la bellezza della semplicità e della quotidianità dell’amore.
Ambientato tra Edimburgo, Palma di Maiorca e la Francia, attraverso il delicato intreccio delle voci di Maria e George Sand, L’amante di Chopin descrive il percorso di due donne che, seppur lontane nel tempo, condividono il sentimento della passione e la ricerca dell’amore perfetto. Due storie di perdita e riscoperta di sé che, come in un elegante gioco di specchi, si riflettono l’una nell’altra.
Inghilterra, 1321. Il gufo è stato gettato sulla soglia di casa sua, morto; gli occhi sbarrati sembrano accusarlo. Giles conosce il significato di quel macabro dono, sa che è ben più di un avvertimento: i Maestri Oscuri stanno per venire a prenderlo, per assalirlo nella foresta o nel suo letto. Lo puniranno per i suoi peccati.
Dopo qualche settimana di terrore, infatti, un gruppo di uomini con i mantelli scuri lo accerchia, i visi nascosti da maschere da gufo. Lo agguantano, lo feriscono e lo portano via, per sempre. Giles viene sacrificato agli dei, il giorno della fiera del primo maggio, perché non è stato in grado di resistere alle tentazioni.
Nessuno nel villaggio ha mai osato opporsi agli atroci soprusi perpetrati dall’antica setta. Da qualche anno, però, è giunto dal nord della Francia un gruppo di donne, le seguaci di Marta, con l’intento di stabilirsi a Ulewic e di portarvi un messaggio di pace. Sono loro le prime a sollevarsi in difesa dei deboli.
Quando i Maestri si accorgono dell’influenza che le straniere cominciano ad avere sulla gente, capiscono che quelle che erano sembrate delle innocue religiose potrebbero trasformarsi in una minaccia al loro potere. C’è un unico modo per eliminarle: farle diventare agli occhi del popolo l’incarnazione di ciò che più teme. Saranno accusate di essere delle streghe, di aver ucciso gli animali e distrutto i raccolti, uniche ricchezze dei contadini, di aver portato il più terribile dei mali: la peste. E forse neppure la sacra reliquia che nascondono sarà in grado di proteggerle dall’ira funesta degli Oscuri.
Camelot è un venditore ambulante che viaggia da molti anni e per vivere vende reliquie false. È anche un vecchio sfigurato da una cicatrice che lo ha reso privo di un occhio. Fingendosi un reduce delle battaglie contro gli infedeli in Terra Promessa, ha fatto del marchio che porta in faccia un mezzo per sopravvivere e così vende speranza e “fede in bottiglia”. Ma ora da tempo è lontano da casa e il ricordo del passato si fa vivo nella mente di Camelot, forte e nostalgico. Il venditore intraprende così la lunga strada di ritorno verso la Scozia, mentre l’imprevista esplosione della peste trasforma il suo viaggio in una fuga dall’epidemia. È il nefasto giorno di mezz’estate del 1348, quando il contagio comincia a diffondersi nel Paese e quando Camelot incontra Narigorm, una bambina albina, lettrice di rune. I suoi occhi celesti, splendenti nella cascata bianca e immacolata dei suoi capelli, lo fissano insistentemente come se volessero leggergli dentro. Un incontro fatale, il primo di una serie, che porta Camelot a proseguire il suo cammino con una nuova e bizzarra compagnia, unita dalla necessità di sopravvivere alla peste. Un mago bigotto, un cantastorie, un pittore di scene sacre, un musicista veneziano e il suo pupillo, un’esperta di erbe e infine proprio la bambina albina diventano così protagonisti di questa fuga dalla disperazione. Quando però uno del gruppo viene trovato impiccato a un albero, tra loro s’insinua il dubbio e la diffidenza. Qualcosa di più terribile della peste minaccia la loro vita, un segreto nascosto in ognuno di loro. Solo la bambina e le sue rune sanno cos’è.
Dopo tre mesi trascorsi a letto per una gravidanza difficile, Quinn Boothroyd, detta “Q”, pensava che il peggio fosse passato e che la nascita del piccolo Samuel avesse messo la parola fine ai suoi guai. Invece, quello non era che l’inizio. Quel cosino di poco più di tre chili, con i suoi pianti isterici e inconsolabili, è infatti in grado di produrre più decibel di un’esplosione, di sporcare più di una squadra di football e di farla dormire meno di quando dedicava venti ore al giorno alle cause per il suo studio legale. Fortunatamente, però, un vecchio amico di suo marito Tom ha una splendida casa nel Connecticut ed è disposto a lasciargliela per trascorrere due tranquille settimane di vacanza. Quello che per Q è un sogno che diventa realtà – il parco, la spiaggia lambita dall’oceano su cui fare lunghe passeggiate solitarie – per Jeanie, sua sorella, è un incubo.
Arrivata a New York da poche ore con l’idea di dare una mano a Q, Jeanie si aspettava di girovagare per la Grande Mela sperimentando ristoranti e locali alla moda e svaligiando negozi. Certo non pensava di dover passare tutto quel tempo alla sola presenza della sorella, del cognato e del nipotino senza contatti con nessun altro.
I giorni lontano dalle loro rispettive vite, però, serviranno a Q e a Jeanie per ritrovarsi e, grazie soprattutto all’apparizione di un miliardario arrogante e incredibilmente bello e di un avvocato di campagna, per dare una svolta alle proprie esistenze.
Ci sono molte cose che Leila non capisce. La parola matrimonio, per esempio. E nemmeno di cosa parlano le nutrici quando dicono che sua sorella maggiore, dimenticata come lei in un istituto, è già incredibile che qualcuno la voglia sposare. Però quando Wifaq, una sua compagna di scuola, dice: «Mia madre non vuole che parli con le figlie del peccato», Leila capisce eccome. In Sudan, dove Leila è nata, nascere fuori dal matrimonio è una maledizione, un’infamia incancellabile. La sorte di questi bambini è segnata. Molti vengono abbandonati a loro stessi. I più fortunati, come Leila, vengono cresciuti negli orfanotrofi , con il marchio della colpa. Senza affetto. Senza un futuro.
Ma Leila ha un carattere forte e si oppone al destino che tutti considerano già scritto. Finché un giorno sente il bisogno di fare qualcosa per i bambini come lei.
In quel pomeriggio lontano, alla frase di Wifaq aveva reagito con rabbia. Con una manciata di terra stretta in pugno, l’aveva aspettata fuori casa e gliel’aveva sbattuta in faccia, prima di scaraventarla nella polvere. Ma ora sa che parlare al cuore è meglio che aggredire.
Una memoir coinvolgente, che sussurra parole di speranza e riscatto.
Etruria, I secolo avanti Cristo. La pianura è avvolta dal silenzio. I due schieramenti sono l'uno di fronte all'altro, immobili. Di colpo il suono del corno squarcia l'aria: è l'inizio dell'assalto. Con un ruggito, la Decima legione comandata da Giulio Cesare si lancia contro l'esercito mercenario di Catilina. Ben presto i ribelli si rendono conto di non poter fare nulla contro la forza e l'abilità dell'esercito avversario e vengono sconfitti. Roma è fuori pericolo. Cesare ora ha un unico obiettivo: governare la città. Nato da padre inglese e madre irlandese, Conn Iggulden, prima di diventare scrittore a tempo pieno, ha insegnato letteratura per sette anni.
Sono sempre lì, Natale, Pasqua, estate, Halloween. I mozziconi di sigaretta appesi all’angolo della bocca, succhiati fino all’osso. Portano il cappello calato su occhi che restano perennemente in ombra. Stanno sempre all’angolo del negozio di Cope. La mattina presto, la sera tardi, sempre lì nella pozza di luce del lampione, addossati al muro che fa da barriera al vento.
Ho otto anni e questi sono uomini grigi, con barba lunga e abiti logori. Uomini in grado di sputare sentenze senza togliersi la sigaretta dalle labbra livide. Uomini duri, amari, che sorridono poco ma sogghignano spesso. A volte ridono di me quando passo, e in quei secondi mi sento come un pollo infilzato sullo spiedo. Temo e odio i ragazzi all’angolo. Sembra che il loro unico scopo sia tormentare i bambini e le giovani donne. Non si muove nulla che loro non seguano con gli occhi. Sono un giudice e una giuria permanenti, un coro di piccole divinità scurrili. Persino l’espressione “ragazzi all’angolo” fa paura.
Adesso che sono passati tanti anni, adesso che anche io so qualcosa delle strade buie, di una casa vuota, della rabbia che non trova qualcosa su cui sfogarsi, adesso riconosco i ragazzi all’angolo per ciò che in realtà erano. Adesso so che non avevo capito niente.
John va ancora al college, eppure è già alla sua seconda vita. La prima l’ha vissuta segregato in un lettino a sbarre in un istituto di Mosca, una di quelle Case dell’Infanzia ideate da Stalin e ancora esistenti. Trattato come un bambino fallato, come vengono considerati i piccoli che dopo diagnosi frettolose ricevono l’etichetta di idioti. John aveva un altro nome allora, Vanja, anche se quasi nessuno si rivolgeva a lui. Nessun legame con i bambini, questa è la regola per il personale. Nutrirli e cambiarli, senza guardarli, toccandoli il meno possibile. Un inferno in terra a cui è condannato chi è destinato all’oblio, e non può nemmeno sperare in un’adozione.
Ma Vanja non è ritardato. Vanja è un bambino sveglio, dagli occhi curiosi, ingordo di affetto e di contatti umani, l’unico in grado di parlare nella stanza in cui è prigioniero con una dozzina di sfortunati come lui.
È grazie alla parola che per lui si accende una speranza. Un giorno una donna, una straniera, si affaccia alla sua stanza e gli regala una macchinina. «Torna ancora» le grida Vanja. Una richiesta d’aiuto che non si può ignorare. La donna, Sarah, moglie di un giornalista inglese, è in contatto con associazioni internazionali che cercano tra mille difficoltà di aiutare quei bambini. Torna Sarah, perché ci sono promesse che non è possibile disattendere, per nessun motivo. Sarà l’inizio di una lunga battaglia, contro la tentacolare burocrazia russa, la diffidenza, i pregiudizi, per dare a Vanja quello di cui ha un disperato bisogno: una mamma.
Una storia di generosità e coraggio, una testimonianza che sprigiona una contagiosa voglia di vivere.
Per Mila Bibikova, la parola mamma è vuota, staccata da qualunque sentimento: la trova scritta nei libri, ma non ha posto nel mondo popolato di orfani in cui trascorre l’infanzia. Del resto, aveva tre anni quando sua madre fu arrestata in quanto moglie di un nemico del popolo e internata in un gulag. Mila conosce benissimo, invece, il significato di Partito e Stalin, e quel volto baffuto che la fissa da tutte le pareti è per lei l’immagine più prossima a una figura paterna. Anche se è stato proprio quell’uomo a privarla del vero padre, giustiziato per crimini contro la rivoluzione.
L’unico brandello di famiglia a cui Mila può aggrapparsi è la sorella maggiore, Lenina. Insieme affrontano la prigione e gli stenti, fino a quando il caos della Seconda guerra mondiale le divide, e Mila finisce in una città ai piedi degli Urali popolata da bambini allo sbando, che si nutrono di erba della steppa e vivono seguendo la “legge dei lupi”.
Se crescendo Mila impara a lottare per sopravvivere, una volta adulta non smette di combattere. Innamoratasi di un giovane diplomatico inglese, si ritrova di nuovo dalla parte del “nemico” quando lui viene espulso dal suolo sovietico. Ostacolato dalla Cortina di ferro, il loro amore si nutrirà per ben sei anni di fiumi di inchiostro: lettere che saranno capaci di superare le barriere innalzate dall’odio e dall’ideologia.
Partendo da quelle lettere ritrovate in soffitta, il figlio di Mila riannoda i fili di un’incredibile saga familiare, in cui rivivono alcune delle pagine più drammatiche della storia del Novecento e in cui il coraggio di una donna diventa un inno all’amore e alla libertà.
Per alcuni Cesare è il nome di un traditore della patria, per altri quello di un eroe. Un destino stranamente ambiguo per un uomo che non è abituato a esitare. Che ha attraversato il Rubicone e ha marciato verso Roma in armi, sfidando la legge e suscitando l’ira di Pompeo e del Senato. Ora i suoi avversari non sono più barbari da sottomettere nel nome della Repubblica, questa volta è contro la sua gente che dovrà combattere, in una guerra civile che lo porterà di nuovo lontano dalla città eterna. In campi di battaglia che, ancor prima del suo arrivo, già risuonano della sua fama, tra la Grecia, l’Asia e l’Egitto della splendida Cleopatra, si ammanterà di nuove vittorie. Ancora una volta si leveranno le armi, cadranno i suoi avversari, ripiegheranno infine gli eserciti nemici, decretando un solo vincitore. Saranno anni intensi e dolorosi, e solo al termine di lunghe peregrinazioni Cesare potrà tornare a Roma in trionfo, e qui gettare le basi di quello che diverrà il più grande Impero di tutti i tempi. Ma quanto più in alto vola l’aquila, tanto più rovinosa è la sua caduta, quando la storia ha deciso un epilogo che sembra non rendere giustizia.
Harry è un ragazzino di quattro anni, il più piccolo di cinque fratelli. Il padre, un ebreo immigrato dalla Polonia, lavora alle manifatture tessili, sperperando gran parte del suo salario al pub. La madre manda avanti la famiglia come può, ricorrendo a mille espedienti. La loro povera casa si allinea con altre simili su una strada di ciottoli di una cittadina industriale del nord dell’Inghilterra. Una strada come tante, ma solo in apparenza, perché al suo centro corre un muro invisibile: gli ebrei da una parte, i cristiani dall’altra. Due mondi con usanze, credenze, pregiudizi diversi si fronteggiano, quasi non fossero parte di un’unica realtà, quella della miseria.
La Prima guerra mondiale incombe, e con essa eventi che cambieranno per sempre la vita della famiglia, e quella della strada. Ma solo l’amore contrastato di Lily, la sorella maggiore di Harry, per Arthur, un ragazzo cristiano, sarà in grado di aprire una crepa nel muro, lasciando filtrare un raggio di luce.