
L’interrogativo che regge il pensiero scritturale qui presentato è se possa esistere, nella contemporaneità, un appello utopico ad un lingua poetica che sappia accogliere l’alterità, esprimere le sue condizioni di esilio, annunciarne il desiderio di futuro. Intorno a questi nuclei di analisi, La lingua di Cleopatra tesse – è la forza stessa della traduzione interpretata dalla figura shakesperiana – legami strettissimi con il pensiero utopico di Walter Benjamin (e della Scuola di Francoforte), con la filosofia di Jacques Derrida nell’intreccio con il poststrutturalismo di Paul de Man, col pensiero postcoloniale di Gayatri C. Spivak nella sua vicinanza d’ispirazione con l’écriture feminine di Hélène Cixous. La prospettiva è quella che s’interessa così al dibattito teorico sulla traduzione, all’intertestualità, alla (dis)appropriazione autoriale, alla sperimentazione di nuove forme della comunicazione artistica, con la musica, il cinema, il reportage giornalistico.
Il positivismo italiano è stato di solito un ottimo sparring partner per ben più agguerriti e robusti lottatori teoretici che, nel prendere le distanze da esso, hanno trovato anche l'occasione per caratterizzare in modo originale la propria prospettiva: l'idealismo prima, il marxismo poi, ed insieme ad essi tutta una serie di correnti che hanno segnato la storia della filosofia italiana dall'Unità ad oggi (spiritualismo, neotomismo, esistenzialismo, per finire con l'ermeneutica), hanno contribuito in modo convergente a creare una "cattiva stampa" del positivismo italiano, magari per contrapporgli più nobili e degni parenti di schiatta europea.
"La cultura filosofica italiana dal 1945 al 2000 attraverso le riviste" è il tema del convegno di studi organizzato a Palermo nel novembre del 2005, i cui Atti sono stati pubblicati nel 2006 con il titolo "La cultura filosofica italiana attraverso le riviste. 1945-2000". Così come preannunciato nella nota introduttiva di quel volume, puntualmente, a distanza di meno di due anni (nell'aprile del 2008), è stato organizzato un secondo convegno, rivolto alla ricostruzione storica della filosofia italiana della seconda metà del secolo XX, attraverso la rilettura delle riviste filosofiche edite nel nostro paese. Questi due convegni si legano agli altri organizzati nel maggio 2001 (Le avanguardie della filosofia italiana nel XX secolo), nell'ottobre 2002 (Giovanni Gentile. La filosofia italiana tra idealismo e anti-idealismo) e nel marzo 2004 (Idealismo e anti-idealismo nella filosofia italiana del Novecento). Si tratta di testi fondamentali per chi volesse ripercorrere le tappe più significative della cultura filosofica italiana del Novecento, posta a confronto con quella europea ed extraeuropea, sulla scia del convegno di Anacapri organizzato nel 1981 e i cui Atti (La cultura filosofica italiana dal 1945 al 1980) furono pubblicati nel 1982, segnando una nuova stagione di storiografia filosofica.
Non "che cosa" è ciascuno, ma "chi" è: si potrebbe sintetizzare così la categoria di "unicità" elaborata da Hannah Arendt. In una prospettiva femminista, Cavarero utilizza l'unicità per polemizzare contro due posizioni della filosofia contemporanea. Ogni essere umano, nella sua unicità, desidera ricevere da un altro il racconto della propria storia. Solo gli altri possono scorgere il disegno di un'identità nel corso della sua esistenza e raccontarla in presa diretta, in sua presenza. Contro le astrusità e i luoghi comuni della filosofia, Cavarero convoca Hannah Arendt, Karen Blixen, Edipo, Borges, Ulisse, Rilke, Euridice, Sheherazade per illuminare i racconti con cui ci desideriamo reciprocamente e che ci donano un ritratto in cui riconoscerci.
La storia della ricezione della Servitude volontaire è quasi unica nel panorama della filosofia cinquecentesca europea ed extraeuropea. La massa di traduzioni nelle diverse lingue lo testimonia (latino, italiano, tedesco, belga, olandese, portoghese, norvegese, svedese, danese, spagnolo, rumeno, russo, serbo-croato, inglese, americano, giapponese...). Dall'anonimato al rogo in quanto 'pericolosa' o, all'opposto pura (e improbabile) esercitazione retorica a 'microcosmo della rivoluzione', di ogni rivoluzione possibile, la Servitude volontaire ha legato il suo destino ai momenti storici più significativi dell'età moderna, intesa come storia dell'emancipazione umana e della sua libertà: la rivoluzione americana, la rivoluzione francese, la rivoluzione napoletana del 1799, le lotte operaie a Lione e a Parigi del 1835, la rivoluzione del 1848, la liberazione dal nazi-fascismo. Ma al di là della contingenza storica, il messaggio laboetiano è la ripresa dell'eterno monito dello spirito sano, individuale e collettivo: liberarsi dalle catene. Un messaggio indirizzato a tutti coloro che non vogliono divenire pectora caeca.
Attraverso motivi e suggestioni della tradizione filosofica, una riflessione su alcuni significativi aspetti e occorrenze dell'essere e del sentire.
La teoria della volontà di Enrico di Gand: punto di arrivo della tradizione agostiniana, premessa dell'integrazione dell'aristotelismo col cristianesimo.
Le teorie sociali, filosofiche e scientifiche rappresentano, soltanto, i modi attraverso cui il pensiero umano ha cercato di comprendere e trasformare l'esistente, non sono certo espressione di una "natura intrinseca della cose". Credere, invece, in una verità oggettiva ha pericolose conseguenze su concetti quali la libertà, la responsabilità, e, in campo pratico, su attività quali quelle esplicate dalle scienze mediche.