
L'opera del filosofo e sociologo tedesco Jürgen Habermas (n. 1929) è assai conosciuta: è stata, infatti, tradotta in molte lingue e su di essa è disponibile una vasta letteratura secondaria. Il volume intende offrire al pubblico italiano un'introduzione breve, ma relativamente completa e aggiornata, del suo pensiero. Sono oggetto di attenzione la sua teoria dell'agire comunicativo; la valutazione che Habermas ha fornito di autori classici e contemporanei; la sua tesi della razionalizzazione e colonizzazione del mondo vitale e le conseguenze di questi processi per l'agire comunicativo; la sfera pubblica come fonte di legittimazione; la ricezione, infine, della sua opera. Diversamente da altre introduzioni, si è preferito evidenziare la continuità tematica del suo pensiero, piuttosto che suggerire la presenza di fasi di sviluppo. Si sono inoltre privilegiati gli aspetti sociologici della sua riflessione, piuttosto che quelli filosofici.
Testo in inglese.
Come può definirsi oggi una "filosofia cristiana" e quale può essere la sua originalità rispetto alla tradizione? Come andare oltre l'obiezione di Heidegger che la definisce una contraddizione in termini, un "ferreo ligneo"? Motivo di queste pagine sono questioni antiche, le cui origini si trovano nella patristica e nella scolastica medievale nutrite dei concetti del pensiero greco, e la cui acme si osserva nel consumato dibattito moderno sul rapporto tra ragione e fede. Correlato è il tema della libertà: essa si oppone alla fede in quanto dono della grazia, oppure è condizione della stessa verità della religione cristiana? Svolgendo questo interrogativo il saggio offre i lineamenti per una metafisica che coniuga pensiero contemporaneo e classicità. la prospettiva indicata è quella di un realismo fenomenologico: superare il soggettivismo e il relativismo affermando nell'atto del conoscere, capace appunto di cogliere l'essenza delle cose, l'esistenza di verità oggettive e necessarie.
Il Liceo di Atene, di cui abbiamo pochi resti, è considerato a ragione uno dei luoghi più significativi dell'umanità. È il sito della scuola di Aristotele. Qui il filosofo insegnava e discuteva le risposte ai misteri più profondi della condizione umana, cambiando il modo in cui pensiamo. Oggi può essere difficile comprendere l'influenza straordinaria delle sue lezioni. Eppure le sue osservazioni sul mondo intorno a lui, unite alle sue riflessioni sulla natura della conoscenza, hanno gettato le fondamenta di tutta la scienza empirica. Il suo studio del pensiero razionale ha posto le basi della logica formale, pietra angolare dell'indagine filosofica. Il suo esame delle città-stato greche ci ha dato la scienza politica, mentre la sua analisi della tragedia rimane un pilastro dei corsi di letteratura in tutto il mondo. Il noto filosofo John Sellars ci conduce in un viaggio nel pensiero di Aristotele, mostrando come molte sue idee continuino a incidere sul modo in cui pensiamo e viviamo oggi. E ci suggerisce che tenere aperte le porte della mente alla curiosità e al desiderio di conoscere significa anche realizzare compiutamente la nostra natura umana. Le riflessioni di Aristotele, mostra Sellars, hanno oggi ancora molto da insegnarci.
DESCRIZIONE: Se dovessimo indicare alcuni punti forti di questo libro che presentiamo al lettore italiano, potremmo innanzitutto affermare che esso ha il merito di mettere a tacere coloro che hanno pensato che, su Pascal, tutto sia stato detto. Senza alcun dubbio, Pascal è un classico con cui per secoli si sono misurate legioni di lettori, di studiosi e di pensatori. Ma, appunto perché classico, continua a dialogare con chi lo studia, ora ponendo nuovi problemi, ora fornendo nuove soluzioni, ora sollecitando nuove ipotesi di lavoro. In questa prospettiva, Philippe Sellier – uno dei più grandi maestri di studi pascaliani – da decenni ci va ricordando che nel pianeta Pascal esiste una zona d’ombra non esplorata a sufficienza: la letteratura critica pascaliana, fortemente attirata dalle Lettere Provinciali o dai Pensieri, ha sostanzialmente sottovalutato il Pascal degli scritti spirituali. È questo sentiero a essere battuto e approfondito nel volume raccogliendo il frutto di una ricerca decennale che qui appare come una ricca composizione orchestrale capace di fondere in armonia le molteplici parti musicali. A emergere è un Pascal modernissimo pensatore che agita in modo stupefacente problemi e concetti non lontani dalla sensibilità culturale che prenderà forma nel Novecento con la crisi della Modernità: esalta i motivi dell’umanesimo, della razionalità, dell’immanenza, e, al contempo, cade nella prostrazione di chi non ha più una stella polare e va alla deriva in un mare infinito. Solo così si perviene alla morale cristiana, dove i contrari coincidono, la grandezza e la miseria dell’uomo si spiegano e si conciliano.
COMMENTO: Uno studio sul pensiero di Blaise Pascal (1623-1662) e dei laici di Port-Royal, giansenisti dediti alla cultura e alla meditazione, da parte di uno dei maggiori esperti del filosofo francese.
PHILIPPE SELLIER è professore emerito all’Université de Paris-Sorbonne. Direttore di quattro collane presso l’editore Honoré Champion, Sellier è uno dei più autorevoli protagonisti del dibattito internazionale sugli aspetti letterari, teologici e filosofici del XVII secolo in Francia. Autore di volumi su Agostino, Pascal e Port-Royal, ha curato l’edizione di B. Pascal, Pensées, opuscules et lettres (Paris 2011).
MARIA VITA ROMEO insegna Filosofia morale ed Etica della comunicazione all’Università di Catania e dirige la rivista di etica «Quaderni leif». Tra le sue recenti pubblicazioni: Il re di concupiscenza. Saggio su Pascal etico-politico (Milano 2009); Coscienza e responsabilità: Hegel e Croce lettori di Pascal (Catania 2011); Note etico-politiche nel “Gesuita Moderno” di Gioberti (Catania 2011); Il soggetto all’alba della modernità (Catania 2012); Descartes: la “générosité” come simulacro della carità (Catania 2012); I dubbi sul cogito di Descartes (Catania 2013). Per Morcelliana ha tradotto e curato: J. Mesnard, Sui “Pensieri” di Pascal (2011).
"Questo volume raccoglie le ricerche, che ho condotte con prospettiva unitaria, anche se in occasioni diverse, intorno ai problemi della responsabilità e della comunità umana. Il nesso tra i due problemi è assai stretto. La responsabilità è sempre e soltanto individuale, ma il suo orizzonte operativo è sempre e soltanto la relazione sociale. Reciprocamente, la relazione sociale è concreta e positiva solo come limite di possibilità delle responsabilità individuali. L'appello alla responsabilità conta tra le esigenze più urgenti della età contemporanea ed emerge fondamentalmente a tre distinti livelli: metafisico, scientifico e politico." (l'autore). Premessa di Giuseppe Cantillo.
Le Consolationes senecane sono tre: Ad Marciam, Ad Helviam mater e Ad Polybium. Esse hanno l'obiettivo di consolare i tre personaggi, afflitti per la morte di qualcuno, attraverso argomentazioni filosofiche. La prima è rivolta a Marcia, figlia dello storico Cremuzio Cordo, in seguito alla morte del figlio; l'opera vuole muovere una riflessione in particolare sul tema del suicidio, portando esempi di altre donne colpite dalla stessa disgrazia. La seconda consolati, la quale è addolorata per l'esilio in Corsica del figlio: egli però lo rassicura in quanto tale provvedimento non impedisce al saggio di dedicarsi all'otium. L'ultima consolazione è indirizzata a Polibio, il quale ha perso il fratello: Seneca, attraverso quest'opera, vuole in realtà tessere le lodi dell'imperatore Claudio per tornare dall'esilio a Roma.
Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C.) nasce a Cordoba, in Spagna, verso il 4 a.C., ma è a Roma che inizia gli studi retorici e filosofici. Prima sotto Caligola, poi anche sotto Claudio cade in disgrazia e viene esiliato in Corsica per otto anni. Richiamato a Roma da Agrippina, diviene precettore del figlio Nerone e poi nel 56 è nominato console: è ormai ai vertici della carriera politica. Nerone però intende seguire le sue ambizioni, eliminando tutti i possibili avversari. Seneca allora, fallito il sogno di un regno della filosofia, sceglie di ritirarsi a vita privata. Nel 65 si trova però coinvolto nella congiura dei Pisoni, per cui, rientrato dalla Campania, lo raggiunge la comunicazione della condanna capitale. Il filosofo allora decide di togliersi la vita; con quel gesto intendeva affermare che al saggio rimane ancora un'ultima libertà, cioè la morte.
"Alla lunga il dolore si consuma: anche il più ostinato, quello che insorge quotidianamente e si ribella alle cure, è spossato dal tempo, efficacissimo mitigatore delle violenze."
Pubblicato a Roma nel 1535, il "Democrates" di Sepulveda ha ispirato la rinascita dello stoicismo moderno. Testo polemico rivolto contro Erasmo e Machiavelli, il dialogo rispose alle inquietudini del tempo trattando del problema della guerra e della sua legittimità morale per i cristiani. Si poteva esercitare serenamente il mestiere delle armi tenendo conto dei precetti del Vangelo? Si poteva accordare l'etica antica e mondana della gloria con quella della pietà? Richiamandosi a Cicerone e ad Aristotele, Sepulveda respinse il pacifismo erasmiano, esaltò la potenza spagnola e replicò alle pagine corrosive di Machiavelli sul rapporto tra cristianesimo, decadenza politica e virtù militare. Il "Democrates", inoltre, costituì il primo momento in cui Sepulveda elaborò una dottrina della guerra umanitaria che servì come base per la legittimazione dell'imperialismo coloniale europeo.
L'esperienza del male coinvolge l'essere umano nell'intimità della sua persona e quasi sempre si pone quale problema insoluto. La filosofia, da sempre intenta a cercare risposte soddisfacenti, trova nelle opere di Tommaso d'Aquino una stimolante proposta che, senza ricorrere alla fede e al pensiero teologico, offre, con la forza della ragione, una possibile lettura di questa esperienza umana. Riprendendo Sant'Agostino, l'Aquinate afferma che il male è, fondamentalmente, assenza di bene; specificandone le caratteristiche, egli lo coglie in tutta la sua negatività quando esso si manifesta nelle azioni umane. Un ideale dialogo con la scrittrice e filosofa ebrea Hannah Arendt, la quale definì 'banale' il male, mostra la possibilità e la grande risorsa che il pensiero di Tommaso offre alla filosofia contemporanea. I due autori, sebbene partano da presupposti e contesti culturali completamente differenti, possono essere accomunati dalla negazione di esistenza che a livello ontologico riscontrano nel male. Non mancano i punti di contrasto e di differenza, i quali però possono offrire notevoli spunti di riflessione.
Chi avrebbe supposto che zoppia e mancinismo - oltretutto associati nella stessa figura ideale - venissero portati a vanto del pensiero in atto, come le sue insegne più onorifiche? A compiere il gesto di giustizia che li riscatta dalla difettività è Michel Serres, epistemologo ultraottantenne così intrigato dall'attuale sconvolgimento del sapere da farsene il supremo cantore, con un'euforia lungimirante e contagiosa, con un'audacia concettuale ignota ai colleghi giovani o a chi rimane abbarbicato a un "umanesimo di opposizione", e con uno stile ruscellante evocatore di mondi, al pari di Lucrezio. Alle idee astratte Serres preferisce da sempre le figure sintetiche. Il mancino zoppo è l'eroe dell'"età dolce", la nostra, che nella riconfigurazione digitale dello spazio-tempo si lascia alle spalle la "dura" rigidità euclidea, cartesiana, metrica, abitando la dimensione utopica del possibile e recuperando il concreto attraverso il virtuale. Ma è anche il simbolo vivo di ogni lavorio della mente degno di questo nome, dalla notte dei tempi: pensare vuol dire infatti deviare dai tracciati, avanzare di traverso e un po' sghembi, rompere le simmetrie, afferrare il segreto di ciò che sarà domani con la stessa "formidabile inventiva dell'Universo in espansione". No, non c'è posto per il già formattato, secondo Serres. "Non conosco alcun metodo che abbia mai aperto la strada a qualche invenzione; né alcuna invenzione trovata con metodo".

