
Che cosa è l'estetica? La tesi di Christoph Menke è che non sono gli oggetti a costituire l'estetica. L'estetica non parte dai "dati estetici". È piuttosto l'estetica che deve porre in essere o "costituire" l'ambito degli oggetti cosiddetti "estetici". Il libro ricostruisce proprio come l'estetica abbia costituito i suoi oggetti nel XVIII secolo, nella riflessione di Baumgarten e di Kant e, soprattutto, come nel costituire i suoi oggetti abbia finito per trasformare i termini fondamentali della filosofia, inaugurando la filosofia moderna vera e propria.
Due grandi capi militari e politici, l'instancabile lottatore contro la schiavitù e il campione della promozione dell'aborto che poi ne diventa il più strenuo oppositore. Perché riparlare di queste storie, entro il contesto della saggezza? Le grandi personalità, da un lato, sono sempre un modello e motivo d'ispirazione, ma, dall'altro, appaiono come figure troppo lontane dalla nostra realtà, sia per quel che concerne la posizione o le capacità personali che per le condizioni sociali: non abbiamo il compito di salvare la patria, di lottare contro la schiavitù o di abrogare le leggi del paese più potente del mondo. Questo piccolo volume si riferisce alla portata delle sfide - cioè affrontare gli elefanti - e alla nostra capacità di superare noi stessi di fronte a tali obiettivi, quindi non intende essere la vetrina di una grandezza che debba semplicemente essere ammirata dai comuni mortali. Non è neanche uno studio sulla leadership dei potenti o delle personalità singolari. Si tratta invece di uno spunto e uno sprone a riflettere su una capacità comune a tutti, cioè la virtù della prudenza e su alcune delle sue relazioni con le nostre abilità conoscitive ed emozionali. Lo studio di fatti come questi con una prospettiva filosofica sarebbe sterile, se non ci portasse a rivedere le nostre priorità nel contesto personale di oggi. Aristotele rimproverava a Platone che non studiamo etica per sapere cosa è il bene, ma per essere buoni...
Abraham Maslow (1908-1970) y Carl Rogers (1902-1987) insuflaron un espíritu renovador a la psicología del siglo XX. Su apertura a cuestiones de tipo filosófico y la profundización en el sentido de la vida humana los llevaron a ser protagonistas de la llamada “tercera fuerza” de investigación en psicología, es decir, la psicología humanista, cuando se abría una brecha importante en el debate dominado por el conductismo y el psicoanálisis. En sus escritos y en la manera de difundir sus ideas en distintos ambientes profesionales –docencia universitaria, colaboración con agencias gubernamentales, redes empresariales, instituciones educativas y religiosas– se desvelaba una psicología cercana a las inquietudes personales y una confianza inédita en las capacidades de los seres humanos normales. Una psicología al servicio de la potenciación de los individuos estándar, con un fuerte énfasis en la responsabilidad personal, contrastaba con la tradición de una psicología terapéutica o centrada en el estudio de comportamientos estereotipados, donde contaba más con la ciencia del especialista que los recursos de la persona. Las preguntas radicales sobre el sentido de la vida humana adquirieron matices particulares después de los dos grandes conflictos mundiales del siglo pasado. Rogers y Maslow interceptaron las ideas de los intelectuales de las dos costas del Atlántico Norte de ese periodo para ampliar el radio de influencia de la psicología, entrando en la arena moral y filosófica. La influencia que han tenido en vastos planes de investigación y en la puesta en marcha de programas formativos de distintos niveles hace que sigan siendo punto de referencia en las ciencias del comportamiento. En este breve estudio trato de resaltar la influencia de su labor y abrir una amplia ventana a las raíces filosóficas de su pensamiento.
Juan Andrés Mercado (Ciudad de México, 1967) es catedrático de Ética aplicada de la Universidad Pontificia de la Santa Cruz (Roma). A sus trabajos doctorales sobre la inducción aristotélica y la creencia en David Hume han seguido estudios sobre Elizabeth Anscombe, las tesis clásicas sobre las virtudes, y las relaciones entre la emotividad y la razón. Ha sido director de estudios de la Facultad de filosofía de la Universidad la Santa Cruz y director de la revista Acta Philosophica. Cofundador y subdirector del centro de investigación Markets, Culture and Ethics (2008-2016), tuvo a su cargo las colecciones MCE Books y MCE Notebooks. A partir de 2013 ha promovido actividades y publicaciones basadas en la antropología filosófica, tendiendo puentes con la psicología, la neurociencia, y la educación. Promueve con Francisco Fernández Labastida, Philosophica. Enciclopedia filosófica on line (www.philosophica.info). Ha impartido numerosos seminarios para profesionales de distintas empresas y colabora con IPADE Business School y la Universidad Panamericana.
L'energia della speranza è un potente catalizzatore che si manifesta attraverso le emozioni, la forza di volontà e la vibrazione delle nostre aspirazioni più elevate. Sentire che siamo in grado di realizzare progetti audaci e ambiziosi è il motore che ci spinge a plasmare gioiosamente i nostri programmi di vita, lasciando una impronta duratura. Non stiamo parlando della speranza sovrannaturale del cristianesimo, dove la certezza si basa sull'ausilio divino. Invece, esploriamo le idee di Leonardo Polo sulla speranza a livello umano, attraverso una lente filosofica che offre una solida base per dialogare con la psicologia contemporanea. Qui, la speranza come emozione positiva si collega alla visione aristotelica e tomistica della passione che ci dà il coraggio di osare. Polo dichiara audacemente che la speranza è più di una semplice inclinazione; è la tendenza umana elevata a virtù. Questa virtù diventa il tessuto connettivo della nostra esistenza, proiettandoci verso il futuro senza compromettere la speranza teologale. La visione di Polo ci spinge a considerare la speranza come un elemento fondamentale, un vero e proprio telaio che supporta la nostra vita. In questa cornice, la speranza non è solo un sentimento, ma una forza costruttiva che ci guida attraverso l'incertezza e ci spinge a realizzare le nostre aspirazioni più profonde. La sua presenza ci invita a guardare al futuro con un senso di fiducia, intraprendenza e connessione con gli altri. Questo studio offre validi spunti per integrare i paradossi della speranza antica, che poggia sulla tensione tra l'illusione e il benessere fugace che ci offre. In quel contesto, il destino è più potente di noi, e l'ultima parola del vaso di Pandora non fa che mantenere una luce effimera e ingannevole nella nostra precarietà esistenziale. Secondo Polo, la speranza è un ingrediente imprescindibile per una vita che si dona, che cresce collaborando con gli altri e sviluppando la propria libertà. Il futuro diventa così un compito collettivo che ci fa crescere come persone.
Le note del primo corso che Merleau-Ponty tenne al Collège de France nel 1953 costituiscono un documento eccezionale per cogliere il pensiero del filosofo nel suo divenire. In questo corso, che si colloca nel cuore del suo percorso filosofico, Merleau-Ponty avanza una prima autocritica delle sue ricerche precedenti, discutendo in maniera radicale la nozione di coscienza e ponendo le basi per il suo ripensamento a partire dal concetto di espressione. Negli appunti, volti a rivelare la dimensione espressiva della vita percettiva, prende forma in maniera germinale quell'ontologia della reversibilità che il filosofo svilupperà negli ultimi anni. C'è un legame sotterraneo tra questo corso e la riflessione dell'ultimo Merleau-Ponty, in particolare il celebre saggio L'occhio e lo spirito, ma anche i corsi su La Natura e l'inedito de Il visibile e l'invisibile. Nel dialogo interdisciplinare con la neurologia, la psicologia della forma, la psicoanalisi e le arti visive, assistiamo all'elaborazione di alcuni dei temi che occuperanno Merleau-Ponty negli anni a venire: lo schema corporeo, l'analisi della visione e della profondità, il concetto di empiétement e di enveloppement, ma anche un consistente riferimento al cinema.
Quando si parla di «responsabilità pubblica» o «dovere istituzionale», di «burocrazia» o «corruzione», ci si imbatte in una serie di parole certo largamente utilizzate, ma secondo un significato spesso troppo semplificato, non di rado mal compreso, in alcuni casi stravolto. In un'epoca di grandi mutamenti quale quella che stiamo affrontando, il rischio di una svalutazione della dimensione etica che deve guidare a ogni livello l'azione delle istituzioni e la condotta di ciascuno di noi è certo molto concreto. Nasce da qui l'esigenza di un ideale lessico per le istituzioni, che illustri agli specialisti, al mondo dei funzionari pubblici e a ogni cittadino quanto ampio e profondo sia il messaggio etico racchiuso in alcune parole «antiche», come queste ultime si siano arricchite di contenuti nuovi - grazie anche all'impulso offerto dall'Autorità nazionale anticorruzione - e come, per il loro tramite, possano inquadrarsi alcune sfide cruciali per il futuro del nostro vivere democratico. Prefazione di Raffaele Cantone.
Hitler nel "Mein Kampf" scrisse del "dovere sacro" di sterminare gli ebrei; il presidente del Ruanda definì un "dovere collettivo" il massacro dei tutsi; "Si fanno cose terribili e necessarie" affermava uno degli assassini di Aldo Moro; "Per creare un uomo nuovo bisogna distruggere quello vecchio" gli farà eco un neofascista responsabile di decine di omicidi. Per il terrorismo di ispirazione religiosa la violenza è ancora un "dovere sacro", per al-Banna un "obbligo imposto da Allah" e per Bin Laden il "dovere personale per ogni musulmano". Non molto diverso il terrorismo che vorrebbe ispirarsi al cristianesimo, e che spesso si lega al suprematismo bianco, per il quale la ricostruzione dello Stato in termini teocratici è un "obbligo morale", un God-given task. Persino complottisti, mass murderer e serial killer fanno riferimento al dovere. Con "idealismo pervertito" si intende il convincimento che talune azioni malvagie siano opportune laddove commesse in nome di un ideale ritenuto giusto: il proprio Dio, la salvaguardia della propria libertà, del proprio popolo, della vita propria e di chi non è ancora nato. Ma chi definisce il male? E chi la giustezza della causa?