
Mussolini aveva un grande progetto: la realizzazione della 'terza via' alternativa tanto al capitalismo quanto al socialismo - tramite l'edificazione di una società improntata all'armonia fra le classi e la sostituzione della rappresentanza politica con corporazioni rappresentative del mondo produttivo, del lavoro e delle professioni. Il corporativismo divenne uno dei principali assi portanti del progetto totalitario del fascismo e l'argomento più dibattuto nelI'Italia degli anni Venti e Trenta. Alessio Gagliardi indaga per la prima volta la concreta realtà del corporativismo fascista, il funzionamento delle istituzioni e i risultati conseguiti. L'immagine restituita appare molto più sfaccettata rispetto a quanto generalmente sostenuto dalla ricerca storica. Nonostante l'evidente fallimento, il sistema corporativo accompagnò e favorì trasformazioni profonde nell'organizzazione delle classi e dei ceti e nel rapporto tra la società e lo Stato. Vennero soppresse le libertà sindacali e contemporaneamente sindacalisti e imprenditori partecipavano, insieme al governo e al Partito fascista, alla messa a punto delle leggi e delle decisioni relative alla politica sociale ed economica. Per attuare il corporativismo lo stato fascista non scelse così la negazione dei gruppi di interesse ma la loro 'istituzionalizzazione' e 'fascistizzazione', riconoscendo loro la legittimità politica e una rappresentanza nelle strutture dello Stato.
"Quando un innovatore ha l'idea di un nuovo prodotto, ne produce delle copie da mettere in vendita: quelle copie dell'idea sono di sua proprietà esattamente come i suoi calzini e decide lui quante venderne e a che prezzo. La vendita riguarda sempre e solamente le copie: le copie di un'idea si possono vendere, non l'idea stessa. In assenza di monopolio intellettuale, una volta che io abbia venduto volontariamente una copia della mia idea ad altri - per esempio una copia di questo libro - costoro diventano i proprietari di quella copia mentre io serbo la mia idea insieme a tutte le altre copie che ho stampato ma non ancora venduto. Effettuata questa vendita, gli acquirenti possono fare ciò che pare loro più appropriato con le copie della mia idea, nello stesso modo in cui possono fare ciò che pare loro con il tritaghiaccio che avevano comprato ieri da qualcun altro. Senza proprietà intellettuale, in particolare, gli acquirenti di questo libro potrebbero dedicare del tempo e delle risorse per farne delle nuove copie al fine di rivenderle: se ne cambiassero il titolo oppure il nome degli autori o se si lanciassero in qualche inganno fraudolento, si tratterebbe di plagio, non di violazione della proprietà intellettuale; ma se cambiassero la copertina, o perfino se modificassero il testo, inserendo un chiaro riferimento agli autori originali - non verrebbe violato alcun diritto di proprietà." È la tesi controcorrente e provocatoria di Michele Boldrin e David K. Levine.
I principi etici presenti nel Corano e nella tradizione profetica non hanno una specificità "islamica" ma rispondono a una scala di valori comune a molte religioni; tuttavia è partendo da tali principi che l'economia islamica, dal secondo dopoguerra in poi, si è proposta come modello alternativo al socialismo e al capitalismo. Si è quindi affermato un sistema bancario che non fa ricorso all'interesse ma si basa su contratti partecipativi, e contemporaneamente si è fatto strada un modello islamico di welfare. Come le altre grandi religioni, l'islam si fa portatore oggi di istanze di giustizia e di ricerca del bene comune, partendo dal presupposto che l'uomo vada collocato al centro dell'agire sociale ed economico.
Ti capita di preoccuparti di cose che vanno al di là del tuo controllo? Pensi costantemente a qualcosa che ti è successo o che potrebbe succederti? Ti ritrovi a ripetere più e più volte le stesse azioni senza una vera ragione? Ossessioni e compulsioni costituiscono fenomeni comuni ed estremamente diffusi. Talvolta hanno carattere doloroso, straziante, inaccettabile sia per chi personalmente ne soffre, sia per chi indirettamente ne è a contatto. Questo libro intende rivolgersi a tutti coloro che affrontano in maniera esasperata le piccole irrazionalità della vita.
“La via della schiavitù” è probabilmente l'opera di Hayek che ha fatto più parlare di sé, Un libro tornato di recente di gran moda, basti pensare che in America, dopo essere stato citato dal giornalista radiofonico Glenn Beck è improvvisamente balzato in cima alle classifiche diventando in breve tempo settimo (il primo era Stieg Larsson). Alla sua prima edizione (nel 1944) apparve a molti come un libro eretico in quanto criticava fortemente e con passione il controllo dello stato sui mezzi di produzione (formulando così una delle più feroci critiche al pensiero comunista). Gli stati liberali che uscivano dalla guerra dovevano dunque fare attenzione perché rischiavano di perdere non solo la libertà economica ma anche quella politica. Ora, dopo la sbornia di intervento pubblico che abbiamo subito negli ultimi due anni, anche noi italiani cominciamo a capire come la lezione di Hayek sia quanto mai attuale.
L'innovazione è diventata una direttrice sempre più importante per lo sviluppo delle aziende e un percorso obbligato in tempi di crisi. Tuttavia, il modello di innovazione tradizionale dell'Occidente è stato recentemente messo a dura prova dalla competizione dei mercati emergenti, che producono soluzioni efficienti a costi minori. Soprattutto in tempi di crisi, i consumatori sono sempre più spinti a preferire prodotti semplici e funzionali a prodotti con caratteristiche tecnologiche troppo avanzate e costose per le loro necessità. "Jugaad" è una parola che in Hindi descrive un processo di innovazione che proviene dal basso ed è in grado di creare soluzioni efficienti a costi contenuti. "Jugaad" non è solo un fattore che influenza il management, bensì una vera e propria "rivoluzione culturale", che sfida i modelli di produzione propri dell'Occidente. Una sfida a colpi di creatività e ingegno. Come si racconta nel libro, molti CEO di grandi aziende spingono i dipendenti ad ogni livello a liberare la loro creatività e inventare modi frugali e sostenibili per dare un valore aggiunto significativo agli stakeholders usando molte meno risorse naturali e risparmiando nel contempo un significativo ammontare di capitale per la compagnia. Questo è lo spirito "Jugaad" che l'Occidente deve accogliere e inglobare. "Jugaad Innovation" costituisce un vero e proprio "manuale di sopravvivenza" ai tempi che cambiano per le aziende occidentali... Prefazione di Federico Rampini.
Gli omicidi di impresa sono quelli commessi da soggetti, privati e/o pubblici, che nell’esercizio delle proprie funzioni determinano la perdita della vitalità aziendale con condotte assunte per ingordigia di denaro e/o di potere, per insipienza e deresponsabilizzazione, per protagonismo mediatico o per altre simili debolezze umane. Uccidere un’impresa è un reato grave, è un reato contro la Società, perché distrugge valore e saperi, ricchezza e progetti a danno dei lavoratori e dell’ampia comunità di stakeholder. Con questo sentimento l’Autore analizza l’affaire che nel 2009 ha investito il gruppo bancario Delta, determinando l’uscita dal mercato di un primario operatore del credito al consumo e una rilevante distruzione di valore. I procedimenti giudiziari, nonostante i numerosi anni trascorsi, sono ancora lontani dal fare chiarezza in una vicenda connotata da numerosi punti oscuri. L’intento è quello di rintracciare nella dinamica degli accadimenti considerazioni utili ad evitare nel futuro il ripetersi di simili omicidi.
Gli scritti raccolti nel volume ruotano intorno a tre temi: la nascita dell'Italia come nazione moderna, lo sviluppo economico dello Stato unitario, la questione meridionale. Tre grandi problematiche tra loro strettamente intrecciate, con la prima a fare da piattaforma teorica e cornice storica di fondo alle altre due, nella convinzione dell'autore che le nazioni siano organismi viventi che nascono, crescono, muoiono, e cominciano a morire quando perdono memoria e coscienza delle ragioni storiche e dei valori ideali e materiali in nome dei quali nacquero. La nazione italiana, perciò, non morirà solo se riuscirà a conservare, viva e attuale, la memoria delle ragioni storiche e dell'immenso patrimonio etico e ideale per cui nel 1861 nacque a vita politica e di cui, attraverso travagliate, tragiche, ma anche gloriose vicende, è stata, e può essere ancora portatrice. E di quel patrimonio storico l'equilibrato sviluppo economico e civile dell'intero territorio nazionale fu ed è componente essenziale.
Marco Martini è stato una singolare figura di economista-umanista. I testi qui raccolti nascono da un'approfondita conoscenza del sistema economico, unita a un'attenta osservazione del mondo del lavoro e della produzione. Essa lo ha portato alla convinzione che una concezione del sistema economico che pone al centro le macchine e i processi produttivi, subordinando ad essi la forza-lavoro, sia inadeguata in un contesto dove tutto cambia in tempi sempre più rapidi e dove il lavoro, da posto da occupare, diventa inevitabilmente un percorso tra occasioni molteplici. Se il vecchio paradigma concepiva il sistema economico come un meccanismo anonimo il cui impersonale operare garantiva la ricchezza e il benessere, oggi «cresce la domanda di uomini capaci di responsabilità gratuita di fronte agli altri e alle cose, ma si scopre che essi sono estremamente rari». Si tratta dunque di creare una nuova cultura del lavoro che rimetta al centro la persona, la sua capacità di intrapresa e di assunzione di responsabilità per correre insieme ad altri l'avventura del rischio dell'azione e rispondere all'appello infinito dei bisogni. L'economia risulta così essere il frutto della tensione della persona al dominio sulle cose per costruire la casa comune degli uomini e il loro benessere. Prefazione di Giorgio Vittadini. Postfazione di Gian Carlo Blangiardo.
"Caro risparmiatore, i suoi soldi sono i nostri. Pertanto non ce li chieda, perché noi li facciamo girare nel nostro interesse. Nel caso non fosse soddisfatto del servizio, non importa: tanto non ci troverà. Siamo nell'era del mondo liquido, dei servizi immateriali, dei call center". Non sarebbe meglio se ce lo dicessero così chiaramente, invece di illuderci con pubblicità da Baci Perugina? Almeno uno lo sa. Lo sa. Quelle che ci mancano in realtà sono le informazioni, è la conoscenza. Noi andiamo sulla fiducia, loro sulla nostra ignoranza. Loro sono il GangBank: un sistema di saccheggio instaurato dalle élite - colossi bancari, fondi d'investimento, agenzie di rating, multinazionali - che controllano la finanza globale. Dilagano come orde barbariche mosse da una sete inestinguibile, non limitandosi ad applicare le loro spietate strategie, ma spacciandole addirittura per interventi salvifici. L'Italia è un tragico esempio. Per venticinque anni è stata un perfetto terreno di caccia. Con il beneplacito di politici complici, interessati, spesso inetti, il modello sociale e imprenditoriale italiano - che il mondo ci invidiava - è stato indebolito e smantellato. Al grido, ripetuto come un mantra da media e politici, di "il pubblico è male, il privato è bene", "siamo troppo spreconi" e "ce lo chiede l'Europa", ci siamo indebitati, abbiamo perso il lavoro, i diritti, le tutele sociali e democratiche. I danni ormai sono così gravi che non si può fingere di non vederli. GangBank è un atto d'accusa senza sconti, che non ha paura di fare i nomi dei colpevoli e di svelarne i misfatti. Ma è anche uno sprone a informarsi e tutelarsi e un appello alla riscossa. A riprendersi, con l'arma della democrazia, tutto quello che ci spetta di diritto.
Negli ultimi anni, anche se a fasi alterne, è riemersa la memoria della colonia nella società italiana; a favorire questo ritorno sono state le richieste di riparazioni provenienti da ex colonie o da paesi occupati dall'Italia durante la guerra, in particolare dall'Etiopia e dalla Libia, per i danni economici e morali procurati dalla presenza italiana ma anche l'afflusso, sempre più crescente dalla metà degli anni Ottanta del Novecento, di immigrati africani non solo in Europa ma prima di tutto in Italia, spesso provenienti da paesi ex coloniali. Il presente lavoro, alla luce di fonti inedite conservate presso l'archivio storico della Banca d'Italia, esamina il processo di decolonizzazione e il modo in cui si è articolato in Africa e in particolare in Somalia attraverso la riorganizzazione mondiale del secondo Novecento, che inferiscono sul recente processo di globalizzazione.

