
Ritornare alle radici della democrazia moderna.
Rimettere al centro delle nostre società il valore dell'uguaglianza, che ha animato la Rivoluzione americana e quella francese. È l'appassionato appello di Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali, all'Occidente smarrito in una crisi economica che minaccia la tenuta del suo stesso modello politico. Una crisi che ha trovato i suoi presupposti proprio nel sistematico attacco al principio di uguaglianza, portato avanti a partire dagli anni Ottanta in nome di una malintesa ed esasperata libertà del mercato. Non c'è nessuna opposizione, invece, tra libertà e uguaglianza, perché "senza uguaglianza la libertà si chiama privilegio". Così come non c'è nessuna incompatibilità tra democrazia e mercato, anzi i loro destini sono strettamente legati. È stato proprio il diffondersi del mercato di massa, infatti, a partire dall'America del New Deal e poi tra i suoi alleati europei nel secondo dopoguerra, a favorire, insieme al benessere, l'allargamento della partecipazione politica grazie all'affermazione della middle class democracy, la democrazia dei ceti medi.
Oggi, invece, con il riacutizzarsi delle diseguaglianze, questa classe media tende progressivamente a impoverirsi, e la vita democratica, colpita nel suo baricentro, ne risulta indebolita: un fenomeno che cogliamo con particolare evidenza nel nostro Paese, già gravato dalle sue fragilità storiche, in cui crescono le sperequazioni sociali, aumenta l'illegalità e la politica è tentata dalle opposte scorciatoie della tecnocrazia e del populismo.
L'unica soluzione alla crisi della democrazia e al prevalere di una nuova società dei privilegi consiste, quindi, nel riaffermare con forza il principio dell'uguaglianza come garanzia di coesione sociale, come fattore di sviluppo e di crescita, riconoscendone la convenienza economica accanto alla plausibilità morale. Non solo all'interno dei singoli Paesi, ma anche nelle relazioni tra gli Stati, in particolare nell'Unione Europea, oggi sempre meno comunità di uguali e sempre più espressione dell'egemonia tedesca.
Dobbiamo ritrovare un'orgogliosa consapevolezza dei nostri valori. Tutte le alternative illiberali alla democrazia occidentale, ricorda l'autore, sono andate incontro alla sconfitta.
E lo stesso modello cinese è destinato prima o poi a scontrarsi con le sue contraddizioni e si sta rivelando nei fatti come un passaggio dalla "uguaglianza totalitaria" alla "disuguaglianza totale". Muovendosi agilmente tra storia e attualità, riscoperta delle grandi ispirazioni ideali e documentate analisi economiche, Parsi richiama "quest'Europa disorientata ", epicentro della crisi, al coraggio dei momenti decisivi: solo difendendo il concetto di uguaglianza si potrà salvare la democrazia e l'identità dell'Occidente.
Che cosa intendiamo per "vita buona"? Quali e quanti beni devono esserci garantiti per poterla vivere? Queste domande nascono dalla generale incertezza sul futuro e dalla quotidiana difficoltà nel soddisfare bisogni in continua espansione, in un'epoca in cui il capitalismo economico-finanziario inizia a mostrare tutte le sue contraddizioni: da un lato il culto del profitto e della ricchezza come valori universali, dall'altro la creazione, all'interno delle stesse società industrializzate, di enormi disparità di reddito e di sacche di povertà mai conosciute prima. Robert Skidelsky, economista, e suo figlio Edward, docente di filosofia, riprendono la celebre previsione di Keynes, rimasta irrealizzata, secondo la quale in Occidente, all'inizio del Terzo millennio, avremmo avuto "abbastanza" per soddisfare tutte le nostre necessità lavorando non più di tre ore al giorno, e la utilizzano come spunto di riflessione per capire l'origine del nostro malcontento e trovarne il rimedio. Lo smisurato ampliamento della sfera dei bisogni, l'aumento delle ore di lavoro a scapito del tempo libero e il conseguente abbassamento della qualità della vita impongono un profondo cambiamento di prospettiva: non dobbiamo più chiederci che cosa serve per raggiungere il benessere, ma che cosa sia davvero il nostro bene. Attingendo alle lezioni della sociologia (da Weber a Veblen), al pensiero filosofico (Aristotele in particolare) e alle più intuitive teorie economiche (da Kaldor a Frank)...
La pubblica amministrazione è il più grande erogatore di servizi e il maggiore datore di lavoro italiano: da essa dipendono circa tre milioni e trecentomila addetti. È un organismo che si è andato costruendo lentamente, essendo il frutto della storia e dei principi che lo hanno plasmato. Per dimensioni e poteri svolge inoltre un ruolo fondamentale nel sistema politico, condizionando la democrazia. Si comprende, quindi, come dalla sua buona organizzazione e dal suo funzionamento dipendano il benessere dei cittadini e il successo dello Stato. L'amministrazione è al centro di una duplice tensione. È indispensabile, perché non c'è politica pubblica che non faccia capo a essa, e tuttavia viene ritenuta il regno del bizantinismo, delle complicazioni, della corruzione, e criticata perché non funzionale al processo economico. Alle sue difficoltà strutturali si aggiungono l'«esondazione» del Parlamento, diventato co-amministratore, e la debolezza dei governi (il suo organo di guida), per la loro breve durata. I governi tuttavia non sono gli unici responsabili della sua gestione, poiché interi campi dell'azione pubblica sono ora nel dominio di forze politiche multinazionali, come organismi sovranazionali e Big Tech, di cui è importante tenere conto. Alla luce di questi presupposti, l'autore analizza i fattori di crisi dell'amministrazione pubblica e ne indica i possibili rimedi. Propone di iniziare dai prodotti, per poi passare ai processi produttivi, ai modelli organizzativi e procedurali, al personale e alle sue motivazioni, al contesto, ai saperi e alla cultura amministrativa. Perché la pubblica amministrazione sia in grado di gestire i grandi interessi collettivi, è bene partire dall'aspetto più importante: ciò di cui ha bisogno il Paese.
Questa crisi non e uguale per tutti.
Molti sono stati lasciati indietro.
Ma e proprio in tempo di crisi che
si possono fare riforme ambiziose,
per non rassegnarsi
al declino del nostro paese.
Perché l’Italia è entrata prima degli altri Paesi nella recessione? E perché, nonostante non abbia subito il fallimento di grandi banche e l’esplosione della bolla immobiliare, sta vivendo la crisi peggio di altri Stati? Cosa ci attende quando finalmente il mondo ripartirà? Sapremo uscire non solo dalla recessione, ma anche dalla stagnazione in cui ci dibattiamo da oltre quindici anni?
Sono interrogativi di cui oggi nessuno discute in Italia. La politica economica sembra scomparsa dall’agenda nazionale. Non riappare neanche in autunno, consueto momento di confronto sulla Finanziaria, in cui un governo dovrebbe spiegare le iniziative che intende prendere e un’opposizione formulare le proprie critiche. Niente di tutto ciò: solo il vuoto. Amplificato da un’informazione sempre più reticente ad affrontare i nodi spinosi dei rapporti fra politica economica e sistema bancario.
In questo libro Tito Boeri passa in rassegna quel poco che è stato fatto e l’enorme mole di ciò che non è stato fatto per fronteggiare la crisi in Italia. Esplora temi diversi come la proliferazione di nuove tasse (dalla Robin tax alla Padania tax), il federalismo zoppo e inconcludente, le occasioni mancate nel riformare scuola e università e le contraddizioni insite nell’unica riforma varata sin qui da questo governo — quella della pubblica amministrazione. Numerosi sono gli episodi rievocati, dall’incredibile vicenda Telecom all’eterno tormentone Alitalia, passando per i meandri di Calciopoli, tutti emblematici del modo in cui opera la classe dirigente italiana. Ma nel testo di Boeri non c’è solo denuncia: ci sono anche proposte concrete, che riguardano soprattutto le azioni da intraprendere per evitare che questa crisi comporti, come precedenti recessioni, un forte incremento delle disuguaglianze e della povertà.
Quando è iniziata la corsa per la successione di Jean-Claude Trichet alla presidenza della Bce, nessuno avrebbe scommesso sul successo di un candidato italiano, anche se autorevole come il governatore della Banca d'Italia. Invece Mario Draghi ce l'ha fatta, vincendo le resistenze della Germania, che puntava il dito contro la sua nazionalità, e conquistando i consensi dell'Europa intera. A Francoforte lo aspetta la sfida di tenere unita la costruzione dell'euro ma lui nella sua carriera di prove difficili ne ha affrontate e superate molte altre. Draghi non è un personaggio facile da conoscere. Crede molto nella comunicazione ma non per quel che riguarda la sua vita personale e privata. Pragmatico ed equilibrato, sa essere distaccato ma anche ironico. Prudente, guarda ai problemi in modo analitico senza farsi condizionare dalla politica. Questo libro tratteggia la sua storia dagli anni della scuola a quelli da direttore generale al ministero del Tesoro, dall'ingresso a Palazzo Koch al cammino verso il prestigioso incarico di Francoforte ricostruendola attraverso le sue stesse testimonianze, i suoi interventi pubblici, gli scritti e i documenti. Il punto di vista è quello di una cronista che in questi anni lo ha seguito nella sua attività al vertice della Banca d'Italia e negli incontri internazionali in giro per il mondo, per rendere conio sulle pagine del Corriere della Sera dell'evoluzione della crisi finanziaria ed economica. Prefazione di Carlo Azeglio Ciampi.
Chissà se c’è ancora qualcuno convinto che lo tsunami finanziario non lo riguardi. Roba per élite di ricconi. O per i cervelloni di Wall Street, ma per fortuna qui è tutta un'altra storia. Perché se ancora qualcuno lo pensa si sbaglia, e di grosso. Siamo noi che abbiamo subìto i danni del grande crac. E chissà per quanto andrà avanti. Banche, assicurazioni e finanza sono nell’occhio del ciclone. In Italia, le famiglie continuano a rimetterci un mucchio di quattrini. Ora si scava tra le macerie e si vuole correre ai ripari. Ma il rischio è che, scattata la vecchia trappola, se ne prepara un'altra. C'è tutto questo in queste pagine. Non solo la vecchietta che è andata in banca con tutti i risparmi e ne è uscita con le sue belle obbligazioni Parmalat o Lehman Brothers, carta straccia. Né la famigliola che ha chiesto il mutuo per comprare casa ed è rimasta strozzata dalle rate in continua crescita. Né il professionista che si domanda come sia possibile che i fondi vadano sempre più a fondo. O l’incredulità di chi scopre che le spese sul conto corrente superano gli interessi. Ci siamo tutti noi, proprio tutti, intrappolati in un valzer di scandali, risparmi andati in fumo e inganni. La «tempesta perfetta» di questi mesi, sommata a risparmi che si assottigliano, economia in ginocchio, costo della vita in continua crescita e stipendi fermi, ha mostrato che il re è nudo e la pazienza dei sudditi al limite. Ma il fatto è che il sistema finanziario ha invaso la nostra vita. Con questo mondo si ha a che fare tutti i giorni: la casa, l’auto, i risparmi, la pensione, le polizze, i finanziamenti. Tutti i giorni si scoprono costi invisibili e inganni. Uno slalom che genera disillusione, rabbia, sfiducia. Ci sono storie vere in questo libro, e ognuna descrive un pezzo di vita, tra verità non dette e truffe vere proprie. Esempi concreti, carnefici e vittime, persone e famiglie che illuminano la freddezza dei dati. Per smascherare le trappole e scoprirsi un po' meno vulnerabili.
"Solo l'Occidente conosce uno stato nel senso moderno, con un'organizzazione legalmente stabilita, una classe di funzionari di professione e un diritto di cittadinanza... Solo in Occidente si trova il concetto del cittadino (civis romanus, citoyen, bourgeois), perché solo in Occidente c'è una città nel senso specifico del termine... Infine la cultura occidentale si distingue da ogni altra per la presenza di uomini con un ethos razionale della conduzione della vita. Magia e religione le incontriamo ovunque. Ma un fondamento religioso della condotta di vita, che doveva poi portare nelle sue conseguenze ad un razionalismo specifico, è proprio soltanto, ancora una volta, dell'Occidente." Così si esprimeva, nel semestre invernale 1919-20, Max Weber durante il suo ultimo corso universitario, dedicato alla storia economica e sociale universale. Pubblicata per la prima volta nel 1923, quest'opera si presenta come una piccola summa del nucleo del suo pensiero ed è l'unico testo nel quale propone in forma sintetica la sua teoria della genesi del capitalismo occidentale. Accanto al ruolo della religione protestante nello sviluppo del capitalismo, e più in generale nella formazione di una regola etica di vita, egli ricostruisce - con una straordinaria padronanza della storia delle diverse civiltà - il lento formarsi di una serie di fattori istituzionali che solo nell'esperienza occidentale giungono a pieno compimento: dallo stato moderno al principio di cittadinanza, dalla scienza alla tecnica razionale.
Com'è possibile che il disastro concentrato nel settore dei mutui, gli ormai famigerati subprime loans abbia congelato il mercato del credito, mandato in tilt le quotazioni azionarie, provocato il fallimento di numerose banche e portato il mercato internazionale sull'orlo del collasso finanziario? L'avvocato ed ex banchiere Charles Morris analizza in questo libro, uscito negli Usa ad aprile 2008, nei minimi dettagli, con uno stile chiaro anche per i non addetti ai lavori, i motivi che hanno portato il mercato alla più grossa crisi finanziaria del credito. Partendo dalle teorie economiche degli anni Settanta, fino alla bolla speculativa del nuovo millennio, l'autore analizza come le crescenti complessità dei prodotti finanziari e lo scarso controllo da parte delle istituzioni abbiano portato la situazione al punto di rottura: trecentottanta miliardi di dollari in perdite già subite e calcolate da Bloomberg, più circa centosettanta previsti a carico di banche e finanziarie entro il 2009 secondo la stima di Meredith Whitney della Oppenheimer & Co. Questo finora il costo globale, tra contabilizzato e previsto, della crisi finanziaria del 2007-2008, crisi che sta coinvolgendo drammaticamente tutti i mercati internazionali e di cui è difficile intuire lo sviluppo futuro. Introduzione di Luigi Spaventa.

