
«Aveva fabbricato tutte le finestre, le lanterne, le vetrate, i candelabri e le croci di tutte le chiese». Per questo, scrisse Tiziano Terzani, il missionario fratel Felice Tantardini era «conosciuto da tutti», in Birmania, come «fabbro di Dio». Quanto al nome Felice, egli stesso lo aveva assunto a ideale della sua vita: «Sforzarmi di essere felice, sempre e a ogni costo, intento a far felici anche gli altri». Pronto a spostarsi, a piedi, da una missione all'altra perché tutti lo volevano, in missione è rimasto settant'anni. Le sue memorie autobiografiche lo mostrano instancabile, tenace, fedele nel quotidiano, al servizio di chi aveva bisogno. Un santo, secondo la fama che tuttora lo accompagna e che spinge tanti a implorarne l'intercessione. Sempre armato di un «sorriso sereno», come di chi - disse il confratello padre Clemente Vismara, oggi beato - «è amico di Dio, amico degli uomini e nemico di nessuno».
"Nella casa del missionario ci vive il regno animale e il regno vegetale, scarseggia il regno minerale, come il platino, l'oro, l'argento. C'è però una perla. Ci credete? La perla sono io". Così si presentava il Beato Clemente in un articolo pubblicato negli anni venti del Novecento, quando viveva a Monglin in un capannone di fango e paglia, abitato da legioni di insetti, lucertole, granchi, topi e l'erba cresceva nel pavimento di terra battuta, persino sotto la sua branda militare. Ecco, questo libro tenta di penetrare nella personalità di un tipo così originale; e nella sua "spiritualità", anche questa originale e quasi all'opposto di come altri santi vivevano il cammino verso l'unico modello, il Signore Gesù Cristo. La Chiesa ha proclamato Beato Clemente Vismara, ma com'era possibile quando sia nel seminario diocesano di Milano, che in quello teologico del Pime, i superiori volevano mandarlo via perché era "indisciplinato" e "non adatto ai sacrifici di un sacerdote"? Quando poi aveva 86 anni, padre Clemente diceva: "E pensare che nella mia vita missionario ho fatto tanti sacrifici che bastano per una decina di preti". Il messaggio di Clemente è questo: "La vita missionaria è bella, solo se la si dona". Questo libro è scritto specialmente per i giovani alla ricerca di un ideale per spendere bene la propria vita. Come Clemente Vismara, se il Signore vi chiama, non ditegli di no: avrete una vita faticosa ma piena di gioia, per aver fatto "felici gli infelici".
Biografia di Augusto Colombo, grande missionario del Pime. Sarà ricordato come uno dei principali operatori sociali tra i parìa e come fondatore di numerose parrocchie e diocesi.
La presente ricerca storica ha lo scopo per riproporre queste radici romane" del Pime per far conoscere la vita di tanti missionari che, tra contraddizioni, fatiche, successi e fallimenti hanno lasciato una testimonianza e un'eredità assai preziose. "
Raccolta di lettere del settimo Superiore Generale del Pime, Mons. Lorenzo Maria Balconi, ai confratelli 1934-1947.
Lettere di Monsignor Giuseppe Marinoni, Primo Direttore del Pontificio Istituto Missioni Estere, 1850-1891. Mons. Giuseppe Marinoni e una personalita di spicco del secolo XIX. Discendente di antica e nobile famiglia, non ci teneva alle glorie del passato e neppure ai titoli personali, amando presentarsi come semplice prete. Nato a Milano nel 1810, si senti portato quasi istintivamente al sacerdozio e ricevette l'ordinazione presbiteriale nel 1834 dall'arcivescovo di Milano, card. Gaisruck. Docente del seminario diocesano di S. Pietro, dovette rinunciarvi per motivi di salute. Attraverso un periodo d'incertezza e ando a Roma in cerca di comunita religiose che rispondessero alle sue aspirazioni. Nel 1850, rientrato a Milano per rimettersi in salute, assunse la direzione del nascente Seminario Lombardo per le Missioni Estere (futuro Pontificio Istituto Missioni Estere). Marinoni svolse questo incarico per 41 anni, fino alla morte, con forza, avvedutezza e paternita.
L'attivita di mons. Ramazzotti, fondatore del PIME, attraverso le testimonianze di semplici fedeli e di personalita illustri.
L'attivita pastorale di mons. Ramazzotti, attraverso le sue lettere, nel periodo 1850-1861, quando era patriarca di Venezia e vescovo di Pavia.