
Fondato quando Pisa era all'apice della sua gloria, il Camposanto doveva chiudere verso settentrione lo spazio monumentale che è stato chiamato Piazza dei Miracoli: un colossale chiostro, in quattro gallerie che inquadrano il grande prato. Il volume ripercorre la nascita, lo sviluppo e le alterne fortune del monumento sul piano architettonico e decorativo. La prima parte del volume è dedicata alla fondazione e alla costruzione; la seconda parte indaga le trasformazioni e la fortuna del monumento. Clara Baracchini conclude illustrando le vicende degli ultimi decenni, il rovinoso incendio dell'ultima guerra, il distacco degli affreschi e il progetto di restauro e di restituzione storica attualmente in corso.
Con questo tomo si chiude il volume che la "Storia del cinema mondiale" ha dedicato alla cinematografia americana, di cui i saggi qui raccolti, proseguono l'analisi: i grandi artisti di Hollywood, gli scambi tra la cultura americana ed europea, l'estetica dei generi cinematografici, i rapporti fra cinema, politica e società, le ripercussioni della guerra fredda sulle politiche produttive, il divismo, la concorrenza della televisione sono solo alcuni dei temi affrontati nei contributi firmati, dai più celebri esperti del settore e dai migliori ricercatori dell'ultima generazione. Ne risulta un'opera che fornisce informazioni, nuove idee, nuovi spunti e interpretazioni.
Caravaggio è stato il pittore più innovativo del suo tempo e uno dei più grandi artisti di ogni epoca. Criticato da alcuni contemporanei per il suo famigerato temperamento tracotante e aggressivo, visse gli ultimi quattro anni della sua vita in esilio, dopo aver commesso un omicidio. Eppure fu sempre protetto da committenti autorevoli, che ammiravano il marcato realismo e l'originalità della sua arte. In questo studio Catherine Puglisi, basandosi sulle più recenti ricerche d'archivio, sulle moderne analisi tecniche e sulle ultime scoperte, esamina tutte le opere di Caravaggio delineando il vivido ritratto di questo artista inquieto.
Dante pose tra i dannati dell'Inferno il padre di Enrico Scrovegni, Rainaldo, bollandolo come usuraio. Per molto tempo questa condanna ha portato ritenere che il figlio avesse fatto erigere la cappella padovana per espiare i propri peccati di usura, e quelli del genitore.
Il libro di Chiara Frugoni capovolge questa tenace interpretazione, accolta ancora di recente. Enrico, banchiere, imprenditore e uomo politico, attraverso Giotto volle proclamare il buon uso delle ricchezze, se impiegate in opere caritative, e presentarsi con il volto del mecenate. A questa tesi l'autrice giunge esaminando da una parte numerosissimi documenti d'archivio e il lungo e appassionato testamento del committente - rimasto fino ad oggi inedito, e qui pubblicato, tradotto e puntualmente commentato da Attilio Bartoli Langeli -, dall'altra analizzando scena per scena gli affreschi, riprodotti nel ricco apparato illustrativo. Un'attenzione particolare è riservata da Chiara Frugoni alla fascia dei Vizi e delle Virtú alternati a finti marmi (questi ultimi indagati nel loro significato da Riccardo Luisi), letta come la parte piú personale di Enrico.
Il saggio, intrecciando con grande finezza fonti testuali e iconografiche, disegna una biografia nuova e sorprendente di Enrico Scrovegni, desideroso di catturare attraverso il programma pittorico il consenso e la gratitudine dei concittadini.
«A cosa mirava Enrico, quando, all'incirca sulla trentina, cominciò a costruire la "parva ecclesia"? Che cosa avrebbe voluto diventare? Probabilmente in questa fase della vita l'ambizioso Scrovegni vedeva per il suo futuro più profili possibili: grande banchiere, influente uomo politico, uomo di potere e forse addirittura al potere; per questo cercava di tenere aperta ogni eventualità. [...] Attraverso gli splendidi affreschi Enrico Scrovegni volle istituire un colloquio continuo con la sua città e presentarsi ancora con un altro profilo, quello del mecenate. Facendo un uso caritatevole delle ricchezze accumulate le rimetteva in circolo, beneficando i padovani di doni spirituali. Inoltre, chi si ricorderebbe oggi di Enrico se non ci fosse stato Giotto? In definitiva quelle pitture furono il migliore affare del grande finanziere».