
«Lo latino è perpetuo»: così dice Dante agli inizi del Trecento. Il senso di immortalità della lingua latina, che traspare dalle parole del sommo poeta, è in contrasto con l'opinione comune secondo cui il latino è una lingua morta. Il libro analizza l'apporto del latino all'italiano attraverso l'angolo visuale delle parole, di cui ricostruisce le vicende storiche in un appassionante viaggio tra passato e presente. L'autore cerca le tracce di vocaboli ed espressioni andando a ritroso nel tempo e conduce il lettore a scoperte inaspettate. La storia di un termine religioso come cristiano s'intreccia con quella di un insulto come cretino. I verbi considerare e desiderare sono connessi con l'osservazione delle stelle. Il sostantivo furto è collegato ai nomi foruncolo e furetto. L'idioma dell'antica Roma non è morto, ma vive ancora nella nostra lingua e nella nostra cultura.
Il volume si propone quale punto d'inizio per lo studio del cinema, fornendo al lettore le nozioni e le conoscenze di base e tentando al contempo di instillare curiosità e interesse per futuri approfondimenti. A partire dall'inquadratura, il testo prende in esame tutte le componenti del linguaggio cinematografico, guardando da un lato alle definizioni teoriche e dall'altro alle forme storiche in cui sono state tradotte. Il percorso si snoda attraverso l'analisi dei fattori elementari dai movimenti della macchina da presa al montaggio, dalla dimensione figurativa a quella audiovisiva per affrontare infine i problemi più complessi relativi alla narrazione e alle sue regole.
Giudicare il museo è più facile che comprenderlo. Poche istituzioni sono state valutate in modo così contraddittorio: tempio o cimitero dell'arte, luogo della meraviglia o deposito polveroso, microcosmo o disordine organizzato, casa dei sogni collettivi o dimora dell'incoerenza, laboratorio o supermarket della cultura. Ma che cos'è veramente il museo? Questo libro cerca di svelarne l'identità, raccontarne la storia, spiegarne il funzionamento e prevederne il futuro. È una guida generale al museo, ma anche un invito a riflettere sui molti dilemmi che rendono oggi il suo equilibrio così delicato.
L'autore indagare quei movimenti artistici che radicalizzarono ulteriormente questo ritorno all'antico, scegliendo modelli a volte ancor più lontani nel tempo e comunque remoti. Si passano così in rassegna i Primitifs, un gruppo che si staccò dal pittore Jacques-Louis David estremizzandone l'insegnamento, i Nazareni, i Puristi, i Preraffaelliti e tutte quelle conventicole artistiche, per tanti aspetti precorritrici delle avanguardie novecentesche, che ebbero un comune denominatore nella teoria e nella pratica dell'"avanzare regredendo" e nel rifiuto della società industriale, percepita come una minaccia alla sopravvivenza stessa dell'arte.
Con questo volume l'autore intende ricostruire la storia dell'attore di teatro, prevalentemente nell'ambito della cultura occidentale. Vi si trovano nella loro esemplarità - i grandi protagonisti, da Tespi a Molière, da Eleonora Duse a Dario Fo, ma in realtà il testo è più una storia del ruolo dell'attore nella società e nei meccanismi dello spettacolo delle diverse epoche e culture, una storia delle poetiche d'attore, degli stili recitativi, delle estetiche, delle tecniche. Il tutto, con una impostazione didattica ma rigorosa, in grado di dar conto più delle ragioni che delle storie personali, più delle estetiche e del contesto sociale che dei singoli fenomeni.
Il regista cinematografico, il cui ruolo e le cui funzioni cominciano ad assumere una fisionomia compiuta intorno ai primi anni dieci, si pone all'intersezione di due grandi ambiti di riflessione: il primo, di retaggio ottocentesco, lo colloca all'interno della tradizione romantica dell'artista-creatore, le cui opere obbediscono rigorosamente alle istanze espressive della propria individualità; il secondo, proprio del XX secolo, ne analizza la figura in rapporto alla matrice tecnologica del cinema e al suo ruolo nel panorama delle comunicazioni di massa e dell'intrattenimento popolare. Il volume si propone di verificare in che misura il mestiere della regia è stato determinato da questi due modi di pensarne l'identità.
Sebbene il concetto di espressione si sia affermato nel Settecento, l'area che esso dischiude traspare già nella concezione simbolica del Verbo del canto gregoriano e nella rappresentazione degli affetti dell'epoca di Monteverdi. La determinazione del contenuto dell'espressione (l'interiorità del compositore, l'esperienza vissuta, le idee sovratemporali, gli ineffabili moti dell'inconscio) scandisce le fasi della sua storia. In musica, il concetto di forma si riferisce prevalentemente a un fatto tecnico: l'organizzazione degli eventi sonori nel tempo. Dal Quattrocento all'epoca barocca il suo campo semantico si delinea con l'uso di concetti imparentati come quelli di ordine e regola. La sua storia culmina nell'Ottocento con l'affermarsi della "Formenlehre" come disciplina specifica. L'impiego del concetto di opera è direttamente collegato alla concezione moderna dell'arte. La convinzione che l'opera musicale sia una creazione unica e finita, prodotta da un soggetto determinato indipendentemente da finalità esterne e in vista di una fruizione contemplativa, ha cominciato a vacillare nel Novecento. La fase attuale si caratterizza nei termini di una rimodulazione del discorso.
Il fascino che ancora oggi le prime avanguardie suscitano nel mondo degli studiosi d'arte - e che si ripercuote tanto sul mercato quanto sull'influenza nella produzione di tanti giovani artisti - nasce in gran parte dal loro impeto rivoluzionario sospeso, come tutti gli atteggiamenti utopici, tra passato e futuro. Il loro carattere "militante", di guida e di rottura con un passato nemico da superare, da cui nasce il concetto stesso di avanguardia, non impedisce tuttavia il continuo confronto con il secolo precedente. D'altra parte, se si percorre tutta l'arte del Novecento successiva alla Prima guerra mondiale, si ha facilmente la sensazione che, proprio negli anni delle prime avanguardie, tutto fosse già stato detto: persino lo spaesamento di de Chirico e la negazione dada di Duchamp.
Il pensiero iconologico attraversa tutto il XX secolo, trovando in Germania e poi in Inghilterra e negli Stati Uniti i luoghi di affermazione e di diffusione. Il percorso di questa tradizione di studi segue le vicende accademiche, scientifiche e personali dei protagonisti: Aby Warburg, Fritz Saxl, Erwin Panofsky, Edgar Wind, Rudolf Wittkower e il viennese Ernst Gombrich. In questo libro, nuova edizione di un testo ormai "classico" del settore, l'autrice esamina con sguardo critico lo sviluppo dell'iconologia che trova, dopo la metà del Novecento, esiti e connessioni con altre discipline, dalla semiotica alla psicanalisi, alla psicologia della percezione, alla storia sociale, all'antropologia. Alla luce degli attuali interessi per l'immagine e per la cultura visiva l'iconologia è al centro del dibattito sul rapporto fra immagine e opera d'arte, fra capolavoro e immagine documentaria, fra visività e espressione significante e patetica, fra tradizione e anacronismo, fra immagine e testi, fra linguaggi visivi e linguaggi verbali, poetici e musicali, introducendo, nel superamento dei confini disciplinari e geografici, un'accezione antropologica dell'immagine, all'interno del dibattito attuale sull'"iconic turn", e aprendo al multiculturalismo, alla multimedialità e alle neuroscienze.
"Storia dei concetti musicali" è un'opera in diversi volumi dedicata all'evoluzione semantica e ai contesti di impiego di concetti che stanno alla base dei discorsi sulla musica dall'antichità all'epoca contemporanea. Questo terzo volume, curato da Gianmario Borio, è dedicato ai concetti di melodia, stile, suono.
Quali sono le scaturigini letterarie e filosofiche della Nona Sinfonia? Quali letture accompagnarono gli ultimi quindici anni di vita di Beethoven? In sostanza: quale fu il clima culturale ed emotivo in cui visse e operò il compositore tedesco nell’ultima fase della sua esistenza? Attraverso l’epistolario, i diari e i quaderni di conversazione del maestro di Bonn, Maynard Solomon ci guida alla scoperta di uno dei momenti più intensi ed enigmatici della produzione beethoveniana. Quello – per intenderci – delle Variazioni Diabelli e delle ultime cinque sonate per pianoforte, degli ultimi sei quartetti, delle ultime tre sinfonie e della Missa solemnis. E delinea così un mondo interiore in cui si mescolano filosofia romantica ed esoterismo, mitologia pagana e massoneria, estetica classica e religioni orientali. L’ultimo Beethoven rappresenta un contributo decisivo alla conoscenza di quello straordinario "sviluppo spirituale" che rese possibili alcune fra le opere immortali del grande musicista tedesco.
Uno dei primi drammi sacri della letteratura europea, con sorprendenti annotazioni di regia, in latino. Alla tentazione e al peccato nel Paradiso terrestre, rappresentati con sapido realismo, fanno seguito il crimine di Caino e la processione dei Profeti, che annuncia la venuta del Messia. Sulle macchinazioni diaboliche, astutissime e accanite, trionfano - sotto forma di Figura - la potenza e la pietà divine.