
Questo libro usa due linguaggi e li mette al confronto: la fotografia e la letteratura. Gli scatti visivi non pretendono di gareggiare con quelli dei veri fotografi; sono soprattutto appunti visivi, simili a quelli che i viaggiatori di una volta prendevano disegnando. Gli scatti verbali sono invece snelli, veloci e sintetici. Fanno pensare a delle poesie in prosa che provano a tradurre in parole le movenze nascoste della città. Il lettore inoltrandosi in questa sorta di cinema frattale entrerà in contatto con una città che di sicuro è Napoli; allo stesso tempo, però, gli verrà spesso da sospettare che Napoli sia anche l'emblema di tutte quelle città in cui la storia e la natura si sono stratificate a lungo davanti all'incessante andirivieni del mare. Uno sguardo fattosi voce narrante e descrittiva lo guiderà per scale, anfratti, scorci, paesaggi e memorie, rintanandosi nel silenzio ogniqualvolta la scoperta sarà fatta propria da chi legge e allo stesso tempo guarda.
"Non c'è, probabilmente, nella storia umana e nella sua espressione attraverso l'arte, momento più alto e fervido d'invenzioni di quello che va dalla metà del Quattrocento alla metà del Cinquecento, da Piero della Francesca a Pontormo. A Firenze, e non solo a Firenze, ma a Venezia, a Ferrara, nelle Marche, in Sicilia, in Sardegna, in Friuli, in Lombardia, gli artisti danno vita a quello che è stato chiamato, con conferente definizione, 'Rinascimento'. Anche prima di quegli anni l'arte era stata sublime, ma Piero della Francesca la arricchisce di una intelligenza che trasforma la pittura in pensiero, in teorema, ben oltre le esigenze devozionali. Davanti alla Flagellazione di Urbino non è più sufficiente l'iconografia religiosa, e così davanti alla Annunciata di Antonello da Messina, alla Tempesta di Giorgione, all'Amor sacro e Amor profano di Tiziano, alla Deposizione di Cristo di Pontormo. Di anno in anno appaiono capolavori sempre più sorprendenti. Tra 1470 e 1475 la creatività dei pittori e degli scultori raggiunge vette inattingibili; ma sarà così, di quinquennio in quinquennio, fino alla metà del Cinquecento. Sono gli anni di Mantegna, Cosmè Tura, Botticelli, Leonardo, di Raffaello, di Michelangelo, ma anche di Giovanni Bellini, di Lorenzo Lotto, di Tiziano, di Correggio, di Parmigianino. Sono gli anni delle meraviglie, in cui l'artista si sfida, in un continuo superarsi..." (Vittorio Sgarbi) Introduzione di Furio Colombo. Postfazione di Gian Antonio Stella.
Tu chi sei? Io sono Nonno Bach. Comincia così, con una domanda semplice e una risposta curiosa, la conversazione che Ramin Bahrami intreccia con un bambino vestendo i panni dell'amatissimo Johann Sebastian, che ha scelto come guida, sommo maestro e nume tutelare fin da quando era a sua volta un bambino. Per Bahrami non c'è alcun dubbio: Bach è il musicista più grande di tutti i tempi. E dargli voce vuol dire farlo conoscere a chi ne coglie solo la solennità distante e rischia di farsi intimidire da quella sua apparenza così seria. Bach amava la vita, il buon vino, le risate, la sua famiglia, ed era curioso, irascibile, veemente. Irascibile lo è ancora, in verità, quando dal paradiso dei musicisti guarda in giù e vede un mondo che non gli piace, dominato dall'egoismo e dal calcolo. Ma cambiare si può, e Bach-Bahrami non si stanca di ripeterlo: basta aprire cuore alla musica e lasciarla entrare. Età di lettura: da 12 anni.
Carpaccio dà rigore alla fantasia, rende verosimile l'irreale, costruendo spazi reali con paesaggi e architetture inventate, oppure, in altre circostanze, dando una sostanza onirica e visionaria a citazioni di architetture reali. Scienza e fantascienza sembrano essere l'ingrediente principale della poesia di Carpaccio. In lui non si sa mai se conti di più l'estrema precisione del generale o la misteriosa fascinazione, quasi simbolica, feticistica, del particolare, per forza di un equilibrio che è soltanto suo. Carpaccio è cosciente del compito filosofico, teorico, non di mera trascrizione, della pittura: l'artista crea, inventa, finge. Ciò che egli ci mostra prima non c'era, ciò che conoscevamo lo vediamo ora in una nuova luce. La pittura rivela, oltre il vero; non imita, crea.
"Letteralmente: dal cielo alla terra, ovvero da Michelangelo a Caravaggio. Dal 'Giudizio universale' a 'I bari'. In pochi anni il mondo di tutte le perfezioni possibili si rovescia in un gruppo di giocatori, sporchi e ubriachi, all'osteria. La pittura della realtà, dunque. La fine di un modello ideale per poter, infine, puntare l'unico obiettivo degno del nostro sguardo: il vero. Non esercizi astratti sulle forme, quelli dei pittori toscani che guarderanno come a un miraggio a Michelangelo, primo fra tutti il Vasari, ma il confronto con una realtà, anche cruda, che attende di essere fedelmente riprodotta, e che una mente aperta la veda nitidamente e la stampi con assoluta evidenza. Dal tormento interiore di Rosso, Pontormo, Bronzino, Beccafumi, al lento riemergere della verità della natura in Vincenzo Campi, Moroni, Passerotti, Annibale Carracci. In questo percorso un posto a parte hanno i veneti, nell'indicare un sentimento profondo delle persone e delle cose: Tiziano, Lorenzo Lotto, Veronese, Tintoretto e, soprattutto, Bassano. Incamminati verso il vero i padani, lombardi ed emiliani, Moretto, Savoldo, Romanino, Dosso Dossi e Bastianino. Solitario e aristocratico Parmigianino. Un secolo di ricerche e sperimentazioni, dopo e oltre Raffaello. Cielo e terra, in diversi momenti e luoghi, si scambiano le parti, fino alla definitiva conquista del vero in Caravaggio". (Vittorio Sgarbi) Introduzione di Luca Doninelli.
Dopo il primo volume dedicato alle Tragedie, questo nuovo tomo, il secondo dei quattro previsti per completare "Tutte le opere" di Shakespeare raccoglie le Commedie: dieci testi, considerati capolavori universali, nell'originale inglese in edizione critica, con traduzione a fronte e con un ricco apparato di introduzioni e commenti (I due gentiluomini di Verona; La bisbetica domata; La commedia degli errori; Pene d'amor perdute; Sogno di una notte di mezza estate; Le allegre comari di Windsor; Molto rumore per nulla; Come vi piace; La dodicesima notte; I due nobili congiunti). In queste pièces Shakespeare realizza la sublime interazione di pratiche e linguaggi teatrali eterogenei: il decoro dei classici si unisce alla vivacità e alla sregolatezza della festa popolare, la tradizione orale vivacizza quella scritta, lo spirito comico si accompagna al tragico, la riflessione del saggio alla libertà del sognatore, l'illusorietà della favola al ritmo magistrale della rappresentazione. È questa l'essenza stessa del comico, che allinea queste celebri opere alle maggiori creazioni del genere, da Rabelais a Cervantes e oltre. Ma uniche e irripetibili sono le figure caratteristiche della Commedia shakespeariana. Tra queste, quella del Matto: colui che chiede di "godere di una libertà illimitata, come il vento che può soffiare su chi vuole e quelli a cui più brucerà la sua follia, dovranno riderne di più"...
Come aggregare i suoni in strutture sempre più complesse, dai tetracordi fino ai sistemi di un'ottava, un'ottava e mezza, due ottave? Questo l'oggetto dell'antica scienza armonica. Il principio ordinatore deve ricercarsi, con i Pitagorici e Platone, in rapporti e sequenze numeriche, cioè in entità extramusicali che colleghino i suoni al macrocosmo? Oppure deve nascere dalla percezione della musica reale, come ritenevano gli empiristi di età classica e Aristosseno? È proprio questo dilemma che ancor oggi rende affascinante l'armonica. Oltre gli aridi calcoli dei quali si fa scudo, essa si rivela come una provincia liminare del pensiero, al crocevia tra acustica, astronomia, matematica, geometria e psicologia. Il documento più completo di questa scienza è l'"Armonica" di Claudio Tolemeo (ca 100-178), da lui scritta forse verso la fine della sua vita. Il trattato si presenta come la summa di circa sei secoli di storia dell'armonica e propone un nuovo equilibrio, debitore dell'ilemorfismo aristotelico, in cui alla ragione e alla percezione vengono riconosciute prerogative distinte e complementari. L'opera si conclude, in un grande sforzo di sistemazione enciclopedica, con una serie di analogie tra l'armonica e la psicologia, l'etica, la politica, l'astronomia.
"Sono nato a Sora, il 7 luglio 1901, dunque sono ciociaro, anzi cafone." Così si presentava Vittorio De Sica, padre del neorealismo e tra i più celebrati registi e interpreti cinematografici in Italia e nel mondo. Dalla giovinezza trascorsa in "una tragica e aristocratica povertà" alla gavetta nei teatri di prosa e all'approdo al mondo del cinema, queste pagine ricche di aneddoti e gustosi retroscena ripercorrono la vita e la carriera di un personaggio straordinario i cui film hanno segnato un'epoca. Figura geniale e contraddittoria, dedita ai vizi quanto agli affetti familiari, la storia di De Sica si intreccia con icone del calibro di Luchino Visconti, Totò, Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Alberto Sordi. Ma è dal sodalizio con Cesare Zavattini che nel dopoguerra nascono i capolavori che lo consacrano nel pantheon dei grandi registi: "Sciuscià", "Ladri di biciclette", "Miracolo a Milano", "Umberto D.", raccontano magistralmente gli albori dell'Italia democratica dal punto di vista dei deboli, di coloro che sono tagliati fuori dal cosiddetto "miracolo economico". E, finita inesorabilmente la stagione del neorealisrno, sa reinventarsi mettendo la sua sensibilità artistica al servizio di grandi interpreti e di produzioni come "La ciociara, ieri, oggi, domani" e "Matrimonio all'italiana". Dando vita a personaggi che hanno saputo raccontare un'Italia tragica e intensa, costantemente sospesa tra la goliardia e l'amarezza.
"Letteralmente: dal cielo alla terra, ovvero da Michelangelo a Caravaggio. Dal 'Giudizio universale' a 'I bari'. In pochi anni il mondo di tutte le perfezioni possibili si rovescia in un gruppo di giocatori, sporchi e ubriachi, all'osteria. La pittura della realtà, dunque. La fine di un modello ideale per poter, infine, puntare l'unico obiettivo degno del nostro sguardo: il vero. Non esercizi astratti sulle forme, quelli dei pittori toscani che guarderanno come a un miraggio a Michelangelo, primo fra tutti il Vasari, ma il confronto con una realtà, anche cruda, che attende di essere fedelmente riprodotta, e che una mente aperta la veda nitidamente e la stampi con assoluta evidenza. Dal tormento interiore di Rosso, Pontormo, Bronzino, Beccafumi, al lento riemergere della verità della natura in Vincenzo Campi, Moroni, Passerotti, Annibale Carracci. In questo percorso un posto a parte hanno i veneti, nell'indicare un sentimento profondo delle persone e delle cose: Tiziano, Lorenzo Lotto, Veronese, Tintoretto e, soprattutto, Bassano. Incamminati verso il vero i padani, lombardi ed emiliani, Moretto, Savoldo, Romanino, Dosso Dossi e Bastianino. Solitario e aristocratico Parmigianino. Un secolo di ricerche e sperimentazioni, dopo e oltre Raffaello. Cielo e terra, in diversi momenti e luoghi, si scambiano le parti, fino alla definitiva conquista del vero in Caravaggio". (Vittorio Sgarbi) Introduzione di Luca Doninelli.
Il David di Michelangelo, la cupola del Brunelleschi, la Venere del Botticelli: capolavori che suggeriscono ideali di armonia ultraterrena e spiritualità purissima. Ma non tutto è come sembra, e in queste pagine Alexander Lee ci mostra le contraddizioni nascoste sotto l'elegante superficie dell'arte rinascimentale italiana. Perché dietro alle sue opere simbolo ci sono le storie misconosciute legate al brutale ambiente degli artisti dell'epoca, ai meschini interessi dei loro mecenati e a inconfessabili pregiudizi sulla "scoperta del mondo". Un ritratto duro e anticonvenzionale dell'"epoca della bellezza", i cui splendidi frutti sono indissolubilmente legati all'uomo, alla sua carne e alle sue bassezze.
Il paese delle Amazzoni, il regno del Prete Gianni, la Barberia... da sempre, i paesi sognati hanno abitato le fantasie e i racconti dei grandi esploratori. Marinai, scopritori, avventurieri hanno raccontato il mondo e le sue terre lontane popolate da creature mitiche e leggendarie. Isole meravigliose come Citera, la patria di Afrodite, paesi della cuccagna come la Colchide, terra del Vello d'oro, reami selvaggi abitati da mostri come quello dei Mangbetu, imperi tenebrosi come quello dei Cimmeri, abitanti delle gallerie sotterranee. Questo atlante invita a un'esplorazione poetica del mondo in compagnia dei grandi viaggiatori dell'antichità e del XVI secolo ma anche di romanzieri ed eruditi di tutti i tempi.
Questa nuova edizione di Antonio Corsaro rivede dalle fondamenta i testi poetici di Michelangelo, che sempre hanno creato difficoltà a filologi e editori, prospettando un nuovo ordinamento capace di offrire agli studiosi e al grande pubblico una diversa lettura della storia poetica dell'artista. La ricostruzione dei testi michelangioleschi nella loro veste più attendibile e chiara è inoltre l'occasione per una loro nuova e completa interpretazione, che qui è offerta da un esteso e puntuale commentario di Giorgio Masi. Filologia ed esegesi vanno di pari passo nel volume, corredato della serie completa delle lettere dell'artista.