
Ipotesi storica e realtà reliquiaria
Nella basilica romana di San Lorenzo fuori le Mura un mosaico del pavimento centrale mostrerebbe un chiaro riferimento al fatto che nelle adiacenti catacombe di Santa Ciriaca, luogo di sepoltura originario di San Lorenzo, sarebbe stato a lungo custodito il leggendario Santo Graal. È questa la tesi di base sostenuta dall’autore, studioso del cristianesimo antico, che nelle raffigurazioni all’interno della basilica avrebbe individuato un’indicazione topografica del luogo in cui era originariamente custodito il sacro calice che contenne il vino durante la celebrazione eucaristica dell’Ultima Cena. Da ciò poi lo sviluppo di un grande itinerario di ricerca sulle principali Reliquie cristiane, principale tra tutte la stessa Sacra Sindone.
Note sull'autore
Alfredo Maria Barbagallo nasce a Siracusa nel 1958, ma si trasferisce sin da bambino nel Lazio e infine recentemente a Udine. Ricercatore e studioso, dopo la maturità classica intraprende varie esperienze culturali ricoprendo incarichi politici dalla fase universitaria. Nei primi anni ’90, spinto dall’associazionismo cittadino, torna alla vita culturale romana realizzando varie iniziative di sensibilizzazione per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio monumentale ed artistico dell’Urbe. Nel febbraio 2007 avviene la decisiva visita a San Lorenzo fuori le Mura, evento iniziale di questo attuale sviluppo documentale. Le sue indagini di studio dell’epoca terminarono con clamore sulla grande stampa nazionale e mondiale per degli esiti complessivi che vedono in questa attuale pubblicazione la loro veste definitiva, sviluppi su cui l’autore domanda quindi valutazione ragionata da parte del grande mondo della ricerca storica istituzionale e cristiana.
Marcello Tomadini nacque a Cividale del Friuli (Udine) il 27 aprile 1893. Dedicò tutta la sua vita alla pittura, diventando uno dei più grandi cultori della miniatura italiana. Agli inizi della seconda guerra mondiale fu richiamato alle armi e dopo l'8 settembre 1943 venne imprigionato a Pola e in seguito portato in vari campi di concentramento. Durante questo drammatico periodo cominciò a riprodurre personaggi, fatti o scene della vita del lager. Nacque così un album di disegni che, a guerra finita, fu pubblicato con il titolo "Venti mesi fra i reticolati". Liberato dagli inglesi nel 1945, rientrò a Cividale, dove si spense il 10 giugno 1979.
Per quarant’anni dipendente della Biennale di Venezia con vari ruoli e incarichi, fino a chiudere la carriera come dirigente, l’autore traccia un percorso storico e scientifico che mette in evidenza fatti, eventi, periodi e personaggi legati alla prestigiosa istituzione. Una testimonianza inedita e particolare, un dietro le quinte privilegiato di attento osservatore e partecipe protagonista che valorizza ed esalta una delle più importanti e copiate istituzioni culturali al mondo. Il racconto non segue la cronologia degli avvenimenti, ma si lascia condurre dai flash della memoria… da cui il titolo sottosopra.
L'opera si pone sulla scia della tematica recentemente emersa nella riflessione della Chiesa relativa al rapporto tra teologia e Bellezza, che lascia intravedere la possibilità di coniugare l'aspetto strettamente spirituale e quello più propriamente legato all'arte come anelito all'Assoluto, tanto più importante quanto più la cultura occidentale si è ormai da tempo orientata verso una decisa laicizzazione.
In quest'ottica la riflessione teologica sulla Bellezza appare particolarmente significativa perché intercetta quel bisogno di spiritualità che resta nel sottofondo della società e nelle profondità più recondite dell'animo umano.
Compagno di scuola, assistente e tour manager, Richard Macphail è stato per circa cinque anni il collante che ha tenuto insieme i Genesis. In questo avvincente memoriale racconta i primi anni del gruppo dal suo punto di vista privilegiato, sin dai giorni della Charterhouse, dove incontrò i fondatori della band. Richard divenne il loro primo e unico roadie, accompagnandoli di concerto in concerto, ospitandoli in un cottage dove poterono vivere e gettare le basi della loro splendida musica e offrendo loro tutto il supporto di cui avevano bisogno in una fase cruciale della loro carriera. Richard c’era quando Phil Collins fece la famosa audizione, quando Steve Hackett venne reclutato per rimpiazzare Anthony Phillips e quando Peter Gabriel lasciò il gruppo per la carriera solista. Nei capitoli finali del libro sottolinea con orgoglio i suoi costanti e splendidi rapporti con Anthony, Peter, Mike, Tony, Phil e Steve, amicizie che durano da oltre cinquant’anni. Ricco dei contributi forniti da tutti i componenti dei Genesis e scritto insieme a Chris Charlesworth, ex giornalista del Melody Maker, La mia vita con i Genesis è un racconto eloquente e diretto che tutti i fan custodiranno come un tesoro prezioso. Il libro contiene un capitolo inedito rispetto all’edizione inglese!
Dopo aver ripercorso la storia delle apparizioni di Medjugorje dall'inizio di quel 24 giugno 1981, riportando quanto si conosce sui Dieci Segreti di Medjugorje e alcune testimonianze di guarigioni, segni e miracoli, l'Autore racconta il suo viaggio a Medjugorje nel 2014 e 2015.
In quell'occasione tre ragazzi ricevettero sul Krizevac un segno divino di profumo di lavanda, legato alla guarigione di un male fisico, superato proprio grazie all'intercessione della Madonna.
L'Autore prosegue quindi con il racconto del miracolo di Francesca Bozzarello, avvenuto per intercessione della Beata Suor Elena Aiello (le cui rivelazioni private si rifanno, secondo molti studiosi, ai Dieci Segreti) per concludere con una riflessione su quando si realizzeranno i Dieci Segreti di Medjugorje.
Nella notte tra il 17 e 18 di ottobre del 1969 svaniva per sempre, rubata con inaudita semplicità, la "Natività" di Caravaggio, opera magnifica e tra le più importanti dell'ultimo periodo del Maestro, e l'unica dipinta durante l'incerto soggiorno del pittore a Palermo. Il quadro di grandi dimensioni copriva una parete del mistico e festoso Oratorio di San Lorenzo ed era incastonato nei "teatrini", che ornavano tutto il complesso, dell'altro sommo Giacomo Serpotta. Opera d'arte immensa, dunque, non solo il dipinto, ma nel complesso il luogo in cui si inseriva. Il danno del furto fu inestimabile. E riassunse agli occhi dell'opinione pubblica più civile un'immagine di violenza, di incuria ambientale, di negligenza delle autorità. Un'immagine simbolo dell'inerte decadenza in cui era stata irretita una città una volta orgogliosa. Di questa sorta di stupro alla città, Scarlini ricostruisce la cronaca per moltissimi aspetti controversa: non si è mai conosciuto l'esecutore e il mandante, mai si è chiarita la fine del quadro; tanto meno s'è individuato il movente dell'atto: se causato semplicemente da sete di guadagno o di possesso, oppure parte di una strategia più difficile da decifrare, di destabilizzazione se non di umiliazione inferta allo stato o volta a suggellare iconograficamente un dominio indicibile.
"Agli Uffizi ci si andava da bambini, alle domeniche. Non frequentando la nostra famiglia, nel giorno di festa, alcuna funzione religiosa, il babbo ci conduceva di mattina al rito laico dell'osservazione dei quadri, che precedeva quello pagano del primo pomeriggio alle partite di calcio della Fiorentina, nello Stadio di Campo di Marte, affollato di figure concave e convesse, progettate da Pier Luigi Nervi. Verso le dieci, mentre la mamma (pessima cuoca) si industriava a preparare l'unico vero pranzo della settimana, nostro padre ci portava a visitare una sala, sempre diversa, a rotazione, della Galleria degli Uffizi". Questo libro è l'occasione per raccontare molte storie dei dipinti e anche dello scrittore che, nato a Firenze, per una decina d'anni, quando era ragazzino, fu portato dai genitori a visitare gli Uffizi, in una sorta di educazione alla bellezza e alla vita, fatta di aneddoti curiosi, giochi con le immagini e familiarizzazione con un luogo dove è racchiuso il segreto della nostra vita immaginaria. Un racconto che è anche un'originale guida per "veder sapendo e scegliendo".
L'opera d'arte "è una cosa concreta e tuttavia scaturita dal più eletto livello della dimensione del pensiero creativo. Il più deciso nemico della concezione dell'arte quale orpello o ornamento inutile se non nocivo e dispersivo è lo storico dell'arte". Il titolo che porta questo agile viaggio nell'attività di chi produsse arte, da Giotto a Caravaggio, mette volutamente l'enfasi sulla parola "mestiere". La storia che qui si intende fare è infatti quella dell'evoluzione del lavoro dell'artista, nella fabbricazione del capolavoro che "nasce sempre, dalla preistoria ad oggi, con una finalità specifica, che può essere, di volta in volta, di carattere pratico, simbolico, allegorico, economico, filosofico, decorativo"; in una formidabile galleria di personaggi grandissimi e di moltissimi dimenticati: dove cioè meglio sono rintracciabili contesti e circostanze, abitudini e tecniche, culture e ambienti, condizioni psicologiche, posizioni religiose e politiche. E l'arco temporale scelto è quello dall'Umanesimo e dal Rinascimento fino alla fine del Seicento, l'epoca in cui, dimostra l'autore, l'unità tra la competenza tecnica e la sostanza espressiva caratterizzava tipicamente e meravigliosamente il mestiere dell'artista. L'analisi di Claudio Strinati, nel modo colloquiale in cui si svolge, insegue dunque lo spostarsi di un punto di equilibrio o di sintesi. Quello tra l'efficacia pratica e la finalità da un lato; e dall'altro l'idea di verità e di bellezza che un'arte incarna...
Emilio Isgrò scrive in copertina con il gessetto, come su una lavagna, la parola “Autocurriculum”, dopo aver cancellato con la manica della giacca la parola “Autobiografia”. Con questo teatrale sabotaggio di un genere letterario, si innalza sopra il personaggio omonimo che, dentro il libro, tra le righe d’inchiostro di una finzione curriculare, si fa viandante alla costante ricerca di un lavoro e del sentimento del mondo.
«Chiamatemi Tiresia. Per dirla alla maniera dello scrittore Melville, quello di 'Moby Dick'. Oppure Tiresia sono, per dirla alla maniera di qualcun altro. Zeus mi diede la possibilità di vivere sette esistenze e questa è una delle sette. Non posso dirvi quale. Qualcuno di voi di certo avrà visto il mio personaggio su questo stesso palco negli anni passati, ma si trattava di attori che mi interpretavano. Oggi sono venuto di persona perché voglio raccontarvi tutto quello che mi è accaduto nel corso dei secoli e per cercare di mettere un punto fermo nella mia trasposizione da persona a personaggio. Ho trascorso questa mia vita ad inventarmi storie e personaggi, sono stato regista teatrale, televisivo, radiofonico, ho scritto più di cento libri, tradotti in tante lingue e di discreto successo. L'invenzione più felice è stata quella di un commissario. Da quando Zeus, o chi ne fa le veci, ha deciso di togliermi di nuovo la vista, questa volta a novant'anni, ho sentito l'urgenza di riuscire a capire cosa sia l'eternità e solo venendo qui posso intuirla. Solo su queste pietre eterne». La "Conversazione su Tiresia" scritta e interpretata da Andrea Camilleri è stata messa in scena per la prima volta al Teatro Greco di Siracusa i giugno 2018 nell'ambito delle rappresentazioni classiche realizzate dall'Istituto Nazionale del Dramma Antico.