
Con il libro dedicato a Leonardo, Walter Isaacson indaga il campo della genialità, raccontando la vita e le opere del genio per eccellenza e simbolo stesso del Rinascimento. Scavando tra i codici e interrogando la splendida produzione artistica, l’autore cala il lettore nell’Italia quattrocentesca dei sanguinosi scontri di potere (per cui Leonardo progettava modernissime macchine da guerra) e del fervore creativo. Leonardo fu un genio in molteplici discipline, dall’architettura all’arte, passando per la meccanica e gli studi anatomici; realizzò i due dipinti più famosi della storia, L’Ultima cena e la Gioconda, e s’interessò di scienza e di tecnologia. La biografia di Isaacson, riproposta in occasione dei cinquecento anni della morte, anniversario celebrato in Italia e nel mondo, ci ricorda l’importanza non solo di apprendere, ma anche di non smettere di interrogarci e di far sempre ricorso al "think different" che ha caratterizzato il genio di ogni epoca.
L'"Elettra" di Sofocle ha sempre goduto, nei duemila-cinquecento anni dalla sua comparsa, di una popolarità eccezionale, tanto da conoscere numerosissime riscritture sino all'Elektra di Hofmannsthal (poi trasformata in memorabile opera in musica da Richard Strauss), a O'Neill, Giraudoux e Sartre. La personalità della protagonista vi campeggia assoluta. La trama si svolge con rapidità stupefacente, ma con una quantità di svolte e raddoppiamenti sensazionali. Il tessuto lirico, drammatico e melodrammatico è teso come la corda di una lira. In questa edizione si dà una lettura nuova della protagonista: Elettra vi è interpretata come un "problema" «in quanto ostacola i cospiratori e ruba la scena ai loro piani»; il dramma stesso si configura come "problema", «perché è privo del normale meccanismo che serve a portare avanti la trama». Davanti alla sconfitta ateniese nella guerra contro Sparta, Sofocle sceglie di «sondare più da vicino l'individuo drammatico», ma anche qui sorgono questioni non indifferenti: per esempio, «può un individuo eroico essere esemplare se la forza della sua personalità non è diretta contro potenti antagonisti ma resta un'esibizione largamente inefficace da parte di una persona», come Elettra, «posta ai margini»? E ancora: perché Sofocle complica la trama del riconoscimento tra Elettra e Oreste già resa celebre dalla versione di Eschilo? Nell'Elettra sofoclea tale intreccio si sviluppa in una serie di scene di finzione che vedono il Precettore narrare la morte di Oreste; poi la sorella Crisotemi annunciare che è vivo e raccontare una replica dell'episodio, ben noto dalle Coefore, presso la tomba di Agamennone; quindi la comparsa dell'urna, portata da Oreste stesso, che ne conterrebbe le ceneri, e l'esibizione dell'anello paterno come prova definitiva. «Sì, proprio l'unico che viene a soffrire dei tuoi mali», dice Oreste di sé stesso un attimo prima, in un verso denso di compassione. «Oreste è qui morto per finzione, e ora per quella finzione sano e salvo», esclama Elettra, convinta dall'anello. Quella «finzione» è la chiave di volta dell'emozione intensa che ancora oggi suscita l'"Elettra" di Sofocle.
Con questo libro Carlo Pedretti ha finalmente deciso di fare il punto di oltre mezzo secolo di studi dei codici e delle opere di Leonardo da Vinci, in un libro che è una circumnavigazione dell'arcipelago biografico e artistico leonardesco. L'autore svolge il proprio ruolo di guida raccontando non solo le scoperte da lui fatte nel corso di un'assidua e feconda frequentazione del territorio, ma anche il lungo e avventuroso viaggio che le ha rese possibili. Così la lettura delle opere d'arte, dei disegni, degli schizzi e dei testi di Leonardo, nonché l'inventario del suo patrimonio conoscitivo e delle sue fonti, vengono costantemente supportati da una meticolosa ricostruzione sia delle tappe salienti dell'itinerario di ricerca, sia del contesto sociale, politico e culturale in cui quei frutti del genio e dell'ingegno individuale risultano storicamente inscritti. A tale scopo, il metodo adottato è quello di presentare al lettore un ricchissimo campionario di autocitazioni e di brani tratti da libri o documenti di ogni genere (storiografico, letterario, diaristico, epistolare). Ma nel quadro di questa opera, a mezza via tra la sistematica collectanea e la summa enciclopedica, quasi in ogni pagina brillano ipotesi folgoranti, intuizioni irresistibili, se non vere e proprie novità interpretative e autentiche scoperte.
Letterato curioso, sempre alla ricerca del nuovo, Giovanni Boccaccio «nel corso della sua vita è stato attratto dai più disparati ambiti del sapere e, come scrittore, ha sperimentato un gran numero di generi letterari; è stato uomo di corte, mercante, amministratore del Comune; si è adoperato a diffondere la letteratura in volgare ed è stato parte attiva di elitari circoli umanistici. A tanta apertura e disponibilità si accompagna una straordinaria capacità di recepire, assorbire, introiettare: anche grazie a questa disposizione innata è diventato il più polivalente e sperimentale scrittore del suo secolo». Un genio multiforme dietro al quale, tuttavia, si cela un'inaspettata fragilità, come uomo e letterato: «Boccaccio accoglie, ma anche si adegua; si modella sugli ambienti circostanti, ridisegna il suo profilo intellettuale sulle aspettative altrui, o almeno, su quelle che lui ritiene tali». Dopo i volumi dedicati a Dante e Petrarca, Marco Santagata torna a parlare dell'ultima delle tre corone fiorentine. All'analisi critica delle singole opere, Santagata predilige un discorso unitario che tiene insieme storia politica e sociale, panorama culturale e biografia. Dall'infanzia tra Certaldo e Firenze al trasferimento a Napoli, dagli studi di diritto alla nascita del romanziere, dall'incontro con Petrarca e l'umanesimo fino alla vecchiaia, il racconto delle vicende biografiche di Boccaccio e insieme della sua carriera di scrittore e di intellettuale.
È una domenica mattina di fine giugno e Sergio e Giovanna, come d'abitudine, hanno invitato a pranzo nel loro appartamento al Testaccio due coppie di cari amici. Stanno facendo gli ultimi preparativi in attesa degli ospiti quando una sconosciuta si presenta alla loro porta. Molti anni prima ha vissuto in quella casa e vorrebbe rivederla un'ultima volta, si giustifica. Il suo sguardo sembra smarrito, come se cercasse qualcuno. O qualcosa. Si chiama Elsa Corti, viene da lontano e nella borsa che ha con sé conserva un fascio di vecchie lettere che nessuno ha mai letto. E che, fra aneddoti di una vita avventurosa e confidenze piene di nostalgia, custodiscono un terribile segreto. Riaffiora così un passato inconfessabile, capace di incrinare anche l'esistenza apparentemente tranquilla e quasi monotona di Sergio e Giovanna e dei loro amici, segnandoli per sempre. Ferzan Ozpetek, al suo terzo libro, dà vita a un thriller dei sentimenti, che intreccia antiche e nuove verità trasportando il lettore dall'oggi alla fine degli anni Sessanta, da Roma a Istanbul, in un susseguirsi di colpi di scena, avanti e indietro nel tempo. Chi è davvero Elsa Corti? Come mai tanti anni prima ha lasciato l'Italia quasi fuggendo, allontanandosi per sempre dalla sorella Adele, cui era così legata? Pagina dopo pagina, passioni che parevano sopite una volta evocate riprendono a divampare, costringendo ciascuno a fare i conti con i propri sentimenti, i dubbi, le bugie. Il presente si mescola al passato per narrare la potenza della vita stessa, che obbliga a scelte da cui non si torna più indietro. Ma anche per celebrare - come solo Ozpetek sa fare - una Istanbul magica, sensuale e tollerante, con i suoi antichi hamam, i palazzi ottomani che si specchiano nel Bosforo, i vecchi quartieri oggi scomparsi.
La casa di famiglia. Le sorelle. La fede. Gli amori. La beneficenza. Castiglioncello. L'antiquario mancato (per fortuna). Avaro chi? A un passo dall'altare. La sacra pennichella. Silvana Mangano. La radio e il compagnuccio della parrocchietta. I film realizzati e quelli mancati. La voce di Ollio. Federico Fellini. Katia Ricciarelli e Andreina Pagnani. Dentone e la commedia all'italiana. La tv che zozzeria. L'ossessione di esibirsi. Il successo. Il romanesco nei dialoghi. Apprendista portiere a Milano. C'è tutto questo e molto altro ancora nelle chiacchierate fra Alberto Sordi e Maria Antonietta Schiavina, che le ha registrate e trascritte. L'impareggiabile Albertone nostro, patrimonio dell'arte mondiale e fenomeno del cinema italiano, scelse una brava e affidabile giornalista milanese per lasciarsi andare a una serie di confidenze, che lette oggi hanno il sapore di un testamento intimo e artistico. Sordi racconta tutto "senza pudore ma con l'obbligo della discrezione". Racconta della sua meravigliosa famiglia, che solo il tempo riesce a sbriciolare e da cui non vorrà mai separarsi. Racconta di una Roma incantata e di un'Italia piena di speranza in cui lui già bambino si fa notare per le incredibili doti canore. E poi gli amori: tanti, romantici ed elegantemente sottratti alla becera fame di scoop dei rotocalchi dell'epoca. I rapporti belli e artisticamente fruttuosi con gli altri grandi della sua epoca, da Fellini alla Mangano, a De Sica. I successi dei suoi film che sono pietre miliari della cultura popolare italiana. E ancora tante riflessioni private sui temi dell'esistenza, la fede, la morte, l'amore per gli italiani, tutti argomenti che lui stesso ha descritto al cinema come nessun altro mai. "Alberto racconta Sordi" è l'autobiografia che non c'era e che ora c'è proprio per volontà del grande artista italiano. Alberto Sordi (Roma, 1920 - 2003) è stato uno dei più grandi artisti italiani di sempre, con oltre 200 film in carriera in cui ha primeggiato nelle vesti di attore, regista, sceneggiatore, cantante e doppiatore.
Durante una memorabile lezione all'università, il grande maestro Roberto Longhi mise nel proiettore due diapositive, l'"Adamo ed Eva" di Van Eyck e l'"Adamo ed Eva" di Masaccio. Le mostrò un paio di volte agli studenti, poi sentenziò: «L'arte europea comincia così...», senza aggiungere altro. Contemporanee eppure diametralmente opposte, quelle due immagini rivelano la nascita del «pensiero in figura» nel Vecchio Continente nei suoi due ceppi, quello fiammingo, il cui destino è prima di tutto luce, e quello latino, votato alla corporeità e al peso della figura. Da questo ricordo personale, Flavio Caroli prende le mosse per raccontare i capisaldi dell'arte europea. Lo stile è quello di sempre, appassionato e poetico, e a parlare sono le opere stesse, che si inseguono e susseguono in un dialogo ininterrotto, o meglio in una corsa, dove le diverse nazioni sembrano contendersi il primato. Così, dopo aver tenuto saldamente la testa della corsa, grazie ad artisti come Bruegel, Rubens e Rembrandt, alle soglie del mondo moderno osserviamo fiamminghi e olandesi lasciare il passo alla grande ritrattistica inglese di Gainsborough e Hogarth. Mentre poi Goya corre fuori dagli schemi e inglesi e tedeschi si contendono il Romanticismo, ecco i francesi andare in fuga: dalla rappresentazione romantica dell'uomo-eroe che si staglia contro la natura nei quadri di Delacroix, fino al ciclone parigino e alla grande stagione impressionista e postimpressionista, pronta a sbaragliare le file artistiche europee con le «ombre colorate» di Monet, la «verità dello sguardo» di Degas o le tele di Cézanne. Ma già è tempo di una nuova sfida, tutta novecentesca, lungo il crinale che divide la figurazione dall'astrazione, con Kandinskij, e oltre. Tra sorpassi, grandi volate e leggendari fuoriclasse, il racconto prende vita attraverso opere straordinarie ospitate oggi nei musei e nelle collezioni di tutto il mondo. Un viaggio sorprendente che trova la sua conclusione perfetta ai giorni nostri, nell'opera di Kiefer, l'artista che più di altri raccoglie i tratti vincenti dell'arte europea: la potenza tedesca, il futurismo russo, l'eleganza francese, la sapienza italiana. In un'epoca di totale obsolescenza e precarietà, "La grande corsa dell'arte europea" ci ricorda il nostro dovere di gratitudine verso capolavori imprescindibili, che ci fanno sentire un po' eterni e che «a noi destinati a identificare il senso della vita con la poesia e con la bellezza» regalano gioia e appagamento durevoli.
A ogni generazione spetta il compito di reinventare i classici. Ogni generazione deve assumersi la responsabilità di questa reinvenzione, cioè di attingere dal passato qualcosa che permetta di decifrare il presente, che consenta di cogliere, sotto la superficie del flusso inarrestabile degli eventi e delle informazioni, ciò che ci riguarda direttamente, ci chiama in causa. Per farlo è necessario sottrarsi al brusio assordante della modernità e prestare ascolto a quanto hanno ancora da dirci gli antichi, i Greci in particolare. Perché la tragedia greca, a duemilacinquecento anni di distanza, continua a parlarci con forza, ponendoci di fronte questioni ineludibili: dà voce al dolore e alla sofferenza, racconta i conflitti che lacerano le comunità e squassano i rapporti familiari, ha molto da dirci riguardo alle nostre origini, mette a nudo la precarietà della nostra esistenza. E soprattutto descrive la zona grigia in cui si dispiega l'agire degli uomini, costretti a vivere in un mondo dominato dall'ambiguità e dall'incertezza, dove la ragione spesso si rivela una guida insufficiente a dissolvere l'opacità che li avvolge e le parole non sono altro che un vuoto gioco di prestigio che occulta la verità. Una «terra di mezzo» sospesa tra libertà e necessità, fra autonomia e dipendenza, dove il passato sembra condizionare ogni decisione e il futuro assume le sembianze del fato, cioè di una realtà che pare al di fuori della nostra portata ma che tuttavia ha bisogno di noi per potersi realizzare. La tragedia, quindi, ci rivolge in maniera pressante una domanda cruciale: che cosa dobbiamo fare? Di fronte ai drammi del nostro presente - le guerre, le ingiustizie, la violenza, la povertà - come dobbiamo agire? Qual è il nostro grado di coinvolgimento? Possiamo davvero considerarci non responsabili? Fino a dove può spingersi la nostra inazione o la nostra indifferenza? A lezione dagli antichi ci invita a trovare una risposta a questi interrogativi, una risposta che è essenzialmente «politica», perché attiene al nostro essere cittadini, parte attiva di una comunità che di fronte ai drammi degli altri non distoglie lo sguardo ma li riconosce come propri. Non è un caso, infatti, se la tragedia è nata nell'Atene democratica del V secolo a.C., se in essa «la città si fa teatro» e si mette in scena. Se vogliamo capire chi siamo, se vogliamo scoprire quale ruolo possiamo svolgere nel mondo, allora dobbiamo tornare al palcoscenico della vita che i tragici greci hanno allestito per noi.
«Civiltà» è da sempre un concetto delicato, da maneggiare con cura. Una categoria ambigua, controversa, spesso definita per contrapposizione: da una parte «noi», i civilizzati, dall'altra «loro», i «barbari», vale a dire tutti quelli che non condividono i nostri valori. Anch'essi, però, hanno una loro storia da raccontare e persino una loro idea di arte. In realtà, con il termine «civiltà» dovremmo intendere una pluralità di mondi che si confrontano e dialogano fra loro attraverso il linguaggio dell'arte. E che attraverso l'arte ci parlano. Ma di cosa parlano le opere d'arte? Secondo Mary Beard, classicista di Cambridge, al cuore della creazione artistica ci sono due questioni coinvolgenti e controverse: la rappresentazione del corpo umano e la raffigurazione della divinità. Dai colossali faraoni egizi di Luxor alle ceramiche degli antichi greci, dalla statua di Afrodite ai guerrieri di terracotta sepolti insieme al primo imperatore della Cina, la figura umana è la chiave per comprendere non solo la rappresentazione del potere e la definizione dei ruoli sociali, ma anche la sessualità, l'erotismo, la virtù morale e politica, i valori di una comunità. Al punto che una particolare rappresentazione del corpo, risalente alla Grecia classica, ha contribuito a fissare i canoni della bellezza e della perfezione formale con cui per secoli l'Occidente ha valutato le altre culture. La seconda questione riguarda invece la raffigurazione visiva del sacro, un dilemma che tutte le religioni - spesso in bilico tra vanità idolatra e furore iconoclasta - hanno dovuto affrontare, giungendo a soluzioni superbe e affascinanti, come testimoniano lo splendore delle immagini musive della basilica di San Vitale a Ravenna, la Moschea Blu di Istanbul o le pitture rupestri delle grotte di Ajanta, che ritraggono il Buddha in cerca dell'illuminazione. "Civiltà" è un viaggio attraverso alcune delle pagine più emozionanti e meno note della storia dell'arte. Portando alla luce i tesori nascosti delle civiltà antiche, Mary Beard guarda oltre il canone tradizionale dell'immaginario occidentale e si rivela una guida preziosa per educare lo sguardo.
Cinquecento anni fa, in Italia, ci fu una esplosione di creatività che cambiò il mondo nel nome della bellezza. Il suo profeta fu Raffaello, ritenuto dai suoi contemporanei un nuovo Cristo. In questo romanzo, attraverso la voce di Margherita Luti, la celebre "Fornarina", gli ultimi cinque anni di vita e la storia d'amore del grande pittore urbinate vengono raccontati come non era mai stato fatto prima, e ci vengono restituiti il suo ideale di bellezza e la sua figura artistica. Bellezza e amore nel Rinascimento sono assai più vicini all'idea che se ne ha oggi. Sesso e potere sono il motore della Roma di papa Leone X nella quale Raffaello è il principe dei pittori, amato da tutti e amante di tutte. Nella dolce vita della Roma del 1515-1520 ritroviamo molte storie di oggi, come quelle della divisione tra popolo ed élite, del rapporto tra sesso e potere, del #metoo, delle feste galanti, delle morti misteriose e delle nuove cortigiane. Ma la leggenda dell'amoroso Raffaello e della Fornarina testimonia la forza e il potere dell'amore e rivela chi è nascosto dietro ai volti delle Madonne dipinte dal pittore. La popolana Fornarina racconta la vita quotidiana del Rinascimento a fianco del grande pittore.
"È andata così" ripercorre la straordinaria parabola artistica di Luciano Ligabue, disco per disco, concerto per concerto e hit dopo hit, svelando aneddoti, retroscena e dettagli creativi completamente inediti. Il racconto di Luciano Ligabue e Massimo Cotto è accompagnato da un ricco apparato fotografico di 360 foto. Molto interessante anche l'appendice che contiene tutta la discografia di Ligabue con tutte le copertine dei singoli, degli album, dei cofanetti, dei VHS, insomma, di tutta la produzione musicale di Ligabue. Quando Luciano Ligabue apre le porte a Massimo Cotto a Correggio, tutto sembra chiaro: ha voglia di raccontare 30 anni di musica e di carriera. I due si rifugiano a Ca' di Pòm, la palazzina dove Ligabue ha scritto (nella famosa Stanza rossa) la maggior parte delle canzoni di "Buon compleanno Elvis". Una giornata a ricordare e registrare, a sbobinare ricordi e accumulare materiale. Ma accade l'imprevedibile. La situazione in Italia peggiora. Dal giorno successivo, è lockdown. Impossibile vedersi. Ma il libro oramai deve andare avanti, c'è l'urgenza di raccontare. Cambia il metodo, e i due iniziano a confrontarsi e a scambiarsi i racconti via mail. Sembra un ripiego, invece è una bellissima scommessa, un modo diverso di confessarsi. In questo libro Ligabue racconta come sono andate davvero le cose, spazza via leggende metropolitane e racconta la verità, solo la verità, nient'altro che la verità. È un viaggio bellissimo, una storia unica, una parabola lucente. Nel periodo più brutto - l'isolamento, la paura, il Covid - nasce la cosa più bella: un libro dove Luciano Ligabue dice a Massimo Cotto: "È andata così".
Pubblicate grazie al lavoro di decine di artigiani tra il 1861 e il 1868, le incisioni di Gustave Doré per la "Divina Commedia" riscossero da subito un grande, meritato successo, tanto da imprimere i regni d'oltretomba nell'immaginario di più generazioni. Forse solo Michelangelo, nelle sue illustrazioni perdute per la "Commedia", aveva saputo rendere con energia paragonabile la plasticità tormentata dei corpi dei dannati, solo Botticelli la grazia e la leggerezza angelica dei beati. Impareggiabile resta la capacità di Doré di creare paesaggi inediti, dai mostruosi antri infernali mai toccati dal sole alla luminosità rarefatta dell'Empireo. Questo volume riproduce in forma integrale le centotrentacinque tavole, legandole con didascalie narrative che consentono di ripercorrere il viaggio dantesco "leggendo" le immagini: un omaggio al genio di Doré e insieme un invito a esplorare la "selva" dell'opera dantesca.