
È possibile descrivere lo spirito della civiltà occidentale, così come si è evoluto con mutamenti vertiginosi nel corso del XX secolo, attraverso venti capolavori dell'arte? L'impresa è senza dubbio temeraria, e non priva di insidie che potrebbero indurre a forzature o interpretazioni arbitrarie. Ma Flavio Caroli, da sempre interessato a indagare i fondamenti primari del "pensiero in figura", accetta la sfida. Ed ecco allora che, dopo aver tratteggiato i volti dell'uomo e della natura nelle sue molteplici manifestazioni artistiche, delinea un nuovo volto che in qualche modo li racchiude. Un'immagine essenziale e al tempo stesso complessa, un poliedro a venti facce: venti opere da Van Gogh a Warhol. Tra fine Ottocento e fine Novecento l'impulso innovativo dell'arte ha subito accelerazioni inaudite, dissacrando, rinnegando, stravolgendo il punto di vista sulla realtà e tuttavia, una volta esauritasi la violenza di tale eruzione, ha riscoperto, in una visione rinnovata, le radici di quella tradizione che intendeva estirpare. Non a caso i venti capolavori prescelti, celeberrimi e di valore universale, sono da considerare archetipi, motori originari di "tutto ciò che si è mosso nell'immaginario occidentale": fra questi, "La notte stellata" di Van Gogh, "La Dame" di Matisse, "Primo acquerello astratto" di Kandinskij, "Guernica" di Picasso, "La città che sale" di Boccioni, "Le Muse inquietanti" di de Chirico, "Murale" di Pollock, "Trenta è meglio di una" di Warhol.
Nell'Iran degli ayatollah che hanno vietato la musica, un bambino di sei anni sogna di passeggiare felice nell'orangerie di un castello tedesco in compagnia di Johann Sebastian Bach. A sentirglielo ricordare, chiunque direbbe che è un predestinato. E in effetti, quel bambino oggi ha trentasei anni, ha studiato al conservatorio in Italia, vive in Germania e si chiama Ramin Bahrami. È cioè uno dei più talentuosi pianisti sulla scena internazionale e tra i maggiori interpreti contemporanei di Bach: le sue incisioni discografiche, dall'"Arte della fuga" alle "Variazioni Goldberg", hanno sorprendentemente scalato le classifiche mondiali dei dischi più venduti. In questo libro Bahrami per la prima volta si racconta e i suoi ricordi fluiscono sciolti, a partire dall'infanzia, prima dorata e poi drammaticamente segnata dalle vicissitudini famigliari legate alla salita al potere di Khomeini e alla guerra Iran-Iraq. In un paese in fiamme, Ramin bambino assiste sgomento all'arresto del padre, e trema sotto le bombe e i razzi che cadono su Teheran. Ma ha un suo modo pervincere la paura che gli attanaglia l'anima: suona. E suona Bach. Scopre così che quella musica rappresenta per lui un'ancora di salvezza, uno scudo contro la follia e l'orrore che lo circondano. Poi un giorno ascolta Glenn Gould eseguire la Toccata della Sesta partita in mi minore del suo idolo. È una folgorazione, che farà nascere in lui la volontà di dedicarsi anima e corpo alla musica di Bach.
"Delle mie opere, quella che mi piace di più è la Casa che ho fatto costruire a Milano per accogliervi i vecchi artisti di canto non favoriti dalla fortuna, o che non possedettero da giovani la virtù del risparmio": così scrive Giuseppe Verdi in una lettera. Unica al mondo nel suo genere, la casa di riposo voluta dal grande Maestro - che le destinò la propria eredità - aprì i battenti nel 1902: oggi tutti a Milano sanno dove si trova Casa Verdi, tra le cui mura austere e accoglienti vivono decine di musicisti anziani e non solo. È in questa Casa speciale che Paola Calvetti sceglie di immaginare la vita di Ada, eccentrica cameriera che cova un sogno nel cuore: un personaggio "emarginato" e struggente, come Rigoletto, come Violetta, come tanti altri che Verdi rese immortali nelle sue opere. Muovendosi in punta di piedi, Ada conosce tutti gli ospiti e di tutti "colleziona" le vite ardenti. Piera, che muove ancora con grazia le mani sul pianoforte, Kimiko, soprano giapponese, Luisa, la famosa Annina che cantò nella "Traviata" insieme a Maria Callas, Ferro, il violinista gentiluomo che in gioventù spezzò decine di cuori, e gli altri si preparano con trepidazione a una grande festa, e intanto lasciano riaffiorare le proprie passioni non sopite. Come la musica, che non teme il tempo, come l'amore, che può (ri)nascere anche tra le pareti di Casa Verdi...
Con il suo stile scultoreo e sensuale, Paolo Barbieri reinterpreta i grandi personaggi che abitano l'Inferno della Divina Commedia e gli straordinari luoghi che lo scandiscono. Da Caronte a Paolo e Francesca, da Cleopatra al Conte Ugolino, dalla Porta dell'Inferno alle mura di Dite, la matita rinascimentale e i colori infuocati di Barbieri non fanno sconti all'umanità carnale, mortale e trasfigurata del capolavoro dantesco. Ogni tavola, accompagnata dalle terzine a cui è ispirata, offre una visione terribile e spesso toccante delle anime dannate e delle loro storie, dei demoni che vegliano sul loro eterno supplizio e dei gironi infernali.
L'abbiamo conosciuto con il vento tra i capelli, su una Lancia Aurelia guidata da Vittorio Gassman, nel "Sorpasso". Era bello, sorridente, felice e correva a tutta velocità verso il futuro. E invece la tragedia lo aspettava dietro l'angolo. In quel film e nella vita. Alcuni anni dopo, mentre Trintignant è sul set del "Conformista" di Bernardo Bertolucci, la scure del destino, impietosa, cala su di lui: la secondogenita Pauline muore in culla. Seguono anni duri, dolorosi, che però i grandi successi professionali in qualche modo addolciscono. Ma proprio quando la vita sembra aver compiuto il suo ciclo, l'anziano Trintignant, ormai nonno di quattro nipoti, viene colpito ancora una volta da una freccia avvelenata: sua figlia Marie muore, ammazzata di botte da suo marito, il cantante dei Noir Désir Bertrand Cantat. Un dolore così a settant'anni può essere fatale. Eppure Trintignant ancora una volta decide di vivere, di continuare a percorrere la sua strada che proprio quest'anno l'ha portato a vincere a 81 anni la palma d'oro a Cannes con il film "L'amour". In "Alla fine ho deciso di vivere" Trintignant ci racconta la sua storia, ripercorre la sua vita, quella vita che tanto gli ha dato e che forse troppo gli ha tolto.
Questo libro è un evento. Una storia che aspettavamo ci venisse raccontata. Un tuffo in un mondo che suscita nostalgia anche in chi non l'ha vissuto.
A dieci anni dalla scomparsa di Giorgio Gaber, il suo storico coautore e amico Sandro Luporini rompe l'ormai leggendario riserbo, e dal suo inviolabile rifugio viareggino apre le porte su uno dei più straordinari sodalizi artistici degli ultimi decenni. Svelando un tesoro di cui è il più autorevole custode. Racconta le discussioni, le idee, i dubbi, le storie, qualche volta le coincidenze che hanno dato origine ai loro capolavori: cosa intendevano veramente in certe canzoni troppo spesso fraintese, da dove è nata la battuta "quasi quasi mi faccio uno shampoo", o che "...volevamo dire 'libertà è spazio di incidenza', ma anche senza essere musicisti si capisce bene che una roba così non si poteva proprio cantare". Ma anche i particolari di un uomo fuori dall'ordinario, ironico e curioso di tutto, che lavorava anche quando sembrava fare altro e andava al mare con le Clark.
Il bel pretesto narrativo è l'incontro tra Luporini e un ragazzo giovane, attento e appassionato che non ha avuto la fortuna di conoscere il Signor G e la sua epoca. Il risultato è puro Gaber: intelligenza, ironia, e una profondità che appena rischia di diventare pesantezza ha uno scarto, un guizzo, e ritorna meravigliosamente leggera.
G. è quanto di più vero e definitivo si potesse scrivere su Giorgio Gaber. Sandro Luporini riesce nel miracolo di restituirci quello stile, quel gusto, quel modo di vedere le cose che ci ha tanto affascinato, e di cui tanto sentivamo la mancanza.
"Una farfalla che vola leggera... il sapore dell'uva rubato a un filare... un sogno che più non ritrovi": sono questo, e molto altro, le canzoni di Francesco Guccini. Sono la colonna sonora di più generazioni, raccontano quello che si lascia e si conquista quando si diventa grandi, parlano dei cambiamenti, del mondo a volte crudele che ci circonda, di una consapevolezza che si disvela per squarci improvvisi. Sono una scatola magica per adulti e bambini: custodiscono storie per tutti, in cui tutti possono riconoscere la propria storia. Capolavori senza tempo, poesie per ogni età. "Una canzone", "Culodritto", "Il vecchio e il bambino", "Auschwitz", "Piccola città", "E un giorno...", "L'ultima volta", dalla ricca produzione dell'artista sette canzoni, sette poesie sul tema dell'infanzia, del ricordo e del sogno, illustrate da Alessandro Sanna. Età di lettura: da 9 anni.
"Un'illustrazione di vastità universale, un'illustrazione che sia anche un microcosmo": così Jorge Luis Borges descrive il poema di Dante, e aggiunge: "non c'è cosa sulla terra che non sia anche lì, ciò che fu, ciò che è e ciò che sarà, la storia del passato e quella del futuro". Come non pensare che lo scrittore argentino avesse in mente, parlando della Commedia, le incisioni di Gustave Doré? Questo volume le riproduce in forma integrale, legando le immagini con didascalie narrative che consentono di ripercorrere il viaggio dantesco "leggendo" le tavole. Pubblicate, grazie all'opera di decine di artigiani incisori, tra 1861 e 1868, le centotrentacinque illustrazioni (più una, il ritratto di Dante) riscossero da subito un grande, meritato successo, tanto da disegnare i regni d'oltretomba nell'immaginario di più generazioni. Forse solo Michelangelo, nelle sue illustrazioni perdute per la Commedia, aveva saputo rendere con energia paragonabile la plasticità tormentata dei corpi dei dannati, solo Botticelli la grazia e la leggerezza angelica dei beati. Impareggiabile resta la capacità di Doré di creare paesaggi inediti, dai mostruosi antri infernali mai toccati dal sole alla luminosità rarefatta dell'Empireo.
Figlio di un idraulico scozzese, Rod Stewart nasce a Londra nel 1945. Dopo aver tentato diversi lavori, dal becchino al giocatore di calcio professionista, è la musica che cattura definitivamente il suo cuore. Rod esordisce all'inizio degli anni Sessanta, suonando nei club della scena R&B di Londra, fino a quando la sua voce roca e particolare giunge all'orecchio del mitico cantante Long John Baldry, che lo avvicina una notte mentre sta suonando alla stazione. A questo incontro fanno seguito periodi di collaborazione con gruppi pionieristici come gli Hoochie Coochie Man, gli Steampacket e i Jeff Beck Group, fino ai cinque anni turbolenti con i Faces, i cui eccessi a base di alcol, stanze d'albergo distrutte e groupies sono ormai entrati nella leggenda. In questa vita intensa e sregolata, Rod ha trovato il tempo di scrivere moltissime canzoni, tra cui capolavori come Maggie May, nel 1971, che lo impone come star, di iniziare una carriera da solista di grande successo, di vendere circa duecento milioni di dischi, di essere ammesso per ben due volte alla Hall of Fame e di tenere il più grande concerto di tutti i tempi. Non male, come dice lui, per uno con una rana in gola. E poi c'è la vita privata: matrimoni, divorzi e relazioni con alcune delle donne più belle del mondo - Bond girls, star del cinema e top model - e la terribile esperienza di un cancro alle corde vocali che ha rischiato di fargli perdere tutto.
È possibile descrivere lo spirito della civiltà occidentale, così come si è evoluto con mutamenti vertiginosi nel corso del XX secolo, attraverso venti capolavori dell'arte? L'impresa è senza dubbio temeraria, e non priva di insidie che potrebbero indurre a forzature o interpretazioni arbitrarie. Ma Flavio Caroli, da sempre interessato a indagare i fondamenti primari del "pensiero in figura", accetta la sfida. Ed ecco allora che, dopo aver tratteggiato i volti dell'uomo e della natura nelle sue molteplici manifestazioni artistiche, delinea un nuovo volto che in qualche modo li racchiude. Un'immagine essenziale e al tempo stesso complessa, un poliedro a venti facce: venti opere da Van Gogh a Warhol. Tra fine Ottocento e fine Novecento l'impulso innovativo dell'arte ha subito accelerazioni inaudite, dissacrando, rinnegando, stravolgendo il punto di vista sulla realtà e tuttavia, una volta esauritasi la violenza di tale eruzione, ha riscoperto, in una visione rinnovata, le radici di quella tradizione che intendeva estirpare. Non a caso i venti capolavori prescelti, celeberrimi e di valore universale, sono da considerare archetipi, motori originari di "tutto ciò che si è mosso nell'immaginario occidentale": fra questi, "La notte stellata" di Van Gogh, "La Dame" di Matisse, "Primo acquerello astratto" di Kandinskij, "Guernica" di Picasso, "La città che sale" di Boccioni, "Le Muse inquietanti" di de Chirico, "Murale" di Pollock, "Trenta è meglio di una" di Warhol.
Luciano Pavarotti è stata una delle grandi stelle della lirica mondiale, il marchio inconfondibile del belcanto italiano. Ambasciatore infaticabile della musica, con il timbro della sua voce "morbida eppure volitiva come una melagrana appena spaccata, che sembra sangue e sa di zucchero", ha emozionato il pubblico dei più celebri teatri, dalla Scala di Milano al Metropolitan di New York. A suo modo "figlio d'arte" - il padre Fernando faceva il panettiere per mestiere e il cantante lirico per passione - Luciano non frequentò il Conservatorio ma si dedicò a un meticoloso apprendistato con Arrigo Pola ed Ettore Campogalliani, i suoi mentori e maestri, per poi esordire con successo all'inizio degli anni Sessanta. Da allora la sua straordinaria avventura artistica e umana non ha conosciuto soste. Fino al 6 settembre 2007, giorno della sua scomparsa, quando si è capito che Big Luciano avrebbe lasciato un vuoto difficile da colmare. Lo rimpiangono i melomani, ma anche i tantissimi appassionati d'opera, i milioni di fan che hanno imparato a conoscerlo grazie ai concerti con José Carreras e Placido Domingo e ai duetti con le grandi star del pop internazionale, in occasione dei "Pavarotti&Friends". Ma Big Luciano un successore ideale ce l'ha, e porta il nome di Andrea Bocelli. Anche per il tenore toscano la musica è una sola, e il messaggio che veicola, potente e universale, può diffondersi nello spazio raccolto di un teatro come in uno stadio gremito di folla.
Da quando è uscito il primo "Dizionario delle cose perdute", Francesco Guccini non può fare un passo, per strada, senza che qualcuno lo fermi per suggerirgli con entusiasmo e commozione qualche oggetto "del tempo andato" che merita di essere ripescato dal veloce oblio dei nostri anni e celebrato dalla sua penna. Dall'idrolitina ai calendarietti profumati dei barbieri, dal temibile gioco del Traforo alle cabine telefoniche, dal deflettore all'autoradio passando per i "luoghi comodi" e i vespasiani, le letterine di Natale piene di buoni propositi da mettere sotto il piatto del babbo, le osterie (quelle vere, senza la H davanti per darsi un tono) e molto altro, Guccini torna a scavare nel passato che ha vissuto in prima persona per riportarcelo intatto e pieno di sapore. E con questo suo catalogo delle cose perdute dà vita a un personalissimo genere letterario nel quale l'estro del cantautore - capace di condensare in poche strofe un universo intero di emozioni -, la sua passione storica e filologica e la sua vena poetica trovano sintesi piena: regalandoci pagine in cui ogni oggetto, ogni situazione, suscita intorno a sé un intero mondo, sempre illuminato dalla luce di un'insuperabile ironia.