
Questo libro è una rilettura dell'arte contemporanea vista dalla prospettiva di ciò che, a oggi, sappiamo sul sistema nervoso umano. Il nostro cervello, per permetterci di sopravvivere in un mondo che cambia incessantemente, è alla ricerca perenne di proprietà costanti. La ricerca di stabilità si manifesta non soltanto nell'attribuire un significato ai segnali che ci raggiungono dal mondo circostante, ma anche nella costruzione, percezione ed espressione del proprio corpo e delle proprie emozioni, in ultima istanza della propria identità. In queste pagine esploreremo come la ricerca, forse irraggiungibile, di questa stabilità abbia spinto il cervello umano, fin dalle origini della storia, verso la creazione artistica e sia diventata la protagonista stessa dell'arte contemporanea.
Ludovica Lumer lavora al Department of Anatomy and Developmental Biology dell'University College di Londra, dove fa ricerche in Neuroestetica.
Semir Zeki, pioniere nello studio della funzione visiva del cervello, è professore di Neurobiologia e di Neuroestetica presso l'University College di Londra, dove dirige il Laboratorio di Neurobiologia.
«Un illustre contemporaneo di Goldoni, Denis Diderot (grande illuminista, padre della Enciclopedia), ricorda la propria giovanile tentazione di fare l'attore, e si confessa con lucida onestà: "Quale era il mio progetto? Essere applaudito? Forse. Vivere familiarmente con le donne di teatro che io trovavo infinitamente amabili e che io sapevo molto facili? Sicuramente". Ciò che conta – nel sogno di diventare uomo di teatro – non è tanto il successo, l'applauso del pubblico, bensì la possibilità di una vita più libera e più libertina, con le belle attrici che risultano "infinitamente amabili" e al tempo stesso "molto facili", cioè di facili costumi. Ecco, Goldoni non ha la limpida trasparenza delle esternazioni di Diderot, ma appartiene allo stesso secolo e alla stessa visione del mondo».
Roberto Alonge cestina con un colpo secco la tradizione che ci ha consegnato il ritratto stereotipato del 'buon papà Goldoni' e illustra al contrario il profilo di un artista organicamente inserito nel Settecento libertino di Casanova e del marchese De Sade.
Sotto i nostri occhi sta avvenendo una trasformazione radicale della città. Nessuno riesce a definire con certezza quale possa essere il suo destino, perché ha perso una delle caratteristiche che l'ha sempre contraddistinta: l'essere circoscritta. Non si sa che cosa diverrà proprio nel momento in cui diventa il luogo di vita della maggioranza degli abitanti del mondo. La città perde la sua fisionomia e invade il territorio circostante, che non acquista caratteri di urbanità, ma non è neanche più campagna. Il fenomeno è planetario e interessa sia i paesi industrializzati che quelli più poveri, anche se le forme di questo cambiamento sono molto diverse in Europa rispetto al Sud America o all'Africa. Ma questa lunga conversazione con Francesco Erbani, giornalista e scrittore, non è solo un bilancio dell'architettura e dell'urbanistica contemporanee. È anche un'autobiografia intellettuale e politica dove Benevolo racconta se stesso, la propria formazione, la crescita delle città italiane dal dopoguerra, le anomalie del nostro paese, le battaglie per la difesa del paesaggio da una speculazione aggressiva, i risultati raggiunti e le sconfitte, a Roma e a Palermo, a Venezia, a Urbino e a Brescia. E dove con passione sostiene la pratica di un'urbanistica che coniughi saperi diversi, slancio ideale e concretezza nelle realizzazioni, senza risparmiare giudizi "fuori dai denti" dei grandi protagonisti della scena internazionale.
«Schumann recensì nel 1831 le mie Variazioni op. 2, quelle sul tema del Don Giovanni, in un modo, in un modo talmente, talmente… “Giù il cappello, signori: un genio!” Scrisse proprio così. Avevo diciassette anni, quando composi di getto quelle Variazioni.»
Chopin, considerato dai contemporanei come un esponente eccellente di un settore minore della musica, quello del pianoforte, diventerà per i posteri uno tra i maggiori creatori in assoluto. A raccontarne la storia, nella forma della finzione letteraria, in questo libro sono Chopin stesso e coloro che lo incontrarono.
La forma è romanzata, la sostanza, però, è solidissima dato che il maestro Rattalino è uno dei massimi esperti di pianismo e che al pianoforte il musicista polacco dedicò per intero la sua breve vita.
Corrado Augias, “Il Venerdì di Repubblica”
Nelle città europee sta crescendo una vera e propria "anti-città": migliaia di persone, giovani, coppie, anziani, tagliati fuori dalla vita culturale, dagli scambi economici, dalle relazioni istituzionali. Le caratteristiche principali dell'anti-città sono la frustrazione e l'omologazione: la frustrazione di una anti-società illegale e senza sbocchi che scopre che la mobilità sociale è un miraggio e l'omologazione di migliaia di concittadini resi simili nelle credenze, nelle aspettative e negli stili di vita. Sono loro gli abitanti dell'anticittà: sono, ad esempio, le diciassette mila famiglie che a Napoli dichiarano reddito zero o i dieci mila senza fissa dimora delle fabbriche dismesse di Milano, parenti stretti dei bambini che abitano i sotterranei di Bucarest, delle famiglie che vivono nel cimitero del Cairo o delle migliaia di immigrati di Dubai. Gli anticorpi contro tutto questo stanno in una architettura che cambi gli spazi abitati per cambiare le relazioni e con esse la qualità della vita. Questo libro parla di come lo spazio sia un protagonista determinante della politica, perché lo spazio fa, disfa, condiziona, promuove, distrugge. È necessario riscoprire il significato civile dell'architettura, la sua dimensione politica, perché è grazie ai progetti architettonici, ai piani urbanistici, alle proposte di design che lo spazio divide e connette pezzi di società, toglie e attribuisce loro risorse, nega o consente relazioni culturali ed economiche.
"In ogni cultura, per poter realizzare le proprie creazioni, gli architetti hanno dovuto stabilire un rapporto con i ricchi e i potenti. Nessun altro ha infatti le risorse per costruire. E il destino geneticamente predeterminato degli architetti è fare qualsiasi cosa pur di costruire, così come quello dei salmoni migratori è di compiere l'ultimo viaggio per deporre le uova prima di morire. Gli architetti non hanno altra alternativa che scendere a compromessi con il regime al potere, qualunque esso sia. Ma quando il calcolo politico si mescola alla psicopatologia, l'architettura non è più solo un problema di politica pratica, essa diventa un'illusione, e perfino una malattia che consuma le sue vittime. Esiste un parallelo psicologico fra il marcare un territorio per mezzo di un edificio e l'esercizio del potere politico. Entrambe le cose dipendono da un atto di volontà. Vedere affermata la propria visione del mondo in un modello architettonico esercita di per sé un certo fascino e ancora più attraente è la possibilità di imporre fisicamente il proprio volere a quella stessa città rimodellandola così come Haussmann fece a Parigi. L'architettura alimenta l'ego nei soggetti predisposti. Essi ne diventano sempre più dipendenti al punto che l'architettura si trasforma in un fine in sé che attrae i fanatici e li induce a costruire sempre di più su di una scala sempre più vasta." Deyan Sudjic
"Adorata nell'industrial design e nella moda, data per scontata nella tecnologia e nei media, la voglia di innovazione incontra sempre forti resistenze nel nostro paese quando si tratta dei settori creativi più 'tradizionali': letteratura, cinema, e architettura 'contemporanea'. Soprattutto se per contemporanea si intende un'architettura fortemente intrisa dello spirito, della tecnologia, delle disarmonie, dei conflitti e delle incertezze che caratterizzano il nostro tempo." Pippo Ciorra accompagna il lettore alla scoperta di alcuni punti critici del fare architettura nel nostro paese. Il primo campanello di allarme viene dal confronto con la situazione internazionale: l'Italia è paralizzata e incapace di accogliere ed elaborare in chiave locale le tendenze dominanti nel mondo; il secondo campanello d'allarme è che mai come oggi l'architettura è stata seguita e vezzeggiata dai media 'generalisti'. Ma la diffusa attenzione agli eventi di architettura non sembra tradursi in un parallelo affermarsi di una nuova generazione di architetture e spazi pubblici di qualità nel nostro paese; il terzo campanello, infine, è la preoccupazione legata alla sensazione di spreco del tessuto di energie nuove e quasi sempre frustrate: studenti e giovani architetti abituati a viaggiare, scambiare e lavorare in giro per il mondo, professionisti aggiornati e capaci che potrebbero lasciare ben altra traccia nel paese...
Il potere delle immagini, oggi così ovvio da essere un luogo comune, ha storia antica. Ha la sua origine in tempi passati, soprattutto fra Medioevo ed età moderna, quando l'affidamento al senso della vista e alla capacità di vedere e di immaginare è totale. La vista diventa un atto potente soprattutto per costruire una relazione con il divino. È nelle immagini sacre che la capacità delle rappresentazioni figurate si manifesta in forma esplosiva. Ottavia Niccoli indaga la relazione, continuamente riformulata, tra i fedeli e le immagini. Nel tardo Medioevo esse sono considerate come totalmente reali e consentono a uomini e donne di costruire un rapporto intensamente affettivo con il mondo soprannaturale. Le immagini su tavola o su carta riempiono le case, sono oggetto di una devozione quasi passionale. Il loro potere è cosi intenso da provocare esperienze visionarie delle quali ci restano affascinanti descrizioni. A partire dalla seconda metà del Cinquecento, nel periodo critico della Controriforma, le immagini sacre sono oggetto soprattutto di reverenza e di omaggio. L'esperienza del "Vedere con gli occhi del cuore" è rigorosamente disciplinata dalla Chiesa tridentina e rifiutata nettamente dalla Riforma. È un passaggio che lascia un segno profondo nei modi di intendere le figure sacre, nel loro valore evocativ e sostitutivo, nella loro capacità di rendersi presenti e vive mediante lo sguardo.
Luca Ronconi racconta per la prima volta in modo organico la propria storia artistica e il proprio percorso di lavoro: dalla scelta del 'laboratorio' come metodo privilegiato, all'importanza e alla pratica della formazione di nuovi artisti teatrali. In una lunga conversazione con Gianfranco Capitta, descrive le scelte inusuali per il teatro che ha praticato con grande successo: dalla reinvenzione barocca alla traduzione per la scena di autori come Gadda e Dostoevskij, dalla rilettura delle tragedie classiche alle incursioni rivelatrici nella scienza e nell'economia. Progetti in cui prende corpo un denso linguaggio teatrale, attraverso l'uso degli attori e la reinvenzione degli spazi, ogni volta stupefacenti. Spettacoli che rispettano comunque la lettera e lo spirito degli autori - dai grandi barocchi a Shakespeare, fino alla complessità sorprendente dei contemporanei - e che hanno colpito, emozionato e qualche volta sconvolto generazioni di spettatori, studenti, critici letterari o personaggi dello spettacolo. Nel libro è presente per la prima volta la 'teatrografia' dell'opera ronconiana, che oltre a titoli, date e interpreti principali, raccoglie brevemente una visione di ogni suo spettacolo, sottolineandone ogni volta il tratto caratterizzante o di novità.
Perché Joseph Beuys si è rinchiuso per tre giorni in una galleria in compagnia di un coyote? Perché Chris Burden si è fatto sparare a un braccio? Perché Alberto Burri dipingeva con la fiamma ossidrica? Perché Mona Hatoum ha proiettato la sua gastroscopia? Perché Marina Abramovic ha trascorso un'intera Biennale di Venezia a scalcare ossi di manzo? Tuo marito sta indugiando perplesso, non capisce per quale ragione dovrebbe seguirti a un temibile vernissage, lui che non distingue un acquerello da un olio. Eppure un modo per fargli cambiare idea c'è. Basta sfogliare queste pagine e lasciare che Mauro Covacich, con allegra semplicità, venga a darti una mano e vi conduca insieme nel mondo dell'arte contemporanea.
Nel cuore dell'America ci sono città sull'orlo della dissoluzione. Assomigliano, sempre di più, a campagne post-urbane. Un nuovo paesaggio che nella cintura di ruggine - la cosiddetta Rustbelt, che si estende dal Midwest fino a parte del Nordest del paese - è diventato molto comune. Con le fabbriche e i negozi del suburbio abbandonati, distrutte dagli incendi e dalle rivolte razziali degli anni Sessanta e Settanta, da queste città è fuggita più della metà degli abitanti. Lasciandosi alle spalle macerie e popolazioni immiserite, che ogni giorno lottano per la sopravvivenza in un ambiente sempre più ostile. Dalle praterie urbane di Youngstown, dove l'amministrazione comunale si è ormai ridotta a pianificare con zelo l'autodistruzione della città, all'industria del riciclo e della decostruzione di Buffalo, dove attivisti visionari smontano con dovizia e con amore ciò che resta della città; dai deserti alimentari di Detroit e Philadelphia, dove sono scomparsi negozi e supermercati e gli abitanti si organizzano con geniali intraprese agricole, fino alle città come New York che puntano sull'agricoltura urbana, per costruire città più sostenibili grazie a un perfetto metabolismo naturale. Questo è il racconto di territori e popolazioni che non fanno parte delle rappresentazioni consolidate a cui siamo abituati, storie di persone che inventano nuovi modi di vita in ambienti in cui a essersi dissolta - forse per sempre - è la società contemporanea per come la conosciamo.
A partire dall'idea che il teatro è del tutto alternativo e irriducibile alla nostra odierna cultura dell'infinita riproducibilità, della diffusione immediata e globale, della creatività veloce che non ha bisogno di apparati complessi, il volume indaga il ruolo che il teatro riveste nel panorama della "civiltà dello spettacolo". È studiato nella sua dimensione di testo scritto e in quella di evento spettacolare, come luogo di rappresentazione della realtà e come luogo dell'artificio, come metafora del mondo e come strumento di riflessione su di esso, come meccanismo sociale che mette in campo i valori di ogni cultura e come spazio della creatività individuale, come evento artistico e come fenomeno socio-antropologico. Nella seconda parte del volume vengono illustrate le principali componenti di uno spettacolo teatrale, dalla struttura dello spazio e del tempo alle scelte della scenografia e dei costumi, dall'uso della luce e delle nuove tecnologie alle modalità di intervento della musica. Oltre all'esposizione delle principali tecniche di recitazione del teatro di oggi, Luigi Allegri propone anche una rassegna storica delle diverse teorie ed esperienze teatrali