
Il cinematografo arriva da noi nel 1896, a pochi mesi dall'invenzione dei fratelli Lumière, ma bisogna attendere il 1905 - con la proiezione romana del film che, in dieci minuti e sette quadri, ricostruisce la Presa di Porta Pia per festeggiare la nascita ufficiale del cinema italiano. Le nostrane "fabbriche delle films", come vengono chiamate, sono piccole imprese a conduzione familiare che cullano tuttavia ambizioni industriali. Nella scelta dei soggetti si attinge al meglio della letteratura, dell'arte e del teatro, e grandi nomi della cultura del tempo - uno su tutti, Gabriele D'Annunzio vengono coinvolti nell'ideazione di trame e musiche, o nella riduzione delle proprie opere. Le produzioni sono grandiose: "Quo Vadis?", "Marcantonio e Cleopatra", "Giulio Cesare", "Gli ultimi giorni di Pompei" e "Cabiria". Il cinema fa sognare, infiamma il patriottismo popolare alla vigilia della Grande Guerra, conquista il pubblico americano. Per le star italiane esplode l'età d'oro dell'adorazione universale.
L'arte moderna ha utilizzato e assorbito l'intero assortimento dei colori messi in commercio dall'industria chimica, da quelli artificiali in tubetto ai coloranti industriali. Attraverso i colori si è misurata con gli oggetti, le materie e i materiali ordinari, tentando di darne una resa estetica. Negli anni centrali della seconda metà del Novecento sì è assistito a una significativa compresenza tra la nuova astrazione americana - e dunque la pittura pura in un'espressione assoluta - e l'arte povera italiana, ovvero la libera manipolazione dei materiali e degli elementi naturali. In entrambi i casi il risultato è stato quello di una vistosa inflazione coloristica, una vera 'pancromia' che riflette la chiassosità multicolore della metropoli, eletta a orizzonte di riferimento dall'arte odierna. Alberto Boatto rilegge le svolte e le rivoluzioni, il meglio dell'arte odierna in chiave coloristica e propone al lettore una serie di itinerari attraverso le opere dei più grandi artisti contemporanei.
Andy Warhol (1928-1987) è una delle figure più significative dell'arte e della cultura del Novecento. A partire dagli anni Sessanta è stato tra i maggiori interpreti di una nuova visione del mondo e della vita, una visione estetica che è stata denominata pop. Ma, a differenza di altri protagonisti della Pop Art, l'opera di Warhol ha espresso una straordinaria capacità di penetrare nei tessuti della comunicazione contemporanea attraverso svariate modalità operative, creando un'inedita rete multimediale. Analizzando i vari linguaggi artistici utilizzati da Warhol (in particolare la pittura e il cinema) e le riflessioni disseminate nei suoi scritti e nelle interviste, questa introduzione tratteggia un profilo che evidenzia la singolarità della proposta estetica di Warhol, che sconfina continuamente nella cultura dei mass-media e del costume. Dai feticci industriali all'indagine sul divismo hollywoodiano, dal tema della morte al travestitismo, dal cinema underground all'arte commerciale, l'estetica warholiana rivela una continua sovrapposizione mimetica con la sua fonte iconica principale, l'America, metafora assoluta di una contemporaneità ridotta a superficie.
"Negli anni inaugurati da 'Roma città aperta', il pubblico è al tempo stesso destinatario e protagonista e lo schermo diventa proiezione dell'anima collettiva. La gente va al cinema per ritrovare le speranze che la guerra ha disperso, per sentir parlare dei propri problemi, per vedere dei personaggi con i quali si identifica in tutto. Il cinema del dopoguerra attraversa, in modo più o meno inconsapevole, la storia del paese. Per merito di Rossellini e De Sica, ma anche di De Santis, Visconti, Germi, Lattuada, Soldati, Castellani, Zampa e di titoli che in vario modo rientrano nel campo di tensioni del neorealismo, si assiste a una bruciante scoperta dell'Italia, con tutti i suoi problemi e la sua voglia di ripartire da zero". Di fatto, il cinema italiano del dopoguerra riparte da zero e ridisegna interamente l'organizzazione dell'industria culturale. Nel giro di poco la risorta Cinecittà stravincerà la lotta impari con il cinema americano, affiancando i capolavori del neorealismo a grandi successi di botteghino come le coproduzioni alla 'Quo vadis?', i film di Totò, le pellicole di Sofia Loren e Gina Lollobrigida.
Il rapporto fra fotografia e architettura è antico quanto l'invenzione della fotografia stessa. È noto che la prima immagine "fotografica" della storia, databile al 1826 o 1827, rappresentava proprio uno spazio architettonico: la veduta da una finestra della casa familiare di J.-N. Niépce. Nel corso del tempo tale rapporto è andato sviluppandosi e articolandosi e oggi gli architetti prediligono la fotografia per rappresentare tutte le fasi del processo di ideazione e realizzazione. Perseguendo una stretta interazione tra testo e immagini, Giovanni Fanelli ricostruisce l'evoluzione della fotografia di architettura a partire dalla sua concezione ottocentesca, tesa fra istanza documentaria e artistica, produzione amatoriale e proto-professionale, fino ad arrivare al ruolo primario che gioca ai nostri giorni.
In breve
All’inizio degli anni Trenta molti fattori consentono in Italia la rinascita di una cinematografia giunta a toccare quota zero: una legge che incoraggia la ripresa della produzione senza troppo ostacolare la marcia trionfale in atto delle Majors americane, l’avvento del sonoro e un vero e proprio ricambio generazionale, che vede entrare in scena un gruppo di giovani guidati da Alessandro Blasetti e ispirati dalle teorie e pratiche del cinema sovietico. Dai primi anni Trenta alla caduta del regime la parola d’ordine, comune a tutte le voci – fasciste e antifasciste – del cinema italiano è aprire gli occhi sul Paese, fino a quel momento assente dal grande schermo. La fame di realtà unisce e accomuna una serie di film che, da Gli uomini che mascalzoni! di Camerini, attraversano l’intero periodo fino ad approdare a Ossessione di Visconti, il momento più alto nella realizzazione di un nuovo modo di fare cinema. Con l’entrata in guerra le pellicole non celebrano tanto l’eroismo o lo spirito guerresco, quanto piuttosto tradiscono il senso dell’assedio, la caduta delle speranze, il desiderio di pace e l’attesa della fine del conflitto. I venti mesi di Salò suggellano il periodo con l’afasia e il silenzio di una produzione pressoché inesistente.
Indice
Introduzione Nota dell’Autore – 1. La produzione dalla crisi del 1929 al 1943 – 2. La politica delle istituzioni – 3. I cattolici e il cinema: organizzazione, progetto politico, attività censoria – 4. Il cinema nei Guf – 5. La propaganda: scena e messinscena nell’informazione – 6. La propaganda nella produzione spettacolare – 6. I miti – 7. Il lavoro dei letterati – 8. Il cammino della critica verso il neorealismo – 9. Modi, forme e strutture narrative dall’avvento del sonoro al 1935 – 10. Da Freddi al 25 luglio 1943 – 11. La cattedrale del desiderio – 12. Hollywood alla riscossa – 13. Il periodo di Salò – Note – Bibliografia - Indice dei film - Indice dei nomi
"Il cinema italiano rinasce come campo di contraddizioni aperte, per qualche tempo assai produttive. Rinasce come autentico atto di fiducia in un enorme patrimonio intellettuale da scoprire e valorizzare. Rinasce perché l'attesa del momento in cui l'occhio della macchina da presa possa tornare a vedere tutto e a poter esplorare senza limitazioni il visibile si è consumata negli anni di guerra. I registi, per la prima volta nella loro storia, sono liberi di vedere e di guardare l'Italia e gli italiani non come mondi possibili, ma come dimensioni tutte da scoprire e osservare come un territorio vergine. Rinasce come frutto di un capitalismo privo di capitali, ma non privo di idee e a suo modo coraggioso e pieno di iniziative, che riesce a sopravvivere e a vivere delle briciole del mercato. Rinasce, infine, perché intende, almeno nelle ipotesi iniziali, coinvolgere il pubblico nell'operazione creativa e promuovendolo a soggetto creatore di storie e racconti." Gian Piero Brunetta indaga l'età dell'oro del cinema italiano nel dopoguerra, dalle vicende della produzione a quelle della censura e della critica, dai rapporti con la politica e l'America alle nuove poetiche del made in Italy che trasformeranno il cinema mondiale.
Il 28 ottobre cade il centenario della nascita di Francis Bacon, il dublinese "maledetto", il pittore esistenziale ai limiti della patologia estetica, maestro della "defigurazione" o addirittura della deformità. Per celebrare questa ricorrenza Franck Maubert, scrittore e critico d'arte, riunisce in un libro le sue conversazioni inedite con l'artista. Maubert incontra Bacon agli inizi degli anni Ottanta, per un'intervista nel famoso atelier londinese di Kensington. In maniera del tutto inattesa per entrambi, l'episodio è solo il primo di una lunga serie che continuerà nel tempo, trasformandosi in una duratura amicizia intellettuale.
In breve
«Il design è il linguaggio che una società usa per creare oggetti che riflettono i suoi scopi e i suoi valori. Può essere usato in maniera cinica e manipolatoria, oppure in maniera creativa e sensata. È il linguaggio che aiuta a definire, o forse a segnalare, ciò che costituisce un valore. Crea gli indizi tattili e visivi che segnalano quel che è prezioso o scadente. Può essere manipolato con sottigliezza e ingegno, o con la mano pesante dell’ovvietà. Ma è la chiave che ci permette di comprendere il mondo fatto dall’uomo.»
Che cos’è il design? Come funziona il linguaggio degli oggetti di cui ci circondiamo? Quali relazioni lo legano alla moda, al lusso, alla pubblicità, all’arte, all’industria, alla nostra storia personale e collettiva? Il designer è un artista o un professionista, è un meticoloso risolutore di problemi o un egocentrico creatore di oggetti inutili? «In tutte le sue manifestazioni, il design è il Dna delle nostre società. Se vogliamo capire la natura del mondo moderno, è questo codice che dobbiamo esplorare.» Gli oggetti parlano e, in un mondo sommerso di cose, il rumore di fondo è diventato così assordante che è giunto il momento di chiedere un po’ di silenzio e lasciar parlare quelli che hanno seriamente qualcosa da dire: capitolo dopo capitolo, pagina dopo pagina, scopriamo con meraviglia quanto ci manchi una seria e approfondita cultura sull’argomento, quanto piacere ci sia nel conoscere attraverso gli oggetti, quanto possiamo coltivare noi stessi e la nostra stessa personalità circondandoci di oggetti, nei quali riconoscerci e ai quali affidare il compito di rappresentarci. Deyan Sudjic ci insegna ad apprendere questo linguaggio e ad ascoltare con giudizio critico, così da renderci più consapevoli del mondo nel quale viviamo.
Michele De Lucchi
Indice
Introduzione Un mondo che annega negli oggetti - I. Linguaggio - II. Archetipi - III. Lusso - IV. Moda - V. Arte - Note - Referenze iconografiche - Indice dei nomi e delle cose notevoli
"In ogni cultura, per poter realizzare le proprie creazioni, gli architetti hanno dovuto stabilire un rapporto con i ricchi e i potenti. Nessun altro ha infatti le risorse per costruire. E il destino geneticamente predeterminato degli architetti è fare qualsiasi cosa pur di costruire, così come quello dei salmoni migratori è di compiere l'ultimo viaggio per deporre le uova prima di morire. Gli architetti non hanno altra alternativa che scendere a compromessi con il regime al potere, qualunque esso sia. Ma quando il calcolo politico si mescola alla psicopatologia, l'architettura non è più solo un problema di politica pratica, essa diventa un'illusione, e perfino una malattia che consuma le sue vittime. Esiste un parallelo psicologico fra il marcare un territorio per mezzo di un edificio e l'esercizio del potere politico. Entrambe le cose dipendono da un atto di volontà. Vedere affermata la propria visione del mondo in un modello architettonico esercita di per sé un certo fascino e ancora più attraente è la possibilità di imporre fisicamente il proprio volere a quella stessa città rimodellandola così come Haussmann fece a Parigi. L'architettura alimenta l'ego nei soggetti predisposti. Essi ne diventano sempre più dipendenti al punto che l'architettura si trasforma in un fine in sé che attrae i fanatici e li induce a costruire sempre di più su di una scala sempre più vasta." Deyan Sudjic
Dal centro a tutte le regioni e le periferie dell'Impero, questo volume è un itinerario sistematico dell'architettura romana attraverso singole costruzioni e tipologie ricorrenti, dalle più semplici a quelle più complesse. Templi e santuari, fori e archi, residenze urbane ed extraurbane di privati, di governatori e di monarchi, teatri e anfiteatri, circhi e stadi, terme e ninfei, mura e porte urbane, sepolcri e mausolei insieme a ponti, acquedotti e strade si susseguono in queste pagine senza dimenticare le opere più imponenti come i fori di Augusto e di Traiano, il Pantheon e Villa Adriana. Dalla Roma regio-etrusca di legno, tufo, peperino e terracotta alla repubblicana di laterizio e travertino, dall'augustea rivestita di marmo lunense fino all'imperiale e tardo-imperiale di caementum rivestito di marmi esotici, marmorini e mosaici, questo volume, corredato da un apparato illustrativo e bibliografico, restituisce la "magnificenza" e la complessità dell'architettura antica più nota e ancora sotto i nostri occhi.
Un saggio accattivante che documenta la creazione di Roma barocca. Corrado Augias
È difficile catalogare quest’opera, che è dettagliata come un saggio di architettura e avvincente come un romanzo storico. Morrissey racconta la storia di due uomini, le loro eccezionali carriere e la grande rivalità che si sviluppò tra loro. La storia del loro antagonismo e della superba architettura che ne nacque. “Il Foglio”
«Bernini ebbe successo superando le aspettative; Borromini sbalordì tutti, sfidandole. Insieme e separatamente, lavorarono al meglio delle proprie capacità per produrre un’arte che il tempo non potesse intaccare. Ci riuscirono. E divennero immortali lasciandoci in eredità una città che, grazie a loro, è infinitamente più bella.» La vita di due geni, un racconto di ambizione e desiderio, competizione e speranza.
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Capitolo 1 L’inizio e la fine – Capitolo 2 Talento e ambizione – Capitolo 3 «Perpetuità et bellezza» – Capitolo 4 Una collaborazione nel bronzo – Capitolo 5 Il cerchio e il triangolo – Capitolo 6 «Ignoranti e copisti» – Capitolo 7 Un bue e un cervo – Capitolo 8 Estasi e saggezza – Capitolo 9 Le ristrutturazioni di un papa – Capitolo 10 Acqua e delusione – Capitolo 11 Affetto e capricci – Capitolo 12 Addestrare l’occhio a vedere – Capitolo 13 Nessun maggior favore, nessuna fine più triste – Capitolo 14 Un’eredità di pietra – Note – Riferimenti bibliografici – Ringraziamenti – Referenze iconografiche – Indice analitico