Non esistono al mondo due luoghi più diversi tra loro di Catania e Reggio Emilia. Eppure entrambe sono città italiane, che partecipano di un'unica storia e offrono soluzioni opposte a problemi - e a un passato - condivisi. Sono le portabandiera delle due Italie in cui viviamo e che normalmente si ignorano: Reggio nell'Emilia è lo stereotipo dell'Italia che funziona, basata sulla convivenza civile e su un circolo virtuoso di buon senso civico. Catania è il suo alter ego, sorta di Sodoma e Gomorra in mano alla mafia e al pensiero unico, dove perfino l'assassinio di un giornalista indipendente come Giuseppe Fava scivola via senza scosse e non riesce a produrre memoria collettiva. Reggio è roccaforte di una nazione fondata sui principi della liberazione dal fascismo; Catania è laboratorio dell'Italia illegale nata sulle macerie dello stato democristiano. Reggio è città con un'opinione pubblica vivace e un'informazione locale pluralista; Catania è raccontata da un giornale solo. Reggio vanta gli asili pubblici più belli e copiati del mondo; Catania è una città senza asili o quasi. A Reggio l'amministrazione pubblica è gestita come un'impresa; a Catania è un colabrodo sull'orlo del fallimento. Buongoverno e malgoverno, nord e sud come nei vecchi cliché? La verità è che anche nel ventre pasciuto dell'Emilia si annida la criminalità. E se in tempi di recessione in Sicilia si riaccende l'autonomismo, la roccaforte della sinistra italiana cede alle lusinghe della Lega.
La morte di Eluana in uno Stato di diritto
Nessuna famiglia dovrà patire
quello che abbiamo subìto.
Io posso solo continuare a
battermi per una legge che
rispetti la persona, che non dia
ad altri se non a lei stessa il diritto
di decidere del proprio corpo.
Il 9 febbraio 2009 Eluana Englaro moriva. Ci sono voluti 6233 giorni perché il padre potesse liberarla e dirle addio; diciassette anni di vita sospesa fra la vita e la morte, durante i quali Beppino Englaro ha lasciato il suo lavoro e si è immerso nelle carte. Ha studiato codici e regolamenti, ha partecipato a convegni e incontrato politici, giuristi e teologi, nel tentativo di capire come dar voce alla figlia e far rispettare la sua volontà percorrendo sempre la strada della legalità. I suoi sono stati anni senza tregua, senza pause, senza possibilità di fuga o di riparo dalla violenza di una vita artificiale imposta a Eluana da uno Stato etico, che può arrivare a privare delle libertà fondamentali i suoi stessi cittadini.
In questo libro l’autore rievoca i ricordi e le lettere di sua figlia e ripercorre gli ultimi mesi della vita di lei anche attraverso la propria storia di uomo riservato, costretto dagli eventi a farsi portavoce di un popolo silenzioso che ogni giorno, negli ospedali, si pone domande semplici e aspetta risposte umane, e viene invece abbandonato dalla politica in un limbo di sofferenza.
Una battaglia in cui Englaro è tuttora impegnato perché la libertà di cura sia un valore collettivo, perché la legge rispetti l’individuo e non dia ad altri se non a lui stesso il diritto di decidere della propria salute.
La vita senza limiti è il commovente ricordo di una paternità travagliata, ma anche l’atto di accusa di un uomo inascoltato nel momento più difficile: quello delle scelte dolorose.
Hai voglia a dire che per contrastare l'inefficienza italiana bisogna fare le riforme. Lo ripetono tutti, incessantemente. Ma poi le riforme, quelle vere, non si fanno. Colpa della politica? Senz'altro. Ma quella raccontata in queste pagine è un'altra storia. Corporazione per corporazione, questa è un'odissea illuminante tra figli di, salotti buoni, intrecci perversi. Perché se le cause dell'inefficienza italiana hanno mille nomi - gerontocrazia, nepotismo, corporativismo... - questo viaggio nella cupola dell' "Italia che lavora" fa finalmente anche i cognomi: professionisti, imprenditori, uomini di finanza, docenti universitari, baroni della medicina. Conoscete Giacomo Leopardi? Non il poeta, un suo omonimo, meno famoso ma sicuramente più potente: l'uomo che alla guida dell'Ordine nazionale dei farmacisti ha fatto il diavolo a quattro appoggiando la serrata dei camici bianchi. Avete mai sentito parlare di Dino Abbascià, il Leone di Bisceglie? Difficile. Eppure è lui che guida la fronda dei commercianti alimentari. E che dire di Riccardo Pedrizzi, il superlobbista delle assicurazioni? O di Giuseppe Roteili, il re della sanità privata? E di cento altri sconosciuti ai più? Come funziona il partito degli appalti? E perché gli aerei non volano e i treni non arrivano in orario? Allineando vicende che fanno indignare e storie che ci costringono a sbellicarci di amare risate, questa inchiesta dimostra perché, con tutta evidenza, la salvezza non giungerà dalla tanto celebrata società civile.
Dalla comunicazione pubblicitaria a quella estetico-artistica, dal diluvio massmediale allo strapotere della tecnica, dagli sport estremi alle biotecnologie e alla pornografia, è esperienza comune che la cifra dell'eccesso, del "di-più-di-tutto" marca a fuoco vivo le dimensioni simboliche, i comportamenti sociali, i linguaggi del presente. Sono i temi toccati in questo libro. Ma quali sono le logiche dell'eccesso, e quali le figure con cui si presenta ai nostri occhi? Per tentare di rispondere a questa domanda, decisivo è l'orizzonte storico, ed ecco la riflessione sulla violenza nazista, tragico esempio di una dismisura che ha finito per coinvolgere la sua stessa memoria attraverso una mediatizzazione spettacolare della Shoah. Alla logica dell'eccesso bisognerà allora rispondere con una logica del limite che ci permetta di recuperare, lungo le frontiere tra etica ed estetica, la coscienza della misura e la consapevolezza dei confini mobili entro cui dobbiamo operare (e magari anche inventare).
Ne abbiamo abbastanza. Lavorare per consumare non rende felici. Lo sappiamo tutti, ma come uscirne? Cambiare vita da soli sembra una scelta troppo faticosa. Addirittura impossibile. Invece no. Il downshifting ("scalare marcia, rallentare il ritmo") è un fenomeno sociale che interessa milioni di persone nel mondo (complice anche la crisi). Ma non si tratta solo di ridurre il salario per avere più tempo libero. Simone Perotti propone qui un cambio di vita netto, verso se stessi, il mondo che ci circonda, le abitudini, gli obblighi, il consumo. La rivoluzione dobbiamo farla a partire da noi, riprendendoci la nostra vita per essere finalmente liberi. Come ha fatto l'autore, che racconta la sua esperienza entrando nel merito delle conseguenze economiche, psicologiche, esistenziali, logistiche. Dire no non basta per essere felici. L'insicurezza economica cui andiamo incontro è anche un'occasione per ripensarci.
Sei pezzi esemplari di quella particolare forma di giornalismo che è il reportage di guerra, interpretato in queste pagine da scrittori e inviati internazionali degli ultimi quarantanni. Il resoconto di Yves Cuau sull'attacco lampo di Israele che ha segnato l'inizio della guerra dei Sei giorni; il clima di terrore nel Salvador all'inizio degli anni Ottanta, sotto la cruenta tirannia della giunta militare, rievocato da Joan Didion, la più celebre reporter americana vivente; la precipitosa fuga del presidente Marcos nell'insurrezione delle Filippine del 1987 descritta dalla penna di James Fenton; l'invasione di Panama del 1989 nell'accorato racconto di Martha Gellhorn, terza moglie di Hemingway; l'orrore dell'assedio di Sarajevo del 1993 nelle parole di Juan Goytisolo; la lunga lettera che Carolin Emcke scrive ai propri amici per provare a raccontare quello che non era riuscita a scrivere della guerra in Iraq nei suoi articoli per lo "Spiegel". Un documento prezioso e una straordinaria lezione di giornalismo. Quello di chi, al fronte, combatte in nome dell'informazione e della memoria.
I faits divers - sottolineava Sciascia presentando nel 1989 la sua terza raccolta di articoli e saggi dispersi - sono "quelli che noi diciamo fatti di cronaca, cronache quotidiane, cronache a sfondo nero, passionali e criminali spesso, sempre di una certa stranezza e di un certo mistero". "Fatti diversi" vale dunque "parodisticamente, paradossalmente e magari parossisticamente, cronache: a render più leggera la specificazione, di crociana ascendenza, di storia letteraria e civile". Ma anche a ribadire, si vorrebbe aggiungere, la fedeltà a un metodo in cui alla pertinacia del detective si accompagna l'urgenza di verità, all'erudizione dell'enciclopedista la fabula, alla volontà di ribadire la ragione della memoria "il senso e il senno dell'oggi". La raccolta si apre sull'interrogativo "Come si può essere siciliani?", e prosegue poi con "inquisizioni" che hanno al centro la Sicilia e insieme la letteratura, il cinema, la pittura, la fotografia.
"L'uomo in noir" è un'indagine atipica, che non ruota intorno a un assassino, ma intorno a un uomo che ha ucciso, o quanto meno fatto sparire, una serie di convenzioni delle quali, peraltro, non sentiamo la mancanza: quella di considerare il "giallo" letteratura di serie B, quella di pensare alla televisione come a un contenitore nel quale la dissertazione puntuale e scevra di giudizio non trova posto, quella di vedere la cronaca come una serie di eventi fine a se stessi, quella di credere che la letteratura non abbia nulla a che fare con la realtà. Gli strumenti di questa indagine sono le parole che l'artista stesso ha regalato nel corso degli anni al suo pubblico e alla stampa. Perché, una volta ancora, possa essere evidente che la parola ha una forza che altri mezzi di comunicazione non hanno. Nel caso di Carlo Lucarelli, mettere in fila le parole e trovare il modo giusto per far procedere la narrazione - che si tratti di un libro, di un film, di un fumetto, di una trasmissione televisiva o di un videoclip - significa non solo tenere il pubblico incollato, ma offrire spunti di riflessione sulla realtà che stiamo vivendo, sulla sua parte buia, oscura, quella che fa, appunto, paura. Una monografia per frammenti e citazioni d'autore che raccoglie frasi, pensieri e aforismi dello scrittore, ripercorrendone la carriera artistica come in una biografia apocrifa.
Gnocchi&Palmaro, già autori di coraggiose inchieste sui guasti prodotti dal laicismo, questa volta sono alle prese con un’indagine veramente spinosa: un caso di omicidio. E la vittima è niente meno che l’uomo moderno. Pagina dopo pagina, si scopre che il delitto è stato commesso da un’intera banda. Anzi, da un vero e proprio corpo docente composto da tutti quei “cattivi maestri” che, pontificando impunemente da cattedre universitarie, giornali, tv, scranni parlamentari e pulpiti, diffondono una cultura che avvelena le anime.
L’indagine, che miscela in maniera avvincente il racconto giallo e il saggio, ci porta in luoghi popolati da femministe impenitenti e filosofi postmoderni, da sessantottini riciclati e apostoli della laicità, da teologi demolitori ed ecumenisti dialoganti, da ambientalisti illuminati e profeti della nuova Pentecoste.
Il tutto con la solita graffiante ironia che contraddistingue l’opera che questi due apologeti svolgono in difesa della fede, della cultura e della civiltà. Cioè dell’uomo
Se c'è un giornalista in Italia che può raccontare il terremoto d'Abruzzo, questo giornalista è Giuseppe Caporale. Era lì Giuseppe, la notte del 6 aprile. Era lì, un'ora dopo la distruzione, che si aggirava fra i fantasmi di Onna e fra i vicoli bui della città dell'Aquila. Era lì nei giorni seguenti, è rimasto lì a raccogliere le grida di dolore e di paura degli abruzzesi. Giuseppe Caporale ha cercato di capire, ha indagato, ha anche scoperto quello che qualcuno voleva nascondere. Ha fatto il suo mestiere: scrivere. Senza timori, senza reticenze. Giorno dopo giorno sul suo giornale, "la Repubblica". E poi, sei mesi dopo, è arrivato questo libro. Già il titolo - "L'Aquila non è Kabul" - annuncia che fra le sue pagine non troverete mai nulla di convenzionale o di scontato. È una cronaca "non autorizzata" del terremoto. Giuseppe Caporale è stato un testimone oculare della tragedia abruzzese. Nel libro rivive il dramma fin dall'inizio, fin da quella notte quando anche a casa sua, a Pescara, la terra ha tremato e i tetti sembravano cedere, i muri crollare. È un diario. Il viaggio disperato fino ai paesi ai piedi dell'Aquila, i primi soccorsi, i morti e i vivi, i padri sopravvissuti ai figli, i feriti tirati fuori dai palazzi. Il racconto del dolore e poi il racconto della rabbia, i mancati allarmi e le tendopoli bollenti d'agosto, le case di sabbia venute giù e le inchieste giudiziarie, l'apocalisse d'Abruzzo e il dopo-terremoto in Molise. (Attilio Bolzoni)
Il 30 gennaio 2002, Samuele, tre anni, viene trovato morto nella casa dove viveva con i genitori e il fratellino. Il 21 maggio 2008, la sentenza di Cassazione ha condannato in via definitiva la madre, Annamaria Franzoni. Il giallo è stato chiuso grazie a una prova schiacciante fornita dalle analisi dirette dal comandante del Ris di Parma, Luciano Garofano. Il Bpa (esame che permette di stabilire la traiettoria degli schizzi di sangue a partire dalla forma della macchia) ha dimostrato che l'assassino indossava il pigiama della madre. In questo libro, Garofano racconta tutti i retroscena e molti particolari inediti sulla vicenda che ha tenuto con il fiato sospeso l'Italia intera e che continuerà a far discutere in vista del Cogne-bis, il processo sulla falsificazione delle prove all'interno della villetta.
Mozart non era un genio. Più semplicemente, ha cominciato a "lavorare duro" all'età di quattro anni, costretto dal padre a esercizi estenuanti. Se ha composto giovanissimo i suoi primi capolavori era solo perché aveva già alle spalle una lunga "pratica determinata". Le basi scientifiche della tesi sostenuta da Geoff Colvin in questo saggio divulgativo si trovano in recenti studi su talento, memoria, intelligenza e le loro relazioni. Per Colvin, nessuno scienziato è finora riuscito a dimostrare l'esistenza di caratteristiche genetiche collegate a una predisposizione innata al talento. Mentre le biografie di artisti, campioni dello sport, statisti, capitani d'industria rivelano l'importanza di un metodo di lavoro efficace, basato sulla capacità di analizzare i risultati e imparare dagli errori. È un metodo che, come insegna questo libro, può essere applicato con successo anche alla vita lavorativa e personale.