Secondo le proiezioni dell'Istat, nel 2050 circa un terzo della popolazione con meno di 24 anni avrà un genitore straniero. I figli dell'immigrazione sono importanti, non solo sotto il profilo quantitativo, ma anche perché contribuiranno a determinare il livello e la qualità del capitale umano di cui l'economia italiana avrà bisogno per competere con gli altri paesi. Necessità demografiche e del mercato del lavoro rendono dunque la presenza dei figli dell'immigrazione "un bene necessario" in Italia, al pari di altri paesi europei. Imparare a conoscerli, a riconoscerne i bisogni è perciò una grande opportunità per la nostra società. In questa prospettiva, Roberta Ricucci presenta in queste pagine un percorso di conoscenza dei figli dell'immigrazione. Un viaggio che parte dalla ricostruzione del dibattito su giovani e stranieri, a livello sia internazionale sia nazionale, e prosegue attraverso la rassegna delle principali ricerche realizzate nel corso degli ultimi anni in Italia, e che termina con il problema della cittadinanza, tassello mancante nella realizzazione di percorsi di completo inserimento, per cui molti adolescenti e giovani figli di padri e madri arrivati d'altrove continuano ad essere stranieri pur sentendosi spesso italiani.
L’inverosimile lettera dello spartano Pausania al re di Persia, i discorsi che si leggono nella Storia di Tucidide, la missiva di Bruto fatta passare per falsa. E ancora la corrispondenza “falsovera” di Grieco, che accese i dubbi di Gramsci; e il celebre “testamento” di Lenin, rimaneggiato da Stalin e inghiottito per anni dalla macchina di partito. Sono solo alcuni esempi clamorosi di doppi giochi e trucchi testuali messi in atto per deviare il corso della lotta politica. Luciano Canfora li esamina in un’indagine sul fi lo del rasoio testuale, e ci guida in un universo dove i lapsus, i periodi che si ingarbugliano e gli errori di scrittura si rivelano preziosi indizi di scottanti verità. Il risultato è un racconto avvincente che mette a nudo miti e leggende e soprattutto dimostra che la fabbrica del falso non conosce soste. Ma che anche il più abile dei falsari si può smascherare.
Cosa si intende per "Libri per tutti"? È una formula di comodo per definire testi riprodotti in serie prevalentemente legati alla consueta forma libro e destinati alla larga circolazione. Stampati, per lo più, ma non esclusivamente, dato che per secoli anche la riproduzione a mano ha potuto garantire una buona diffusione. In altri tempi li si sarebbe chiamati "libri popolari". Ma, com'è noto, l'aggettivo popolare non qualifica esattamente prodotti che, se ebbero e hanno tuttora uso e destinazione popolare, sono altresì caratterizzati da una circolazione in ambiti diversi della società. Popolari quindi, ma non solo. Libri che possono capitare nelle mani di chiunque, dotto o incolto che sia, da non confondere con la moderna categoria del bestseller, legata alla narrativa di consumo dell'età contemporanea, le cui fortune sono destinate ad esaurirsi nel volgere di pochi anni. Una parte significativa di questa produzione è se mai da ascrivere alla tipologia del longseller, ovvero di quei titoli che non compaiono nelle classifiche, ma che restano disponibili negli anni e talvolta anche nei secoli, incidendo con discrezione, ma in profondità, sulle abitudini culturali. I libri per tutti sono in genere destinati alla dispersione. Esiste una sorta di pregiudiziale colta che seleziona la memoria dei libri e delle letture penalizzando sistematicamente i più diffusi e familiari. Spesso non sono venduti nelle librerie, come non sono destinati a venire conservati nelle biblioteche.
IL LIBRO
Il viaggio di John Kampfner comincia da Singapore, paradiso dei consumatori, poi in Cina, da lì in Russia e poi verso il mondo arabo. Non ha come meta quei regimi tirannici che governano con la canna del fucile. È diretto in quei paesi che sostengono di aderire ai valori democratici, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna e poi, tra questi, l’Italia. Perché l’Italia conta, non per una qualche rilevanza geostrategica, ma perché funge da esempio di una democrazia posticcia. John Kampfner non parla di leader o uomini politici. Parla di noi, dei cittadini, e delle nostre priorità. Le domande cruciali sono queste: perché la gente, in tutto il mondo, indipendentemente dalla cultura, dalle circostanze e dalla storia, appare sempre più disposta a rinunciare alle proprie libertà in cambio di ricchezza? Perché ha conferito ai propri leader un potere quasi illimitato di prendere decisioni su questioni riguardanti la libertà? Perché ha venduto la sua acquiescenza in cambio di una coltre di sicurezza temporanea e di una prosperità che si è rivelata illusoria? Perché ha lasciato che la democrazia si tramutasse in qualcosa che non sarebbe mai dovuta diventare: un mezzo per fornire consumi.
INDICE
Prefazione all’edizione italiana - Introduzione - 1. Singapore: modello confortevole - 2. Cina: protagonista defilato - 3. Russia: capitalista rabbioso - 4. Emirati Arabi Uniti: denaro facile - 5. India: alternativa popolosa - 6. Italia: one-man show - 7. Gran Bretagna: Stato di sorveglianza - 8. Usa: sogno infangato - Conclusione: le priorità della gente – Bibliografia - Ringraziamenti - Indice dei nomi e delle cose notevoli
Che i diari di Montanelli siano un’opera a sé, diversa
dalla sua attività giornalistica, letteraria e storica,
mi sembra dimostrato dalla modesta importanza
che gli avvenimenti politici hanno in queste pagine.
Nel diario parlò anzitutto di se stesso.
Sergio Romano
“Milano, 2 giugno. È la festa della Repubblica. Io la celebro ricevendo nelle gambe quattro pallottole di rivoltella, calibro 9. Me le sparano alle 10.10, appena uscito dall’albergo Manin, alle spalle. Aggrappandomi all’inferriata dei giardini pubblici, penso: ‘Devo morire in piedi!’. Questo pensiero stupido, retaggio sicuramente del Ventennio, è forse quello che mi salva: cadendo, avrei probabilmente preso l’ultima scarica nell’addome.” Indro Montanelli ci restituisce il racconto di vent’anni di storia del nostro Paese, vissuti da protagonista e analizzati con sguardo schierato ma sempre onesto, dalla prima linea del fronte civile. Un memoriale in cui sopra gli avvenimenti risaltano le persone: amici e nemici ritratti prima di tutto come uomini, senza falsi buonismi o censure. Il risultato è un affascinante affresco d’Italia, osservata e giudicata con quella dissacrante ironia che l’autore non risparmia neppure a se stesso.
È raro che la stampa e i canali televisivi del nostro Paese, in genere così attenti ai fenomeni del terrorismo e dell’estremismo di matrice islamica, si occupino non superficialmente della vita culturale del mondo islamico, la cui storia straordinaria è di fatto ignorata in Occidente. Eppure la letteratura espressa dai Paesi di cultura araba ha donato al mondo i capolavori delle Mille e Una Notte, la raffinatezza delle maqâmât, l’avvincente narrativa di Naguib Mahfûz, premio Nobel per la letteratura nel 1988… L’invito alla scoperta della letteratura araba, che Argo rivolge con il presente saggio al pubblico italiano, non colma solo un vuoto editoriale, recupera importanti frammenti di storia, non solo letteraria, che ci sono assai meno estranei di quanto si creda. Attraverso le fresche pagine di Heidi Toelle e Katia Zakharia sfilano dinanzi ai nostri occhi poeti preislamici che cantavano gli avventurosi percorsi delle carovane, immaginifici poeti andalusi, audaci geografi, generosi cantori di storie che hanno incantato per secoli ascoltatori e lettori, infine gli scrittori contemporanei che nel loro impatto con la ‘modernità’ hanno re-incontrato l’Occidente.
Guardatevi intorno, nel mondo d'oggi. La vostra casa, la vostra città. Il terreno circostante, con il manto stradale, e il suolo nascosto al di sotto. Lasciate tutto com'è, ma togliete gli esseri umani.
Cancellateci, e osservate ciò che rimane. Come reagirebbe il resto della natura se all'improvviso si trovasse sollevata dall'incessante pressione che esercitiamo su di essa e sugli altri organismi? Quanto ci metterebbe la natura a recuperare il tempo perduto? A disfare le nostre monumentali città, i composti plastici, i rifiuti tossici? Riuscirebbe a cancellare le nostre tracce? E noi, con la nostra arte e le nostre creazioni, lasceremmo una traccia di qualche tipo, nel mondo senza di noi?
Viaggiando attraverso le parti del mondo già «de-umanizzate», e avvalendosi della consulenza di esperti e di una scrittura sobria e coinvolgente, Weisman disegna il pianeta come sarebbe, se un'epidemia o una catastrofe eliminassero per sempre gli esseri umani. E scrive un saggio che indaga il nostro impatto sulla Terra a ogni pagina, che i lettori e i critici hanno da subito avvertito come un punto di svolta, rimasto per mesi in testa alle classifiche di vendita americane.
Per la prima volta i testimoni dell'agguato di via Fani parlano tutti insieme: passanti occasionali, residenti della zona, inconsapevoli protagonisti che hanno potuto osservare il rapimento di Moro, l'uccisione della sua scorta, la fuga del commando brigatista. Testimonianze a ridottissimo rischio di manipolazione, rese nelle ore immediatamente successive ai fatti, prive delle distorsioni e delle ritrattazioni frutto del lungo percorso giudiziario. Parole passate al setaccio, che permettono la messa a fuoco di molti particolari, spesso inediti, raccolti in "presa diretta". L'intera scena del più grave attentato della storia dell'Italia repubblicana è così ricostruita attraverso lo sguardo di chi vi ha assistito. E le sorprese non mancano. La voce narrante e le voci dei testimoni si integrano in un'inchiesta tra saggio e noir. Romano Bianco, giornalista, si interessa al caso Moro da quando, bambino, un suo compaesano venne trucidato in via Fani. Dall'adolescenza legge tutto quello che viene pubblicato sull'argomento.
A volte una vita cambia in un attimo. La sua è cambiata una mattina di ottobre, quando, a Ruyigi, nel Burundi precipitato nel vicolo cieco della guerra civile e sconvolto dall’odio interetnico, settantadue persone sono state massacrate sotto i suoi occhi. Ha visto e udito tutto Maggy. Ha udito le grida. Ha visto membri della sua famiglia partecipare al massacro. Ha sentito il crepitio delle fiamme. E poi, come in un miracolo, ha visto la sua figlioccia, Chloe, rifugiarsi tra le sue braccia, sopravvissuta all’inferno. È stato un segno, un barlume di speranza: in quel momento – dice Maggy Barankitse – ho capito che l’odio non poteva vincere.
Ha iniziato quel giorno, prendendo con sé i venticinque bambini scampati a quell’orrore. In un mese erano già più di duecento. Piccoli traumatizzati, sofferenti di gravi forme di insonnia, ossessionati dalle immagini di vicini diventati improvvisamente nemici. Incurante delle minacce alla sua stessa vita, Maggy ha scelto di vivere con loro, con i bambini, di ogni gruppo etnico e nazionalità. È diventata la donna dei diecimila figli. Perché l’odio non doveva avere l’ultima parola.
Piero Dorfles appartiene a una generazione che è cresciuta e si è formata prima dell'avvento dei computer. Per certi versi è un dinosauro, anche se non è certo un passatista, o un oppositore del progresso. Tuttavia osserva come il declino del valore della cultura, che trova un terreno fertile nell'espansione delle nuove tecnologie, ha avuto un'enorme influenza sui processi della comunicazione e dell'istruzione, oltre che sulla nostra identità e sui rapporti personali.
Prendendo spunto dal cinema, dalla televisione e dai fumetti, Piero Dorfles ci aiuta a capire come le contraddizioni della modernità rischiano di impoverire la nostra vita interiore e il nostro ruolo sociale. Quello che propone Il ritorno del dinosauro - illustrandoci dall'interno il funzionamento delle istituzioni del nostro paese - è una prospettiva in cui la cultura può rappresentare un antidoto all'involuzione in corso. Perché in un contesto in rapidissima mutazione, solo la cultura - ovvero saper progettare il futuro senza perdere il contatto con le nostre radici - può aiutarci a compiere scelte consapevoli e dare un senso e una direzione alla nostra esperienza.
L'imperativo dei nostri tempi, nella vita pubblica come sul lavoro o nella quotidianità più ordinaria, sembra essere quello dell’autenticità. Eppure, come ci mostra Adam Soboczynski in questo testo brillante e provocatorio, in realtà la nostra vita è sempre più governata dalla dissimulazione, dalla capacità di non dire il vero o di nasconderlo a nostro vantaggio. Che si tratti di una donna innamorata da respingere con delicatezza, di un colloquio d’assunzione in cui si è interpellati sulle proprie debolezze o di un rapporto non proprio innocente tra un professore e una sua collega, a farla da padrona è sempre la finzione, il mascheramento delle nostre vere passioni e intenzioni. L’arte di non dire la verità richiede arguzia ed è senz’altro difficile da padroneggiare. Ma non impossibile da apprendere: Soboczynski ce ne offre dovizia d’esempi.