Donna Rachele conobbe Benito sui banchi di scuola, quando aveva otto anni e lui era il supplente. Lo rivide dieci anni dopo e lui chiese con la pistola il permesso di sposarla. In questo libro, attraverso le confidenze del padre Romano e i propri ricordi di bambina, la nipote Rachele Mussolini racconta a tutto tondo la figura della nonna di cui porta il nome: una vita sconvolta da tanti drammi, che la trovò sempre pronta a ricominciare - dalla morte nel 1941 del figlio Bruno al voltafaccia del genero Galeazzo Ciano, dal dolore per l'uccisione del Duce nella solitudine del confino, alle lotte per riavere almeno la salma. Ne emerge il vigore di una donna sempre a fianco di un marito ingombrante, di cui tollerò le avventure per lei insignificanti (le attribuiva alla natura degli uomini di casa Mussolini) ma avversò con furore le maggiori infedeltà, dal tiro a segno per allenarsi a uccidere la Sarfatti all'aggressione a Ida Dalser che si credeva la vera signora Mussolini, fino al faccia a faccia a Villa Fiordaliso con Claretta Petacci, unica vera rivale, in cui si sfiorò la doppia tragedia dell'omicidio-suicidio. Estranea alla politica, fu però abilissima nello smascherare gli intrighi di palazzo, grazie a un'affidabile rete di informatori e al proprio intuito: la fragilità di Hitler, i cospiratori, la sfiducia del Gran consiglio e la trappola del re, le falsità di Badoglio.
Nella vita di Antonio Colucci entrano un giorno, ospiti scomode e inattese, le pale eoliche. Nel suo mondo arcaico quelle pale si muovono senza un perché. Del resto è una ricchezza improvvisa e sconosciuta apparsa nel Sud dell'Italia, dove le pianure non danno da vivere. Ai sindaci il vento piace perché rappresenta una piccola pensione sociale collettiva. Pochi soldi, ma cash, ora che le casse sono vuote. E grazie a quegli industriali che fittano terreni (e coscienze) c'è una fatica in meno da fare: pensare, organizzarsi, cercare il partner, produrre in proprio. È troppo complicato, troppo impegnativo sviluppare un'economia locale fondata sull'energia sostenibile e rinnovabile. Meglio appaltare tutto in cambio di un obolo. Lo Stato ha semplicemente abdicato al suo dovere. Senza mai indicare, valutare, ammettere o respingere, proporre e magari mitigare l'impatto ambientale, dire no qualche volta alle pale. No, qui no. Lì invece sì. Senza cura per il bene di tutti, senza amore per il territorio. Lo Stato ha semplicemente chiuso gli occhi davanti al più grande scandalo di questo inizio secolo. Antonello Caporale, attraverso alcune storie esemplari, in cui si alternano duri toni di denuncia e accenti lirici, ci propone una ricostruzione lontana da ogni forzatura ideologica, dove le vicende dell'eolico finiscono per rivelare la malattia endemica dell'Italia e più ancora il destino a cui è condannato il Sud: bruciare la propria ricchezza senza nemmeno averla riconosciuta.
Pescatori in un arcipelago dello Yemen colpito dallo tsunami, donne analfabete che tentano di lasciarsi alle spalle i burqa nell'Afghanistan post talebano, famiglie sopravvissute a un devastante terremoto in India, bambini minacciati dalla carestia nel deserto della Mauritania, piccole storie fra le capanne di un villaggio del Mozambico, guerriglia in Sud Sudan e, sullo sfondo, il Mediterraneo. Susanna Fioretti racconta missioni umanitarie intrecciate a vicende personali, facendo emergere tra le righe le differenze tra il "nostro" mondo e quello islamico. C'è passione e una vena d'ironia nel modo in cui descrive il lavoro che, per oltre dieci anni, l'ha tenuta lontana da amici e parenti, soprattutto dai figli le cui mail entrano ed escono dalle pagine del libro, insieme a ricordi di un'agiata vita romana e avventure ecologico-sentimentali in un'isola greca alla Durrell. Spesso le rinfacciano: "tutti bravi a occuparsi dei bambini indiani ma ai nostri vecchi chi ci pensa", e lei stessa s'interroga sulla sua scelta, le sconfitte subite, i limiti della burocrazia umanitaria. Perché "cooperando" si diventa responsabili di vite molto fragili, eppure dotate di una forza esemplare. È nello scambio che sta uno dei sensi dell'azione umanitaria, in cui a volte si prende più di quanto si dà.
"Queste pagine non sono una strada obbligata. La persuasione e l'esperienza che ho di ciò che ho scritto, sono proposte agli altri, come elementi che possono esser tenuti presenti per applicazioni, svolgimenti, reazioni. Sono convinto che anche uno che approvasse tutto ciò che ho detto, lo vivrebbe tuttavia diversamente e vi metterebbe qualcosa di proprio, che io non potrei prevedere, e di cui potrei rallegrarmi. Sono arrivato a pensare queste pagine dal vivo della pratica, da problemi trattati, discussi, e da decisioni dovute prendere; così mi sembra che il modo migliore di leggerle sia quello di essere aperti a riferimenti di esse con iniziative e decisioni che il lettore stesso possa prendere": in queste parole è racchiuso lo spirito di questo classico, pubblicato la prima volta nel 1955 e incredibilmente messo all'Indice dei libri proibiti dal Vaticano. Aldo Capitini - filosofo, politico, antifascista ed educatore - affronta i temi a lui più cari: da quelli che riguardano la vita di tutti (la morte, il dolore, l'amore, la prassi religiosa) a quelli più teorico-filosofici come la questione della nonviolenza e il rapporto fra religione e laicità, le forme del cristianesimo e la figura di Gesù Cristo, i preti operai e i cattolici, le relazioni fra Oriente e Occidente e il movimento di Gandhi. Un volume che non ha perso di attualità come testimonianza appassionata per una radicale "trasformazione della realtà stessa".
"Quando lo Stato privatizza una ferrovia, una linea aerea o la sanità, o cerca di privatizzare il servizio idrico integrato (cioè l'acqua potabile) o l'università, esso espropria la comunità (ogni suo singolo membro prò quota) dei suoi beni comuni (proprietà comune), in modo esattamente analogo e speculare rispetto a ciò che succede quando si espropria una proprietà privata per costruire una strada o un'altra opera pubblica". In questo agile volume Ugo Mattei ragiona attorno a un tema di grande attualità internazionale perché pensare ai beni comuni significa "innanzitutto utilizzare una chiave autenticamente globale che pone al centro il problema dell'accesso e dell'uguaglianza reale delle possibilità su questo pianeta". Dalla lotta per l'università e la scuola pubblica a quella per l'informazione critica; dalle battaglie contro il precariato e per un lavoro di qualità a quelle contro lo scempio e il consumo del territorio; dalla lotta contro la privatizzazione della rete internet a quella contro le grandi opere (TAV, Dal Molin, Ponte sullo stretto), i beni comuni ci riguardano da vicino. Ugo Mattei li considera come riconquista di spazi pubblici autenticamente democratici, base per un pensiero politico e istituzionale nuovo e radicalmente alternativo fondato sulla qualità dei rapporti e non sulla quantità dell'accumulo.
Se non avete mai giocato con la forma delle nuvole, vi siete persi un mondo di delizie. Parlo di quando siete diventati adulti, non di quando eravate bambini. Per tutta la vita Pietro Calabrese ha fatto il gioco delle nuvole. Un momento di divertimento puro e fine a se stesso, ma anche di riflessione alta, libera dai condizionamenti della quotidianità. Cercare di indovinare a quale oggetto, persona o animale assomigli una nube in cielo è un trampolino che lancia il pensiero su traiettorie audaci e inesplorate. Insieme è un esercizio della mente che si abbandona così a ragionare di tutto: di vita, bellezza, equità, umanità (e dei loro opposti), solo per citare una manciata di spunti possibili. Questo volume, con un brano inedito, raccoglie pagine che Pietro Calabrese, maestro del giornalismo italiano recentemente scomparso, ha scritto negli ultimi anni della sua vita. Sono digressioni della mente in ogni ambito dell'esistenza - dalla A di Amore alla Z di Zoo, passando per la G di Giustizia, la L di Libri, la P di Politica, la S di Spiritualità... - che ci spingono a ripensare, approfondire, meditare, magari ribaltando le nostre convinzioni. Come lasciandoci andare a un sognante gioco delle nuvole che, però, può poi offrirci una visione più lucida su ciò che ci circonda. Prefazione di Giuseppe Tornatore.
È altissimo, esagerato, il prezzo che i personaggi famosi pagano alla vanità. Stefano Lorenzetto lo ha compreso andando a intervistarli: il musicista Giovanni Allevi ammette d'aver costruito la propria immagine di genialoide usando il balsamo Hydra-ricci della Garnier che "rende il riccio definito"; il ministro Mara Carfagna è contenta delle foto osé scattate quand'era modella perché un giorno potrà dire ai nipoti "guardate quant'era bella nonna"; il fotografo Fabrizio Corona si considera "molto sicuro" di se stesso; la conduttrice Ilaria D'Amico punta a "una vicedirezione reale", magari del Corriere della Sera, in alternativa della Repubblica; la contessa Marta Marzotto confessa che fin da bambina si spediva lettere poetiche e aspettava l'arrivo del postino come se gliele avesse scritte un misterioso spasimante; l'onorevole Vittorio Sgarbi è convinto d'aver propiziato due miracoli, facendo persino uscire dal coma il marito di una sua ammiratrice. Per non finire come i cosiddetti Vip, l'autore di questo libro - vanitoso al pari di tutti i giornalisti - s'è dato una regola: vederli da lontano. E ha deciso di seguire una profilassi che lo porta a evitare il più possibile le liturgie della categoria. Perché L'hybris può diventare una vera e propria patologia psichiatrica, come attesta lo sbando di una società in cui per esistere bisogna apparire: nei palazzi del potere, nei salotti, in televisione o, per i meno fortunati, almeno su Facebook...
Gli ultimi anni hanno visto il ritorno silenzioso dello spirito conservatore: non solo in politica, ma anche nella vita quotidiana gli uomini dell'Occidente sembrano dividersi in due categorie: i conservatori e quelli che si apprestano a diventarlo. Tutti cercano di conservare quello che hanno: la propria bellezza, il proprio corpo, la propria prestanza, il proprio status. Il tempo è il nemico per eccellenza ed è sempre più diffusa una passione nostalgica che ci fa idealizzare quel che apparteneva al passato, nel più sentito scetticismo per il futuro e spesso nella delusione per il presente. Non tutto è male, però, in questa tendenza conservativa, anzi: il passato è da sempre un bene prezioso e forse il '900 ci aveva fatto trascurare le nostre origini e la nostra storia.
L'"Enciclopedia capricciosa di tutto e di niente" è un'opera unica nel suo genere che ci guida in un viaggio virtuale nel mondo e nella vita attraverso una serie di liste che spaziano dalla letteratura all'arte, dal cinema all'abbigliamento, dai cibi ai luoghi, dalle città alle spiagge, ora con leggerezza, ora con accenti sulfurei, ma sempre con passo originale ed elegante. Si succedono così, come in uno specchio in cui ogni lettore può ritrovare se stesso, liste di capitali, di viaggi, di film da salvare per l'ultima sala cinematografica rimasta al mondo... Un'enciclopedia straordinaria, bizzarra e imprevedibile (come potrebbe essere "capricciosa", altrimenti?), in cui non manca neppure una "Lista degli uomini vestiti nel modo più ridicolo", tra cui spiccano David Beckham e Silvio Berlusconi... Un libro che è anche un ritratto a tutto tondo del suo autore: Charles Dantzig, uno dei più raffinati letterati contemporanei d'Oltralpe. E allora il libro si trasforma, sotto gli occhi del lettore inconsapevole, in un'autobiografia sorprendente in cui si parla di popoli, di amicizia, di luoghi e di ossessioni. Insomma, uno strumento indispensabile per affrontare una vita che "finirebbe per ucciderci, se la lasciassimo fare".
Nelle ultime tre decadi del XIX secolo il mondo sprofondò in un periodo di globale instabilità e di forte recessione. E mentre il capitalismo continuava ad allargare l'abisso tra ricchi e poveri, dalla Russia all'Europa occidentale e all'America, i governi, già sconvolti da drammatici mutamenti geopolitici, si vedevano minacciati da crescenti conflitti sociali e dall'ascesa del socialismo. Su di loro incombeva lo spettro dell'Anarchico e l'ombra del terrorismo internazionale. Zar e imperatori, presidenti e plutocrati, borghesi che si riunivano nei teatri e nei caffè, tutti potevano cadere vittime di attentati. Era un nuovo tipo di Terrore, che poteva colpire ovunque, permeando profondamente l'immaginazione dell'epoca. La sua amia più micidiale, tuttavia, accanto a pistole e dinamite, era la paura stessa: un aspetto che non sfuggi a coloro che i potenti dovevano proteggere. E in un'era di credulità, in cui prosperavano falsari e imbroglioni, furono molte le trame ordite dai capi di polizia e dai loro agenti provocatori. Anzi, fu proprio a partire dalle azioni compiute da questi individui dimenticati che si svilupparono i pericolosi deliri di una cospirazione planetaria che avrebbe avvelenato il secolo seguente. Mirabile esplorazione di un'epoca cruciale della storia, .Il mondo che non fu mai. racconta in che modo le vicende degli anarchici (variamente mescolati a cospiratori e terroristi) si intrecciarono a quelle delle polizie e degli agenti segreti dei governi al potere.
Virginia Woolf non fu solo la grande romanziera che tutti conosciamo, ma anche una raffinata saggista, una critica acutissima, un'instancabile pubblicista. Lettrice onnivora e anarchica, cercò nei libri "una forma per il caos", vi trovò universi abitati da creature umane, con cui intrecciare ininterrotte conversazioni. Fin dalle prime recensioni lavorò senza pregiudizi: che si trattasse di epistolari, memorie o biografie, saggi critici o romanzi, autori celebri o emeriti sconosciuti, lo studio preparatorio era accurato, il giudizio schietto. La curiosità la guidava senza alcun preconcetto, alimentava i suoi piaceri più intensi, leggere e scrivere, due atti annodati fra loro, due oscure potenze che, fino alla fine, si definirono e si alimentarono reciprocamente. Le qualità della sua penna erano forza, grazia e trasparenza. La sua lingua, ironica e originale, ha attraversato il tempo e lo spazio con una immediatezza folgorante. Femminista, nel senso proprio della consapevolezza di essere una donna, dalla sua scrittura non traspare mai una lagna, nessuna recriminazione, con lei vediamo al lavoro un occhio lucido e spietato, che non perdona, ma spesso sorride e fa ridere. "Pensare le cose come sono" e "dire la verità" le bussole di sempre. In una parola, integrità: "Seguire il proprio istinto, usare il proprio cervello, trarre le conclusioni da soli".
Mondo religioso e mondo secolare sono davvero così distanti e inconciliabili? La fede deve per forza rimanere relegata in ambiti dell'esperienza preclusi ai non credenti? Alain de Botton è sicuro di no. Secondo l'autore, infatti, "si può rimanere atei convinti riuscendo, almeno sporadicamente, a trovare nella religione una qualche utilità, un qualche motivo di interesse o fonte di conforto, e prendendo in considerazione l'ipotesi di adattare alla vita laica alcune norme e consuetudini religiose". Osservando senza pregiudizi l'ascendente che le istituzioni religiose esercitano sui fedeli, De Botton si interroga sull'opportunità di sfruttare certi meccanismi - spogliati del loro lato trascendente - per contrastare la disgregazione del senso di comunità nella società laica moderna, e per far fronte alle fragilità che minano l'equilibrio di tutti gli esseri umani. La complessità liturgica della messa, per esempio, con le sue norme ben definite a regolare le interazioni tra sconosciuti, può aiutare a cementare lo spirito di gruppo, mentre festività come lo Yom Kippur dimostrano che l'elaborazione istituzionalizzata di sentimenti negativi come la rabbia è un espediente efficacissimo per la risoluzione dei conflitti sociali. È anche nel campo dell'istruzione, quale potenziale dirompente avrebbe un corso universitario che insegnasse a leggere i classici per rispondere ai bisogni dell'anima, adottando Madame Bovary e Anna Karenina come libri di testo sulle difficoltà del matrimonio?