È dalla città di Erbil, capitale della Regione Autonoma del Kurdistan, che inizia il viaggio dell'autore, lungo la linea che divide le forze curde dai miliziani neri di Da'ish, lo Stato Islamico: un viaggio che lo ha portato fra i peshmerga del Krg, soldati per tradizione e abitudine; fra i nostri paracadutisti della "Folgore", professionisti che li addestrano a combattere utilizzando le tattiche più moderne ed efficaci; fra i guerriglieri del Pkk, in Iraq e in Siria, per i quali respingere gli integralisti del califfato è solo un nuovo capitolo della lunghissima lotta per la libertà. Un reportage teso e affascinante per aiutarci a capire questa guerra e il modo in cui viene combattuta dagli uomini e dalle donne di un popolo coraggioso, che sta conquistandosi la gratitudine del mondo pur non avendo ancora una vera patria.
Stampanti 3D che "fabbricano" bistecche a partire da asettiche cellule di carne. Multinazionali che con la mano destra producono Ogm e con la sinistra distribuiscono pesticidi. Aziende che con i loro tentacoli arrivano ovunque (agroalimentare, ittica, confezionamento, ricerca, finanza,...) e trattano gli alimenti all'insegna del principio "massimo risultato col minimo sforzo", come un qualsiasi altro prodotto commerciale. "Lo spirito del profitto ha conquistato in poche decine di anni tutti gli strati della società rurale, scrivono gli autori di questa documentata inchiesta. Ne constatiamo oggi i risultati: estinzione di specie, avvelenamento della biodiversità, incidenti sanitari, distruzione o accaparramento di quei beni comuni che sono l'acqua, l'aria, il suolo". Cosa fare di fronte a questo spirito predatorio del capitalismo applicato all'antica arte del cibo? Anzitutto tornare a Socrate, il quale già a suo tempo sosteneva che "nessuno può dirsi politico se non conosce il commercio dei cereali". Ovvero, sapere che l'economia del cibo gioca un ruolo enorme nella convivenza umana. Bisogna conoscere la verità di quel che mangiamo, per decidere in consapevolezza come e di cosa nutrirci. È necessario combattere con gli strumenti della cittadinanza attiva le derive dell'agrobusiness. Alle quali ci si può (pacificamente) ribellare, come suggeriscono Bové e Luneau. Perché la prima libertà da riprenderci è quella di decidere noi cosa metterci in tavola.
Nel 1905, all'età di trentun'anni, Gilbert Keith Chesterton riunisce in un unico volume gli articoli scritti per il liberale "Daily News". Nasce così Eretici, in cui il "principe del paradosso", facendo sfoggio di tutta la sua tagliente ironia, passa al vaglio le più importanti figure del suo tempo, in particolare del mondo della letteratura e dell'arte: Rudyard Kipling, Gorge Bernard Shaw, H. G. Wells, James McNeill Whistler. Ciò che soprattutto gli interessa è però combattere le "eresie" di cui si fanno banditori o interpreti e che si riflettono in quelli che l'autore identifica come i grandi mali della modernità: la cieca fede nel progresso, lo scetticismo, il determinismo, la negazione dell'esistenza di Dio e dei valori fondamentali del cristianesimo. Frutto di un sapiente dosaggio di umorismo e buon senso, "Eretici" suscitò le ire di alcuni critici, perché condannava le filosofie coeve senza fornire alternative. Lo scrittore inglese decise quindi di replicare qualche anno più tardi con un altro celebre titolo, "Ortodossia", di cui questo resta l'essenziale premessa. Prefazione di Roberto Giovanni Timossi.
I "dàimon" per i filosofi greci erano gli esseri superiori, a metà strada fra il divino e l'umano; per Bloom sono gli scrittori dotati di un'intensità tale da elevarli verso il sovrasensibile: Whitman, Melville, Emerson, Dickinson, Hawthorne, James, Twain, Frost, Stevens, Eliot, Faulkner e Crane. Ritroviamo un'idea di letteratura esigente, idiosincratica, che è sempre anche una "guerra del gusto". Ma quando Bloom spiega perché l'amore per un poeta non si può spiegare, o perché Whitman gli ha letteralmente salvato la pelle, è chiaro che il merito principale di questo libro è di regalare ancora una volta il racconto di un'esperienza di lettura unica, non tanto diversa dalla vita, che fa corpo con la vita.
Dacché Nabucodonosor elevò i giardini pensili di Babilonia pur di lenire la nostalgia della sua sposa per le colline dell'infanzia, il giardino è sempre stato una seconda natura, foggiata dall'uomo in base alla sua cultura ed esperienza. Ma di questi tempi il giardino è anche un campo di battaglia ideologico ed etico fra l'"utopia suburbana" del prato sempre perfettamente curato e la ribellione antinomiana dei cultori della wilderness, discepoli di Thoreau. Per fortuna esiste un terzo partito - quello che fu, ad esempio, di Alexander Pope, che agli architetti del paesaggio suoi contemporanei consigliava semplicemente: "Consulta sempre il Genio del luogo". Pollan - che di Pope condivide l'ironia e il buonsenso, oltre che il piglio eclettico da filosofo, umorista, narratore e polemista - sa da quale parte schierarsi, e lo fa nel modo che più gli è congeniale: con questo volume, che riesce a essere al tempo stesso esilarante autobiografia, racconto di un'odissea intellettuale e brioso trattato di giardinaggio empirico-teorico.
Luisa Bove in questo libro dà voce a Giulia, vittima fin dall'adolescenza di un abuso sessuale subito da parte di un sacerdote; la narrazione in prima persona restituisce senza sconti il dramma della protagonista e il suo lento percorso di rinascita. Le biografie delle persone che sono state vittime di abuso sono uniche. Ci sono coloro che soffrono per tutta la vita per le conseguenze psichiche, relazionali e fisiologiche degli abusi subiti. Alcuni commettono suicidio, altri non si fidano più di nessuno e rimangono isolati, altri ancora diventano molto aspri e arrabbiati, mostrando la propria rabbia anche sui media. Ci sono vittime - non sappiamo realmente quante siano - che per "caso", per "fortuna" oppure per Provvidenza trovano le persone giuste nel momento giusto e le circostanze propizie. Questo permette loro di intraprendere un cammino di comprensione e di lutto per il passato, di ri-orientamento del presente (liberato da questo macigno) e di possibile riconciliazione per un futuro più sereno (Hans Zollner). In queste pagine troverete il crudo racconto dei fatti e l'evoluzione delle domande profonde che Giulia si sta ancora facendo: la sua vita interiore è in cammino. E rimanere in cammino non è per niente scontato dopo fatti così gravi (Anna Deodato).
"Hanno mente sveglia e atteggiamenti aperti. Continuano a guardare il mondo e a imparare. Si lamentano poco. Aiutano gli altri a capire e a fare cose giuste. Con questo libro voglio raccontare come si fa a diventare un vecchio così. È possibile rendere la nostra vita più sana, più saggia, più soddisfacente, mentre sta diventando sempre più lunga." Roberto Vacca, 88 anni, testimonial esemplare di come vivere una "iucunda senectute", condivide il suo segreto con i lettori. I consigli pratici che dà sono numerosi e mai scontati. Il buon uso del tempo libero, l'aiuto inaspettato che può arrivare dal computer (e come usarlo senza traumi), i metodi per tenere in forma la mente (anche con la proposta innovativa delle "palestre mentali"), le buone abitudini per aiutare il fisico, le indicazioni per non diventare scorbutici, essere creativi, godersi il sesso. Ma un consiglio certamente li sovrintende tutti: per rimanere giovane per sempre devi continuare a imparare, non devi far spegnere mai la fiamma della curiosità. Solo così potrai sperimentare quali inaspettati piaceri può riservarti l'età: il piacere di inventare, di sfoggiare, di amare.
Un milione di migranti in Europa nel 2015: è giusto definirlo un assedio? O sarebbe più corretto parlare di "sindrome dell'assedio"? Massimo Franco racconta le ambiguità e le contraddizioni di questa "parola-matrioska" che porta in sé tanti significati diversi. L'immigrazione, secondo lui, è il riflesso di un assedio all'Unione Europea che ha avuto inizio qualche anno fa e che è condotto non solo da fuori ma anche dal suo interno. I migranti sarebbero quindi il sintomo e non la causa dello sconvolgimento in atto, gli acceleratori di cambiamenti e difficoltà cominciati ben prima. La tendenza, oggi, è quella di farne invece facili capri espiatori. In realtà, i profughi e i clandestini che arrivano da Siria, Iraq, Africa subsahariana e Maghreb sono gli ultimi assedianti, in ordine di tempo, dell'Europa. Nel passato recente, i colpi al mito del "Continente perfetto", alla sua stabilità, sono venuti proprio dagli Stati membri: dai nazionalismi cresciuti nelle pieghe della crisi economica e di antichi e nuovi pregiudizi. E nella loro scia è emerso un populismo che usa una migrazione epocale come pretesto per politiche sempre più autarchiche. Ne emerge una transizione caotica, per l'incapacità dei governi di prevederla e di coglierne i vantaggi, senza dimenticare che alcune crisi mediorientali sono state aggravate dagli errori strategici dell'Occidente.
In diverse occasioni, soprattutto nelle Lettere morali a Lucilio, Seneca fornisce dettagli sulla sua vita privata e sulle sue abitudini alimentari. Se i suoi contemporanei prediligono tavole imbandite con ostriche di lago e carne di cinghiale, lingue di fenicottero e vini addolciti dal miele, il filosofo opta per la frugalità di brodini e polenta, pane d'orzo e acqua semplice. Seneca ritiene, infatti, che il cibo rappresenti un'occasione per esercitare la virtù, per separare ciò che è essenziale da ciò che non lo è, un esercizio che presenta diversi punti di contatto con i precetti sui cibi della tradizione ascetica e monastica cristiana.
Possiamo dirci ancora liberi nella società digitale? Ciascuno di noi è sempre più insidiato da forme di controllo sottili, pervasive e capaci di annullare ogni possibilità per l'individuo di costruirsi liberamente. Le nuove tecnologie, pur offrendoci straordinarie potenzialità, rischiano di imporci nuove schiavitù se non riusciamo a proteggere, con i nostri dati, noi stessi e la nostra libertà. Dal giornalismo ai social network, dalla profilazione commerciale alle intercettazioni, dalla trasparenza al diritto all'oblio, questo libro dimostra che nella società digitale noi siamo i nostri dati. Eppure, "liberi e connessi" non può essere un ossimoro: "Dobbiamo coltivare l'ambizione di essere partecipi della piazza globale e, insieme, orgogliosi difensori dei nostri diritti. Della privacy in primo luogo, che è il nuovo nome della libertà".
Al contrario dell'antropologia moderna, che va il più lontano possibile, verso le "culture altre", il discorso antropologico di Girard si concentra su ciò che è più vicino e a portata di mano. Girard difatti non pone distinzioni fra le diverse culture, in quanto le ritiene parte di una stessa umanità fatta della medesima stoffa antropologica. Anche per questo non c'è bisogno di nessun "lavoro sul campo", visto che i testi di riferimento si trovano anzitutto all'interno della nostra tradizione culturale: i tragici greci, la Bibbia, Shakespeare, il romanzo moderno. I miti d'origine raccolti in questo volume, una serie di saggi apparsi nel tempo in diverse antologie, approfondiscono e chiariscono l'analisi condotta nelle sue opere maggiori. Il mito ha un ruolo centrale nella teoria girardiana del "capro espiatorio". È il momento finale, di sistematizzazione narrativa del dramma appena compiutosi all'interno della comunità: un processo di trasformazione del presunto colpevole in eroe o dio (sacro in quanto purificato). Insomma, l'ordine culturale umano scaturisce dalla ritualizzazione del sacrificio iniziale, e il mito quindi non è altro che il resoconto di quell'evento fondativo.