La lectio divina è una «lettura spirituale», una «lettura orante» della Parola di Dio, che vuole «riaprire all'uomo l'accesso al Dio che parla nella Bibbia e ci comunica il suo amore perché abbiamo la vita in abbondanza» (Verbum Domini 2). È una pratica antica, che affonda le sue radici nella tradizione monastica. Come può essere però compatibile con le esigenze dell'esegesi moderna e dell'attuale vita cristiana? Dom Bernardo Olivera, già abate generale dell'Ordine dei Cistercensi, la ripropone in questo piccolo ma appassionato libro non come un metodo scientifico, ma come uno strumento che lui stesso ha appreso dall'esperienza e affinato nel corso del tempo: una lettura delle Scritture che mira non all'informazione ma alla formazione, non alla conoscenza ma alla libertà della persona e alla sua trasformazione. Dom Bernardo ci guida in una profonda e coinvolgente immersione nella Parola rivelata così com'è stata compresa dalla tradizione: da essa il lettore ritornerà al presente arricchito della sapienza del passato e saprà orientare al meglio il proprio futuro.
La famiglia è - caso più unico che raro - una struttura primaria che esiste in tutte le società. Qui si assolvono le funzioni della riproduzione, della crescita e della socializzazione dei bambini e al contempo quella della stabilizzazione della personalità degli adulti. Da sempre al suo interno si giocano dinamiche cruciali che tornano ciclicamente al centro del dibattito pubblico: il confronto e la relazione tra i sessi, la gerarchia e la costrizione dei ruoli, la costruzione dell'identità e il senso di appartenenza. Simbolo del calore umano, luogo di consuetudini complici e di un vocabolario intimo, la famiglia vive di un equilibrio costante tra ricerca di fusione e bisogno di autonomia. Capace di creare alleanze per la vita ma anche di alimentare rivalità distruttive, la famiglia può proteggere i suoi membri, aiutandoli a costruire identità serene e sicure, oppure controllarli e costringerli in ruoli estranei e dolorosi. Con il ricorso esemplare a film e romanzi che fanno parte del nostro comune immaginario, Anna Oliverio Ferraris - esperta delle dinamiche famigliari con alle spalle una lunga e solida esperienza accademica e psicoterapeutica - ripercorre, nel tempo e nello spazio, l'evoluzione di questo strano costrutto sociale che è la famiglia, per mostrarcene la natura permeabile, flessibile e plastica.
Sulla scena della storia, e soprattutto in questo nostro tempo disincantato e disorientato, sono tanti i momenti di buio che fanno parlare di morte di Dio, di silenzio divino, di notte della fede. Auschwitz, Hiroshima, i gulag, il terrorismo, la pandemia, ma anche l'esperienza dei dolori personali, l'angoscia del vivere quando il caos e l'assurdità sembrano avere la prima e l'ultima parola: tutto questo può portare a concludere che Dio sia lontano, nascosto. O che non esista. E, d'altra parte, le certezze delle routines spirituali, la verità rigida dei fondamentalismi, ma anche l'entusiasmo di una fede troppo facile finiscono per sfociare in una chiusura che impedisce di assaporare un vero incontro con Dio e con gli altri che lo cercano magari senza esserne consapevoli. Di fronte a questo stallo oggi più che mai evidente, Tomás Halík torna a invitarci a un cambio di prospettiva. Dio è mistero, e sia l'ateismo sia la fede intransigente mostrano l'impazienza di risolverlo. Troppa impazienza. Perché di fronte a un mistero occorre soffermarsi sulla soglia, serbarlo nel cuore come Maria nel Vangelo, attraversare il deserto e l'oscurità come Israele nell'esodo. Occorre avere «pazienza con Dio», che ci viene incontro nell'attesa, perché Lui per primo è paziente con noi, crede in noi. È qui che Halík ci parla di Zaccheo, il piccolo pubblicano che cerca confusamente Gesù ed è sorpreso dalla fiducia del Signore che lo chiama per nome e si invita alla sua tavola. E ci chiede di riconoscere gli Zacchei di oggi, quei 'cercatori' non credenti o credenti in un modo diverso che come noi sono in viaggio, qualcosa li attira, accanto a loro passa qualcosa di fondamentale. Forse dimostreremo allora la vicinanza di Dio cercando insieme a chi cerca, interrogandoci insieme a chi domanda, facendo di questi Zacchei i nostri prossimi. Uscendo dalle porte chiuse delle nostre certezze per andare insieme dove Dio ci precede e ci aspetta.
Presente nelle prime due edizioni di Spirito dell’utopia (1918 e 1923), questo testo, qui per la prima volta in traduzione italiana, fu espunto da Bloch nell’edizione del 1964. Una vicenda editoriale spia della lacerata relazione tra Bloch e l’ebraismo. Un testo che conferisce la funzione di simbolo alla figura dell’ebraismo perché depositaria di uno slancio inesausto verso l’ulteriorità, verso l’“oltre” di un futuro che sempre soltanto si annuncia, e sempre esorbita quanto si è realizzato. Ma anche la vicenda storica degli ebrei sarebbe parimenti simbolica perché ciò che è avvenuto, e ancora avviene, agli ebrei compendia esemplarmente, anticipandolo, quanto diviene sempre più leggibile nella globalità della storia. In tal senso, l’ebraismo configura lo spazio privilegiato nel quale si può cogliere, e per Bloch è stato effettivamente così, l’intuizione della dinamica intrinseca al pensiero utopico. Un pensiero che è un cristallo apocalittico di speranza e disperazione.
ERNST BLOCH (1885-1977), filosofo marxista eterodosso, è stato uno dei massimi pensatori del Novecento. Tra le sue opere più note tradotte in italiano: Soggetto-Oggetto. Commento a Hegel (il Mulino, 1975); Spirito dell’utopia (La Nuova Italia, 1980); Il principio speranza (Garzanti, 1994).
A cinque anni di distanza dal suo primo, fortuito, caso criminale, Pellegrino Artusi è ospite di un antico castello che un agrario capitalista ha acquisito con tutta la servitù, trasformando il podere in una azienda agricola d'avanguardia. È stato invitato perché è un florido mercante, nonché famoso autore della Scienza in cucina e l'arte di mangiar bene. Oltre al proprietario, Secondo Gazzolo, con la moglie, completano il gruppo altri illustri signori. Il professor Mantegazza, amico di Artusi, fisiologo di fama internazionale; il banchiere Viterbo, tanto ricco quanto ingenuo divoratore di vivande; il dottor D'Ancona, delegato del Consiglio di Amministrazione del Debito Pubblico della Turchia; Reza Kemal Aliyan, giovane turco, funzionario dello stesso consiglio; il ragionier Bonci, assicuratore con le mani in pasta; sua figlia Delia che cerca marito ma ancor più avventure. Riunisce tutti non solo il fine conviviale, ma anche un affare in fieri. Sono infatti gli anni d'inizio secolo in cui la finanza europea si andava impadronendo del commercio internazionale del decadente Impero Ottomano. Accade che, tra un pranzo, un felpato attrito di opinioni e interessi, un colloquio discreto, viene trovato morto un ospite; è chiuso a chiave in camera da letto ma il professor Mantegazza è sicuro: è stato soffocato da mani umane. Circostanze che non collimano, passaggi segreti, colombi viaggiatori, tresche clandestine, fanno entrare ed uscire dalla scena, o agire coralmente, i personaggi, con la vivacità di un teatro brillante. E si adatta al luogo una sfumatura di gotico, in ironico contrasto con l'atteggiamento scientista all'epoca di gran voga. Marco Malvaldi, l'autore, si sente a proprio agio nell'ambiente fiduciosamente positivistico dell'epoca, rappresentato con allusiva esattezza (nell'epilogo del romanzo si spiega come tutto il contorno è storicamente vero). D'accordo con il suo eroe Pellegrino Artusi considera la buona cucina una branca della chimica, una scienza complessa, rigorosa e stuzzicante quanto la sublime arte dell'investigazione.
«Pierre è tutto forza, muscoli, salute. Charles è il cervello della famiglia!» diceva la gente. Tant'è che se Pierre aveva preso il brevetto di capitano era stato solo grazie all'aiuto di Charles. Dei gemelli Canut, tutti preferivano Pierre, «Pierre che viveva appieno la vita, Pierre che era bello, che era forte, Pierre che sorrideva sereno scrutando l'orizzonte e ispirava una fiducia immediata, un'immediata simpatia!». Mentre Charles, che era debole di petto e non poteva lavorare sui pescherecci come la maggior parte degli uomini di Fécamp, rimaneva nell'ombra del fratello. Per di più, era uno che «temeva di offendere le persone, di dar loro un dispiacere» - uno che non faceva altro che scusarsi. Eppure, il giorno in cui Pierre viene arrestato con l'accusa di aver ucciso l'ultimo dei superstiti del naufragio in cui il padre, trent'anni prima, aveva perso la vita in circostanze mai chiarite (si sospetta un caso di antropofagia), Charles decide di «sbarazzarsi di se stesso, di quel Canut timido e dimesso» che è sempre stato e di dimostrare a tutti di che cosa è capace: sarà lui a smascherare il vero assassino e a salvare il fratello! Ma nessuno come Simenon sa che non ci si sottrae al proprio daimon, e che gli dèi si divertono a vanificare i nostri sforzi più generosi. Due ragazzi segnati dalla morte atroce del padre, una madre impazzita dal dolore, un feroce omicidio: questi gli ingredienti di un romanzo di fenomenale potenza.
«Pensiero concretissimo, pensiero che ha illuminato l'essenza del nostro presente più di centurie di economicismo e sociologismo. Che ne ha messo in luce il radicale, compiuto nihilismo, che lo ha affrontato nelle sue origini storiche e metafisiche. Il nihilismo che ci mette costantemente in debito, abitanti una vita che non è nostra, che è destinata a dissolversi come dal nulla è venuta. Il nihilismo che non ci permette neppure di pensare alla Gioia, alla Gloria, all'Eterno. Inattualità poderosa, monumentale della grande opera di questo Maestro. Cosa è possibile comprendere del dramma dell'epoca se non si legge Heidegger contra Severino? Manca il controcanto a tutte le correnti fondamentali della filosofia o post-filosofia del Novecento, se non si comprende Severino... di Verità era affamato Severino. E questa fame ha cercato, disperatamente forse, di comunicarci lungo tutta la sua vita, con le migliaia e migliaia delle sue pagine che vivono e vivranno». (Massimo Cacciari)
Il romanzo prende spunto da un'antica tradizione cristiana, secondo cui l'apostolo Giovanni avrebbe vissuto i suoi ultimi giorni nell'isola greca di Patmos. Nelle memorie di Ermogene, un contadino del posto, la vita di Giovanni si fonde con quella di Gesù, degli altri discepoli e del tempo in cui essi vissero, in una narrazione di ispirazione biblica che riporta in vita alcuni personaggi chiave della cristianità. "Il vegliardo di Patmos" è un'opera dal respiro antico, ma che mantiene il soffio di vitalità e attualità proprio di certi eventi che oltrepassano gli anni e i secoli, proiettati negli orizzonti infiniti.
Lo scopo del vasto e competente lavoro del botanico e cultore biblico, il danese Hans Arne Jensen, è introdurre il lettore nell'affascinante mondo delle piante nella Bibbia. In particolare, gli appassionati di botanica, archeologia o storia potranno trovare argomenti di interesse in questa pubblicazione, poiché si fa riferimento sia al ricco utilizzo di piante nella Bibbia sia all'uso di piante nelle coeve circostanti culture, grazie ai ritrovamenti archeologici in Israele e zone limitrofe. La descrizione delle piante e del loro impiego è affiancata da preziose illustrazioni, alcune contemporanee al testo biblico. Viene quindi data una descrizione del contesto in cui la specie, o un suo prodotto, viene citata nella Bibbia. Lo scopo è quello di includere tutti i riferimenti relativi possibili, in modo tale da fornire armonia alle piante bibliche.
In letteratura, il viaggio è un filo rosso ricorrente, e l'avventura, per terra o per mare, assume infinite sfumature e registri narrativi diversi: dal diario al memoir, dal romanzo al reportage, dal giallo al fantasy. Il viaggio, in letteratura, unisce il reale all'irreale, includendo l'incontro con l'inconsueto e il magico, fino ai confini dell'immaginazione, nelle terre sconosciute e nelle isole che non ci sono. In questa insolita guida, le voci di oltre centocinquanta scrittori di ogni nazionalità ed epoca storica, accostate in un mosaico variegato, accompagnano il lettore in un vero e proprio tour narrativo intorno al mondo, alla scoperta di città, paesi, terre emerse e sommerse. È una trasvolata nel tempo e nello spazio, unica nel suo genere per varietà di generi, opere e letterature. Racconti e descrizioni si snodano attraverso i cinque continenti fino alla geografia delle terre misteriose della fantasia. L'invito a chi accosterà queste pagine è quello di lasciarsi avvolgere dalle atmosfere dei luoghi, scoprendo il desiderio di visitarli, ma anche di lasciarsi incantare dal fascino letterario degli scritti per ritrovare gli autori e i capolavori che li hanno generati.
L'essere umano si percepisce da sempre creatura fragile e fin dalla preistoria ha sentito in sé l'anelito verso un Essere superiore a cui confidare le proprie paure, le proprie speranze, i propri desideri e, sovente, anche la propria sofferenza. La preghiera si è servita nei secoli - e si serve tutt'oggi - di modalità espressive diverse. Eppure, la preghiera che si nutre di parole resta il mezzo principe di questo dialogo con l'Altissimo, uno dei linguaggi più utilizzati in ogni epoca e latitudine. In questo piccolo breviario di oltre trecento preghiere, attinte a tutte le tradizioni religiose, sono riunite invocazioni per richiedere sostegno nei momenti difficili di malattia, sventura e afflizione, ma anche magnifiche espressioni di lode e ringraziamento per gioie inaspettate, guarigioni insperate, consolazioni ricevute. Dal cristianesimo all'ebraismo, dal buddhismo all'islam, dalla spiritualità induista fino alle culture dei nativi d'America, senza tralasciare i culti di antiche civiltà o le formule di devozione più "laica" di filosofi e scrittori moderni, questo libro ci accompagna in un lungo viaggio attraverso le religioni dell'umanità e la loro costante ricerca di un senso al grande mistero del dolore.
Nei commentari e negli articoli l'accostamento di due termini è il più delle volte definito sinonimico, senza delimitarne l'area di sinonimia e trascurando le ragioni dell'adozione di quei termini che a prima vista possono apparire commutabili. Il punto di partenza della ricerca, perciò, non poteva che concentrarsi nel capire con esattezza quale concetto avessero gli antichi del significato delle parole e come tale concezione ne determinasse l'uso e l'accostamento sinonimico. Per accostarsi quanto più possibile alla loro riflessione Chiorrini si è avvalsa anche della mediazione dei Lessici bizantini, pur stante l'eterogenea provenienza del loro contenuto, e delle antiche versioni. La ricerca ha consentito non solo di definire con maggiore precisione l'uso della figura della iterazione sinonimica nella Lettera e contemporaneamente i significati degli stessi termini adoperati, ma, acquisizione non secondaria, di tracciare contorni più marcati dello stile dell'autore dello scritto. Questo volume si candida ad essere punto di riferimento per chi studierà in futuro la Lettera di Giacomo, ma se ne consiglia vivamente la lettura o la consultazione anche ad autori interessati agli altri scritti del Nuovo Testamento, in virtù proprio del modello di analisi lessicale adottato (dalla Presentazione di Rosario Pierri ofm).