Le fotografie dal film "Fratello Sole Sorella Luna" di Franco Zeffirelli, illustrano il cammino di Francesco quando fa rinascere il cristianesimo in una Europa ricca e potente ma sul punto di dimenticarlo. Accanto alla ricchezza c'era oppressione e miseria e si diffondeva ovunque una sfiducia nella bontà della creazione, un'ombra di cupo pessimismo. Francesco, dopo un'esperienza terribile, ha un'illuminazione e annuncia la gioia, la gloria, la bellezza, la perfezione del creato, fa sentire che l'amore di Dio pervade ogni cosa e, di contro la tronfia orgogliosa inutile avidità degli uomini. Si ribella alla schiavitù imposta ai servi e ai miseri, li libera, poi se ne va da Assisi senza nulla, nudo, per costruire la sua chiesa e il suo movimento fino a chiedere al Papa di riconoscerlo; lo ottiene perché la sua innocenza, la sua sincerità, le sue parole fanno breccia nel cuore di Innocenzo III, il più potente papa del secolo. Gli recita il brano di Matteo, dei gigli di campi e il grande Papa, commosso, lo abbraccia.
Il mondo di Tony Pagoda è grande, non si lascia contenere da un solo libro. E così eccolo di nuovo, presentato dall'ex cognato Ughetto De Nardis. Ughetto parla di "nuove esperienze" che a lui non sono piaciute per niente. Noi possiamo, con Pagoda, parlare di vecchi e nuovi amici, di tutti gli incontri che Tony ha continuato ad avere nel mondo che più gli piace, quello compreso fra lo spettacolo di chi fa spettacolo e lo spettacolo delle vite pubbliche. Fabietto e Carmen Russo, il mago Silvan e Tonino Paziente, Maurizio Costanzo e Jacqueline O'Rourke. Ogni occasione è buona per far mostra di una copiosa morale dell'assurdo che è diventata cifra stilistica, segno inconfondibile. Tony Pagoda non teme la risata, non teme la lacrima, non teme la sprezzatura, o lo sfottò. Con lui ci facciamo portare dentro un'umanità che mai avremmo visto così, con cui mai avremmo pensato di compatire. Ma questa volta è come se la voce di Tony raddoppiasse in quella del suo creatore, che infatti sentiamo arrivare, più si avvicina il congedo, ad aprirsi un varco, a lasciare un'impronta. Interprete del nostro tempo, Tony Pagoda è pur sempre il protagonista, lui e le sue tirate, come Falstaff: "L'umanità, dunque, è miserabile. Non si discute su questo. Eppure, non è stato inventato ancora niente di meglio. Perché, quando si palpita, si palpita. Tutte le emozioni della vita non hanno senso. Si addizionano tra loro, incongrue, per accumulo. Compongono la vita, come una lista della spesa. E questo, infine, è il senso".
Carlo Verdone si racconta per la prima volta in un flusso di ricordi ricco, sorprendente, tenero ed esilarante. Si parte dalla giovinezza e dal vissuto nella mitica casa paterna, grande protagonista del libro: l'incontro con Vittorio De Sica, il rapporto con i genitori e i fratelli, gli scherzi (tanti, fulminanti), le prime esperienze sentimentali ma anche i drammi famigliari. E poi il cinema: i primi passi al Centro Sperimentale sotto la guida di Roberto Rossellini, la genesi dei film, i retroscena, gli aneddoti più inediti e divertenti, il rapporto con gli attori. Quindi le amicizie che hanno segnato la sua vita: Sergio Leone, Federico Fellini e Massimo Troisi. E senza tralasciare il grande amore di Carlo per la musica: i primi concerti di Beatles e Who, gli incontri con David Bowie, David Gilmour e Led Zeppelin. Un libro per scoprire un "privato" inedito e i molteplici aspetti di un regista, attore, autore che ha ammaliato, divertito, fatto riflettere generazioni di italiani. Un artista che - attraverso la sua trentennale carriera - ha tracciato un formidabile, lucido, disincantato e talvolta spietato ritratto del nostro paese.
Un passato fastoso, un presente difficile, e una inesauribile riserva di sogni: è l'eredità che riceve alla nascita Pupi Avati, figlio di due mondi, la ricca borghesia urbana bolognese e l'arcaica tradizione contadina di Sasso Marconi. La galleria degli antenati è unica: la bisnonna Olimpia, asolaia emigrata in Brasile in cerca di fortuna con i tre figli piccoli, il nonno Carlo che trovò moglie grazie a venticinque bignè, gli zii materni che ogni anno portavano ai Savoia le ciliegie di Sasso Marconi, il nonno Giuseppe che chiese alla Madonnina del Paradiso una grazia "fatale", i genitori protagonisti di una incredibile storia d'amore... Con questi presupposti, come stupirsi se la tua vita diventa un'unica grande avventura, dalla via Emilia a Cinecittà? Nella Bologna del dopoguerra si svolge l'educazione sentimentale di Pupi, un ragazzo timido ma un po' mascalzone, un perdigiorno con una bruciante passione per il jazz, un rapporto complesso con le donne, un amore irreversibile per il cinema. Poi l'addio alla carriera da musicista, la parentesi come rappresentante di surgelati, i difficili esordi cinematografici, la Roma degli artisti, l'insolito lavoro con Pasolini, i pedinamenti per conoscere il maestro Fellini, i successi di pubblico e critica. "La grande invenzione" racconta tutto questo e molto altro ancora.
"Non basta essere competenti storici dell'arte per descrivere i luoghi in cui Paolo Sorrentino ha ambientato le splendide scene del suo film 'La Grande Bellezza'. Bisogna conoscere la città in profondità e aver esplorato alcuni tra i suoi angoli più segreti e privati, che spesso non appaiono neanche sui libri." Costantino D'Orazio ha investigato per anni la sua città, ne ha scandagliato i luoghi magici e sconosciuti, ne ha scrutato l'anima invisibile ai turisti. Non poteva, dunque, rimanere insensibile all'atto d'amore che il regista dell'opera premiata con l'Oscar ha dedicato alla Città Eterna. Con questo libro, ci conduce per mano alla scoperta dei luoghi del film, con passione e precisione documentaria. Dal Gianicolo delle prime scene, alle splendide terrazze che ospitano le feste e le indolenti conversazioni dei protagonisti, dal giardino di Villa Medici, in cui si svolge la passeggiata notturna di Jep e Ramona, fino all'EUR, dove Sorrentino ha genialmente "inventato" un negozio di lusso in quello che non è null'altro che l'atrio del Salone delle Fontane. Ricco di curiosità, ricostruisce gli spazi "impossibili" ricreati dal regista (come casa Gambardella, il cui giardino dista, nella realtà, centinaia di metri dal terrazzo...). Una lettura per chi vuole vedere Roma con occhi diversi e per tutti coloro che hanno amato il film. Un invito ad assaporare fino in fondo la Grande Bellezza della città più bella del mondo.
Dalla camminata in precario equilibrio di un funambolo alla passeggiata spaziale di un astronauta sospeso nello spazio siderale, questo libro offre un vertiginoso percorso nelle forme con cui il cinema contemporaneo coinvolge e sconvolge lo spettatore intensificando le sue percezioni e le sue emozioni. Per la prima volta nell'ambito degli studi sull'esperienza filmica, il paradigma della cognizione incorporata e l'ipotesi della simulazione incarnata vengono adottati per descrivere la relazione dello spettatore con i personaggi e con i mondi della finzione cinematografica, in un serrato dialogo fra teorie del cinema, estetica e neuroscienze cognitive. Acrobazia, caduta, impatto, capovolgimento, deriva sono le cinque tappe di questa esplorazione - quasi un unico movimento che scaturisce dalla capacità del film di attivare la mente e il corpo dello spettatore e che conduce quest'ultimo verso il senso più profondo e umano dell'atto di partecipare empaticamente alle azioni, alle emozioni e ai desideri del personaggio.
"Ho bisogno della bellezza, così come amo ogni anelito dell'uomo per compararsi a essa. Rinuncerei a qualsiasi merito artistico pur di riuscire a fare della mia vita un'opera d'arte." È il principio che guida Ermanno Olmi in questa esplorazione di una vita, delle sue poche certezze e dei suoi molti incontri. Cresciuto nel pieno della disfatta fascista e testimone critico della rinascita nazionale, Olmi è stato giovanissimo fornaio, impiegato ragazzino, regista precoce. Ha vissuto direttamente l'abbandono delle campagne e l'esplosione della società dei consumi e per questo, divenuto protagonista della stagione d'oro del cinema italiano, ha scelto di rappresentare non i lustrini del Boom, ma la cecità di uno sviluppo che ha strappato il nostro Paese alle sue radici contadine. Proprio questa ferita è il cuore filosofico della sua illuminante autobiografia. L'"Apocalisse è un lieto fine" non è infatti solo il racconto di una vita densa e affascinante, degli incontri e dei successi che l'hanno segnata. È soprattutto la profonda, urgente riflessione con cui l'artista che ha saputo cogliere gli ultimi echi della civiltà rurale ci mette in guardia davanti al declino di un'altra epoca umana: la nostra. Abbiamo dimenticato cosa vuol dire "far bene" e coltivato a dismisura l'etica del male minore. Produttività, arricchimento e potere continueranno a rinchiuderci nelle loro gabbie fino a quando non saremo pronti a imparare l'eterna lezione della terra.
In un film ormai celebre del 1984, il regista francese Claude Lazmann documentò l'orrore dei campi di sterminio nazisti attraverso il racconto di decine di testimoni, senza ricorrere ad immagini di repertorio. Quelle narrazioni sconvolgenti confluirono poi nel libro che qui viene riproposto. In queste pagine, sono riportati i dialoghi che accompagnano i fotogrammi del lungo filmato. Introduzione di Frediano Sessi. Prefazione di Simone de Beauoir.
Abbas Kiarostami (1940) è uno dei maggiori registi viventi a livello internazionale e forse in assoluto il più importante cineasta iraniano.
Spettacolo, mito, favola. Se queste sono le principali coordinate all'interno delle quali la sua produzione è stata tradizionalmente collocata, è tuttavia necessario evidenziare come tale orizzonte trovi la sua principale ragion d'essere in una corposa istanza politica articolata su più livelli.
"Arrivo a Volterra che è novembre, è sera e fa un freddo cane. Dal cellulare blindato, il Ducato, non vedo niente e mi è venuto il mal di stomaco per le curve. Volterra è proprio 'ncopp' a 'na muntaqna. Maronna mia, ma dove mi stanno portando, in un carcere sperduto d'o Pataterno." Quella sera, Aniello Arena non sapeva che proprio in quel carcere sperduto d'o Pataterno sarebbe rinato. Allora, per usare le sue parole, "ero ancora un pezzo di carne che camminava". Ma partiamo dall'inizio di questa storia durissima che Aniello ha trovato la forza di raccontare. A Barra, quartiere degradato alla periferia est di Napoli, lui è uno scugnizzo con il fuoco dentro e troppo poche possibilità. Dalle sue parti tanto è difficile costruirsi una vita "regolare", quanto è facile arrangiarsi ai margini della legalità, finire in un brutto giro e commettere errori che, prima o poi, si pagheranno salati. È così che Aniello, ancora giovanissimo, entra per la prima volta a Poggioreale, un carcere che "è un rimedio peggiore del male che dovrebbe curare". Ne esce, ma ormai è preso nella spirale degli errori e, nonostante abbia moglie e figli che ama, non riesce a rimettersi su una buona via. Anzi. Presto è un'escalation che, passando per diversi penitenziari, porta dritto all'ergastolo. Fine-pena-mai. Un abisso che svela con parole vibranti, descrivendo la vita carceraria come nessun altro ha fatto finora, con cruda autenticità ma non senza lasciarsi sfuggire, ogni tanto, un guizzo d'ironia.
Il successo commerciale e mediatico della Passione di Cristo di Mel Gibson (2004), seguito due anni dopo dall'ampia distribuzione che ha accompagnato l'uscita del film Nativity di Catherine Hardwicke, ha riacceso l'interesse di Hollywood per la figura di Gesù e per i temi della Bibbia.
L'attenzione agli immaginari di tipo mitico-religioso nella cultura di massa non è certo una novità per l'industria cinematografica americana, come testimonia la figura del regista e produttore Cecil B. DeMille (1881-1959). Con il grande successo dei Dieci comandamenti (1923) e del Re dei Re (1927) egli ha infatti notevolmente contribuito a rendere il cinema consapevole delle proprie possibilità come veicolo di mentalità e serbatoio dell'immaginario sociale.
Sommario
I. Cinema e religione nell'era dei blockbusters. II. DeMille e la messa in scena del desiderio negato. III. Gesù e il triangolo sentimentale. IV. L'emozione religiosa e l'etica del successo. V. Il Decalogo, ieri e oggi. VI. Tornare ai sani principi: Bibbia, cinema e politica. VII. Nel paese della libertà. Conclusione. Bibliografia.
Note sull'autore
Davide Zordan ha ottenuto il dottorato in teologia presso l'Institut d'Études Théologiques di Bruxelles ed è ricercatore presso il Centro per le scienze religiose della Fondazione Bruno Kessler. Insegna inoltre teologia fondamentale al Corso superiore di scienze religiose di Trento. I suoi studi riguardano in particolare l'estetica teologica e le dinamiche del credere nel contesto contemporaneo. È caporedattore della rivista Cabiria. Studi di cinema e membro del comitato di redazione di Studia Patavina e dello staff direttivo del Religion Today Film Festival. Ha pubblicato Connaissance et mystère. L'itinéraire théologique de Louis Bouyer (Éditions du Cerf, 2008) e Louis Bouyer (Morcelliana, 2009). Per EDB ha curato Riflessi di bellezza. Arte e religioni, estetica e teologie (2007) e, con Stefanie Knauss, La promessa immaginata. Proposte per una teologia estetica fondamentale (2012).