Descrizione dell'opera
Negli ultimi anni della seconda guerra mondiale, una rete clandestina di soccorso opera in provincia di Modena per aiutare gli ebrei perseguitati dal nazismo. Ne fanno parte uomini di diversa fede politica e religiosa, che non esitano a mettere a repentaglio la loro vita per salvare centinaia di persone altrimenti destinate alla morte nei campi di concentramento.
Odoardo Focherini (1909-1944) è uno di questi: giornalista cattolico, padre di sette figli, viene arrestato, deportato e troverà la morte nel campo di lavoro di Hersbruck. Insignito della medaglia di Giusto fra le nazioni dallo Stato d Israele e della medaglia d oro al merito civile dalla Repubblica italiana, beatificato dalla Chiesa cattolica nel 2013, Focherini viene raccontato in questo libro dalla figlia primogenita Olga, che per anni ha conservato e promosso la memoria paterna. Una testimonianza in presa diretta che intreccia storia e ricordi sullo sfondo di uno dei periodi più bui del ventesimo secolo.
Sommario
Introduzione. ; La mia famiglia. ; Parrocchie e giornali. ; «Questo ascensore è vietato agli ebrei». ; La prigionia e le lettere. ; «Signora, vedrà che torna». ; Cronologia di Olga Focherini. ; Fonti. ; Bibliografia. ; Videografia.
Note sul curatore
Odoardo Semellini, figlio di Olga Focherini, è operatore culturale al Comune di Carpi. Ha curato, in collaborazione con Ulderico Parente e Maria Peri, la riedizione delle Lettere dalla prigionia e dai campi di concentramento (EDB 2013) e si occupa dell'Archivio della Memoria di Odoardo Focherini.
Pechino, marzo 1852: durante la selezione delle consorti imperiali, lo sguardo dell'imperatore Xianfeng si posa su una sedicenne dai tratti non belli, forse, ma senza dubbio affascinanti. Di lì a poco, il cenno di approvazione del Figlio del Cielo schiuderà le porte della Città Proibita alla donna che, ammessa a corte come semplice concubina, si ritroverà in breve a reggere le redini dell'ormai morente dinastia Qing con il titolo di Imperatrice vedova Cixi. Considerata in Cina una despota dalle vedute ristrette, Cixi intraprese invece una coraggiosa politica di modernizzazione che, ispirandosi ai metodi occidentali, scosse il Paese dal suo immobilismo millenario: a lei si devono infatti l'introduzione del telegrafo e della ferrovia, la costruzione di una flotta moderna e l'avvio della pratica di estrazione mineraria, la riforma del sistema legale (con l'abolizione di pratiche quali la fasciatura dei piedi) e l'istituzione di scuole e università di livello. Il tutto mentre affrontava le rivolte dei Taiping prima e dei Boxer dopo, le "guerre dell'oppio" e le mire espansionistiche di russi e giapponesi, sventando i complotti orditi alle sue spalle. Questa biografia, avvalendosi di materiali fino a poco tempo fa inaccessibili, ribalta gli stereotipi per tracciare il ritratto di una figura ancora poco nota agli storiografi occidentali: quella di una donna energica e lungimirante che, in un contesto tutt'altro che favorevole, governò per quarant'anni le sconfinate terre del Celeste Impero.
Settant'anni orsono, la mattina del 19 maggio 1944, veniva rinvenuto nella casermetta di via Frutaz, ad Aosta, il corpo senza vita del notaio Émile Chanoux, impiccato alle sbarre della finestra della cella dove era stato rinchiuso la sera precedente dai suoi aguzzini. In quel momento Chanoux, leader del movimento resistenziale valdostano, diventava l'eroe delle non mai sopite istanze di autonomia politica e amministrativa della Valle d'Aosta. In realtà, dietro l'eroe si nascondeva uno scrittore politico di assoluto rilievo nel paesaggio del federalismo del Novecento, che individuava nella vocazione all'autonomia e all'autogoverno propria delle comunità territoriali dell'arco alpino l'elemento essenziale per guardare con fiducia all'Europa dei popoli e non degli Stati. Ripubblicare oggi il suo testo "Federalismo e autonomie" rappresenta il modo migliore per rendere omaggio alla sua figura.
Da molti anni Warren Buffett - definito "l'oracolo di Omaha" - è ritenuto uno dei due-tre uomini più ricchi al mondo, con un patrimonio stimato di diverse decine di miliardi di dollari. Warren ha comprato le prime azioni a 11 anni e da quel momento ha sempre guadagnato, arrivando ad acquisire quote importanti di multinazionali leader come Coca-Cola, The Walt Disney Company, American Express, Budweiser, Wal-Mart e Wrigley. Che cosa gli ha permesso di avere sempre successo in un mercato complesso e pieno di insidie come quello azionario? Quali sono i trucchi, i segreti e i principi di un businessman così geniale e atipico? I due autori, attraverso l'analisi di 125 "sentenze" del loro guru, delineano una mentalità e una filosofia caratterizzate in primo luogo dalla capacità di andare sempre in direzione opposta al "gregge". Ciò che conta per Buffett è investire i propri soldi in modo sicuro, comprando, al prezzo più vantaggioso possibile, società in grado di acquistare valore nel lungo periodo, che producano prodotti semplici e di largo consumo e siano gestite da manager in gamba. L'importante, secondo il miliardario americano, è non dare ascolto alle "sirene" del mercato, e non farsi infinocchiare dai "maghi" di Wall Street: promettono grandi guadagni in poco tempo, ma in realtà vogliono solo speculare sui nostri soldi.
Quando, nel 2002, Slahi viene mandato nel famigerato campo di detenzione di Guantánamo, è costretto a sopportare tutto il peggio che un carcere può offrire, compresi mesi di deprivazione sensoriale, tortura, violenze sessuali, minacce di ogni tipo, perfino ai suoi cari. Dopo tre anni di prigionia, ha cominciato a scrivere a mano la sua storia, in inglese, la lingua che ha imparato interagendo con i suoi carcerieri. Nel 2007 l'FBI, la CIA e l'intelligence americana hanno stabilito che non ci sono elementi per collegare Slahi ad alcun atto di terrorismo. Non è mai stato accusato formalmente di alcun crimine. Nel 2010 un giudice federale ha ordinato la sua scarcerazione. Eppure resta a Guantánamo. Nonostante questa inimmaginabile ingiustizia, Slahi rimane tollerante, razionale, benevolo. La sua è una memoir intima e personale, spaventosa, pervasa da una grazia sorprendente. Il suo manoscritto è stato ora declassificato dal governo americano e le sue parole ispirate, percorse da un umorismo dark, comunque devastanti, sono finalmente a disposizione di tutti. Raccontano una storia scioccante, fondamentale, che ha il potere di modificare la considerazione di ciascuno e rappresenta un documento di immensa importanza storica. Il risultato è un racconto di perseveranza umana portata al limite, ma mai spezzata.
Vivien arriva a Norimberga il 6 novembre 1946, in una città sconvolta dal recente suicidio in carcere di Göring. Ha appena 22 anni e ha chiesto e ottenuto di fare la stenografa al processo ai criminali nazisti iniziato l'anno prima. Lei, per metà tedesca, non voleva credere che i tedeschi avessero compiuto le atrocità di cui si parlava. Doveva vedere con i suoi occhi. Sentirà e vedrà più di quanto chiunque possa sopportare. Assegnata al processo ai medici, dovrà ascoltare le testimonianze di vittime e carnefici e udire la descrizione di esperimenti medici, torture, sofferenze inaudite e altrettante inaudite giustificazioni. Un totale di 11.538 pagine di documentazione che lei stessa contribuisce a raccogliere. Al ritorno in America, il ricordo di quegli orrori la perseguita perfino nel sonno. Ha un incubo ricorrente: è in un tunnel con cinque bambini e sta scappando dai nazisti, che li inseguono. Si è sempre svegliata prima di scoprire quale destino li attendeva. Da allora, non ha mai smesso di battersi perché nulla di ciò che ha visto vada dimenticato. E per portare finalmente quei bambini fuori dal tunnel. Prefazione di Elie Wiesel.
È l'aprile del 1944, l'ultima neve del lungo inverno polacco attanaglia ancora le vie del ghetto di Lódz: i fiocchi candidi scendono sulle nere e informi divise degli operai ebrei che lavorano per i nazisti. Ma c'è un fragile fiore che, in questo paesaggio desolato, con tutta la forza cerca di sbocciare. Rywka Lipszyc ha solo quattordici anni. Ogni giorno deve farsi strada tra le recinzioni di filo spinato, incalzata dalle armi dei soldati e dagli ululati laceranti dei cani. Dopo la morte dei genitori, è lei a prendersi cura della sorellina Cipka. La sua città, la casa che tanto amava, gli amici di scuola, sono ormai un pallido ricordo; al loro posto ci sono il lavoro, il freddo, la fame, gli orrori del ghetto e della segregazione. In mano Rywka stringe l'unica cosa che è rimasta veramente sua: il suo diario, l'unica illusione di speranza e di salvezza da un nemico che, semplicemente, vuole che il suo popolo smetta di esistere. In queste commoventi pagine prende vita il ritratto di una bambina costretta ad affrontare l'impossibile compito di diventare donna in un mondo dominato dalla violenza e dall'ingiustizia. Ma Rywka deve resistere. Per sé, per la sua famiglia, per le tante persone che, a rischio della loro stessa vita, ogni giorno le offrono aiuto. E l'unico modo per resistere è non smettere di sognare: la libertà per sé e per Cipka, una casa, un piccolo studio avvolto dall'ombra della sera, una penna, qualche foglio bianco per coltivare la sua più grande passione, la scrittura.
"Un giorno ricreerò quella magia." Claudio Abbado aveva sette anni quando, nel loggione del Teatro alla Scala, i Nocturnes di Debussy diretti da Antonio Guarnieri gli strapparono quella promessa. Ne aveva trentacinque quando della Scala divenne direttore artistico. E cinquantasei quando raccolse da Herbert von Karajan la direzione dei Berliner Philharmoniker. Una carriera luminosa fatta di musica, viaggi, curiosità, impegno: dagli esordi nella Milano degli anni Sessanta, tra utopie e contestazioni di piazza, ai 90.000 alberi chiesti nel 2010 al posto del cachet per tornare nella sua città; dal podio del Concerto di Capodanno con i Wiener a quello del concerto di compleanno di Fidel Castro a Cuba; dal rilancio del Festival di Lucerna alla creazione dell'Orchestra Mozart a Bologna. Tutto questo nonostante la malattia, accettata come una nuova occasione per rimettersi in gioco, quasi una nuova avventura. Nel vivido puzzle di memorie composto da Giuseppina Manin non c'è solo l'artista, ma l'uomo: un Claudio Abbado che ci appartiene e ci interpella più che mai. È vivo il suo messaggio di difesa della natura: lui stesso confessava di sentirsi, in fondo al cuore, "un giardiniere". Sono vive la battaglia per una musica libera e per tutti, e la filosofia del silenzio e dell'ascolto. Sono vivi i suoi passi nei luoghi che amava, dai magici boschi dell'Engadina alle coste ventose della Sardegna. Perché il viaggio, per i veri viaggiatori, non ha fine.
Ogni volta che posso chiedo a mio padre di parlarmi di Lodz, della sua famiglia, di Auschwitz. Nel farlo sollevo automaticamente la manica della sua camicia, mettendo a nudo il numero tatuato sul suo braccio. Mentre mi parla continuo a fissare quel numero che diventa uno schermo capace di trasformare istantaneamente le sue parole in immagini. Le poche cose che mi racconta, della sua infanzia felice, dell'abbrutimento nel ghetto che aveva prosciugato persino le lacrime che sarebbe stato giusto versare per la morte del padre, dell'ultimo sguardo rivoltogli dalla madre, degli incubi che popolavano le notti ad Auschwitz, me le dice sorridendo. Per i pochi che sono riusciti ad uscirne vivi, e sicuramente per mio padre, dopo Auschwitz è iniziata un'altra esistenza che in nessun caso è riuscita a costruire un ponte sospeso che li collegasse alla vita precedente. Sono io che debbo costruire quel ponte, perché la sua esistenza, subita e vissuta con coraggio, e le contraddizioni, le incertezze, le angosce, le sue debolezze acquistino il senso e la dignità che meritano.
Torino, 28 aprile 1945. Un uomo scende da un'auto che arriva dal palazzo della prefettura e si ferma davanti alla questura. È il nuovo questore di Torino, nominato dal Comitato di Liberazione nazionale. Quell'uomo è Giorgio Agosti. Fino al giorno prima, Agosti è stato giudice al Tribunale di Torino. Ma negli ultimi venti mesi non ha avuto modo di scrivere molte sentenze. In compenso, ha svaligiato l'armamento di una caserma della guardia di frontiera. È sfuggito a un arresto. Ha diretto la Resistenza in Piemonte, come commissario politico di Giustizia e Libertà. Si è occupato di trovare materiali di ogni tipo: dalle armi alle maglie di lana, dai camion alle calze e alle scarpe. Ha preparato volantini e giornali clandestini e li ha diffusi. Ha fatto fuggire prigionieri alleati. Bandito e latitante, ha pensato e scritto come organizzare la polizia nella futura Italia democratica. Ha saputo comandare, come richiedeva "il tempo del furore", e farsi amare, con la devozione che soltanto i grandi capi sanno suscitare. Questo libro racconta la sua storia e, con lui, la storia di quella parte d'Italia intellettualmente impegnata che rimase fuori da ogni convento, politico e culturale, fedele solo all'imperativo morale e civile del "fai quel che devi" non solo al tempo degli eroismi di guerra ma, soprattutto, durante il faticoso processo di ritorno alla normalità democratica.
Questo libro racconta la vita di Alberto Sed dalla nascita ai giorni nostri. Rimasto orfano di padre da bambino, Alberto è stato per anni in collegio. Le leggi razziali del 1938 gli hanno impedito di proseguire gli studi. Il 16 ottobre 1943 è sfuggito alla retata effettuata nel ghetto di Roma. È stato catturato in seguito, insieme alla madre e alle sorelle Angelica, Fatina ed Emma. Dopo il transito da Fossoli, la famiglia è giunta ad Auschwitz su un carro bestiame. Emma e la madre, giudicate inabili al lavoro nella selezione condotta all'arrivo, sono finite subito nella camera a gas. Angelica, un mese prima della fine della guerra, è stata sbranata dai cani per il divertimento delle SS. Solo Fatina è tornata, segnata da ferite profonde: ha assistito alla fine terribile di Angelica ed è stata sottoposta agli esperimenti del dottor Mengele. Alberto è sopravvissuto a varie selezioni, alla fame, alle torture, all'inverno, alle marce della morte. Ha partecipato per un pezzo di pane ad incontri di pugilato fra prigionieri organizzati la domenica per un pubblico di SS con le loro donne. Dopo essere scampato a un bombardamento, è stato liberato a Dora nell'aprile 1945. Tornato a Roma, superate le difficoltà di reinserimento, ha iniziato a lavorare nel commercio dei metalli e si è sposato. Ha tre figlie, sette nipoti e tre pronipoti.
Tutte le storie dei grandi atleti hanno un che di favoloso: la dedizione, i sacrifici, il riscatto attraverso la vittoria. Ma quella di Oscar Pistorius ha il sapore amaro di una tragedia. Nato con una grave malformazione che lo costringe all'amputazione delle gambe, trova conforto nello sport. Grazie alla sua determinazione e alle futuristiche protesi, che gli fanno guadagnare il soprannome di "Blade Runner", nel 2012 passa alla storia come il primo atleta senza arti inferiori a competere con i normodotati alle Olimpiadi. Ma, meno di un anno dopo, il suo mondo si infrange: nelle prime ore del mattino del 14 febbraio uccide la fidanzata Reeva Steenkamp, sparando contro la porta chiusa del bagno di casa. Difesa personale, dice lui: nel buio della notte, accecato dal panico, ha pensato che un intruso fosse entrato in casa. Omicidio, dice l'accusa: le liti tra Oscar e Reeva, la passione per le armi dell'atleta e la sua personalità tormentata sono indizi a favore dell'ipotesi di premeditazione. Qual è la verità? John Carlin, famoso giornalista e scrittore, ha seguito in prima persona il processo del campione caduto. In questo libro ci offre molto più di una sensazionale crime story: un reportage sulla vita di Oscar Pistorius, dagli esordi nello sport alla relazione turbolenta con Reeva; il ritratto intimo di un uomo che nasconde insicurezze e paure dietro una maschera di ferro; una cronaca del processo, fino al verdetto di omicidio colposo...