
L'evoluzione del paesaggio agrario, l'organizzazione della produzione, lo sfruttamento dei boschi alpini e le articolazioni istituzionali della società rurale (dal Cinquecento all'Ottocento) vengono studiati utilizzando un vasto repertorio di documenti manoscritti inediti, di diverso genere e formazione. Reciproci scambi tra "fonti scritte" e "fonti disegnate" hanno permesso di ricomporre storicamente i quadri economici e le articolazioni della società rurale. L'articolazione delle strutture signorili, le politiche aziendali, la questione dei confini, i progetti di risanamento del territorio e di valorizzazione delle risorse agricole e gli incartamenti aziendali vengono analizzati anche alla luce dell'insieme eterogeneo di documenti cartografici e mappe. L'ampio catalogo presentato nel DVD allegato, inoltre, permette di visualizzare ogni sfumatura delle mappe e analizzare i particolari difficilmente percettibili in una produzione a stampa, consentendo una nuova valorizzazione del documento iconografico.
La storia criminale di Cosa Nostra compresa tra il primo assassinio compiuto da Salvatore Giuliano e la cattura di Bernardo Provenzano costituisce l'eredità più pesante trasmessa dal Novecento al nostro Paese. Ripercorrendo più di mezzo secolo di storia italiana, con l'ausilio di una sterminata letteratura - libri, verbali d'interrogatorio, atti processuali, relazioni delle Commissioni Antimafia, informative e rapporti di questure, prefetture, carabinieri - e la collaborazione di cento siciliani che hanno raccontato l'episodio di cui sono stati testimoni, Alfio Caruso ci restituisce, per la prima volta, la narrazione pura e semplice di un'impresa criminale, con i suoi "padri fondatori", le sue fazioni, le sue alleanze. Dall'ingresso dei villalbesi di "don Calò" Vizzini nella Dc del 1945 al primo eccidio di carabinieri a opera della "banda dei niscemesi"; dal ruolo avuto da Pisciotta e Leggio nella morte di Giuliano all'anno orribile (il 1979) con i delitti irrisolti ma tra loro collegati di Ambrosoli, Boris Giuliano, Terranova, Caruso ci svela la storia di un'associazione segreta che non ha mai avuto né "codici" né "uomini d'onore", ma ha sempre e soltanto inseguito l'arricchimento smodato dei suoi affiliati. Una storia, dunque, percorsa da personaggi efferati che non esitano, per calcolo od opportunità, a mascherarsi persino da "collaboratori di giustizia", ma anche tragicamente segnata dal sacrificio di quanti hanno combattuto ogni sopruso.
Uno e molteplice, il Novecento si chiude sollecitando i contemporanei a una riflessione che va al di là delle scadenze del calendario. Difficile dire se si sia trattato di un periodo omogeneo e dotato di autonoma identità; se sia stato - come si dice - un'epoca della storia del mondo. Alla terribile grandiosità degli eventi che lo hanno scandito, e che da un lato hanno unificato, dall'altro frantumato la storia del genere umano, si è unito il moltiplicarsi dei punti di vista, delle discipline, dei criteri interpretativi, il diversificarsi delle emozioni e delle memorie. Crisi della linearità, crisi dell'idea stessa di un filo rosso omogeneo e "progressivo". Sovrapposizione dei tempi, degli spazi e dei contesti. I saggi qui raccolti percorrono i grandi temi e i differenti campi di questa complicata vicenda, ma convergono tutti sulla domanda finale. Ha un senso, che senso ha, quanti sensi può avere, la storia del Novecento? Coordinate da Claudio Pavone, si alternano in queste pagine le riflessioni di alcuni tra i più autorevoli storici contemporaneisti. A chiusura del volume una conversazione tra Claudio Pavone e Vittorio Foa: una testimonianza e una riflessione sui nodi cruciali del controverso "secolo breve".
"Naufraghi nella tempesta della pace": un documentario della "Settimana Incom" del 1947 evocava così la tragedia dei profughi dell'Istria. Si aggiungevano a milioni e milioni di altri "naufraghi", frutto degli sconvolgimenti della guerra e del dopoguerra: milioni di persone sradicate dalla propria terra dalle deportazioni operate dalla Germania nazista e dalla Russia staliniana, ex prigionieri, donne e uomini in disperata fuga dall'inferno della Shoah o dalle zone martoriate dagli spostamenti del fronte. E a questa marea di profughi se ne somma un'altra, alimentata da milioni di persone espulse a forza dai paesi dell'Europa centro-orientale. Il dramma delle popolazioni tedesche ha qui un rilievo centrale: già con la fuga disperata davanti all'Armata rossa nell'ultima fase della guerra, e poi con le espulsioni dell'immediato dopoguerra dalla Cecoslovacchia, dalla Polonia, dall'Ungheria, dalla Romania, dalla Jugoslavia, ove il loro dramma si aggiunge a quello degli italiani dell'Istria. Si pensi ai polacchi e agli ucraini vittime di feroci espulsioni reciproche da territori in cui avevano convissuto per secoli, e ad altre sofferenze ancora: si inizieranno allora a intravedere i contorni di una fra le pagine più rimosse della storia europea. Questo studio illumina alcuni squarci di questa vicenda, in cui drammi personali e collettivi si intrecciano, ed evoca le ferite di memoria che quel trauma ha lasciato.
Abitudini o divieti formali per secoli tennero lontana la donna medievale dalla scrittura. Questo libro di Luisa Miglio investiga attraverso un metodico lavoro di riconoscimento e di studio le occasioni e le situazioni di scrittura femminile tra il medioevo e la prima età moderna. Il possesso dell'alfabeto era per una fiorentina del Quattrocento una virtù o un accessorio biasimevole? In quali strati della società era più facile l'accesso alla scrittura? Mondo laico e mondo religioso mostravano differenze di comportamento? L'autrice attraverso l'analisi delle tracce materiali nei documenti d'archivio - scopre quali furono le motivazioni che indussero alcune donne a prendere in mano la penna: annullare lontananze, dare corpo al proprio immaginario e alla propria memoria, guadagnarsi da vivere, sopperire alla mancanza di scriventi maschi, infrangere il monopolio maschile della scrittura.
Le grandi migrazioni interne che hanno attraversato l'Italia negli anni del boom economico sono state finora descritte dagli storici come un fenomeno esclusivamente maschile, in cui le donne si sarebbero limitate a seguire gli uomini, per poi "misteriosamente" sparire dal mondo del lavoro, chiuse all'interno delle mura domestiche. La ricerca di Anna Badino presenta uno scenario del tutto diverso del rapporto tra emigrazione femminile e lavoro. Attraverso l'incrocio di fonti statistiche e qualitative, l'indagine prende in esame un ampio campione di donne immigrate tra fine anni Cinquanta e primi anni Settanta a Torino, città simbolo dello sviluppo industriale italiano. Il quadro che emerge è innanzi tutto quello di una forte spinta femminile al lavoro: un lavoro che non è solo quello operaio, ma che assume spesso la forma di occupazioni irregolari, marginali e "invisibili", sempre però contrassegnato dalla difficoltà di conciliare impegni casalinghi e attività extradomestiche. Si delinea così una realtà multiforme e variegata, capace di produrre mutamenti inattesi anche nei modelli di organizzazione familiare, che nessuno aveva ancora raccontato.
Quali sono gli elementi portanti del discorso sulla morte per la patria e del culto dei caduti in Italia? Quando e in quale contesto nascono? In quale misura sono prodotti culturali e politici "importati" da altri paesi? Quali sono le fasi principali, quali le cesure e le continuità più significative? Dal Risorgimento a oggi in Italia il culto dei caduti e il morire per la patria hanno rappresentato un fattore essenziale nella sacralizzazione della nazione, la cui apoteosi trovava la sua espressione più marcata nella legittimazione nazionale della morte in guerra, sacrificio del singolo per la comunità politica. Prende il via in questo modo una secolarizzazione del concetto cristiano di vita eterna, plasmato sulla nazione. Gli autori, storici dell'età moderna e contemporanea, attraverso le rappresentazioni simboliche del lutto, analizzano le forme che il tentativo di nazionalizzazione delle masse ha di volta in volta assunto. Dall'esaltazione ottocentesca degli eroi, immortalati nei monumenti, il più vistoso dei quali il Vittoriano, si passa alla commemorazione delle vittime di guerra. L'elogio dell'individuo si trasfigura nella celebrazione del Milite Ignoto. Nel secondo dopoguerra sono pochi gli eroi: si ha piuttosto una massificazione della morte ignota che coinvolge anche i civili. Sopravvive tuttavia una tradizione militare che, attraverso l'encomio solenne della morte eroica, mantiene vivo il legame con il passato risorgimentale.

