
"Una città non è semplicemente un posto dove abita della gente e dove dorme. Come le stie per i polli o i campi di concentramento. La città è il posto l'incrocio, la cerniera - dove si svolgono i traffici, gli scambi, le comunicazioni. Ed è per questo che una città non è un museo, se non è morta. Se è viva si trasforma, inevitabilmente." Così come si sono trasformate le "città del Duce", quelle innumerevoli "città di fondazione" tirate su dal regime tutte più o meno sullo stesso modello, e tutte con lo stesso intento: realizzare la rivoluzione agraria che Mussolini aveva promesso ai suoi reduci e su cui voleva fondare l'impero autarchico. Si comincia nel '28 con la bonifica delle Paludi Pontine, poi le Puglie, la Libia, il latifondo siciliano. Una vera epopea edificatrice, almeno secondo l'autore che quelle città le ha cercate, visitate, fotografate, studiate una per una arrivando a contarne ben 147. Alcune oggi sono grandi e affollate, altre desolate e spettrali. Eppure hanno molto in comune: la loro storia di "città nuove".
Per molto tempo in tutta Europa il re degli animali non fu il leone, bensì l'orso: ammirato, venerato, considerato come un progenitore o un antenato dell'uomo. I culti dedicati all'orso migliaia di anni prima della nostra era hanno lasciato tracce nell'immaginario e nelle mitologie fin nel cuore del Medioevo cristiano. Ben presto la Chiesa si sforzò di sradicarli. I prelati e i teologi erano impauriti dalla sua forza brutale, dal fascino che esercitava su re e cacciatori e soprattutto da una credenza secondo la quale l'orso maschio rapiva e violentava le giovani donne: da quell'unione nascevano uomini mezzi-orso, guerrieri invincibili, fondatori di dinastie o antenati totemici. L'apice della sconfitta fu raggiunto quando dal diabolico si passò al ridicolo e l'iconografia, la letteratura e la pratica comune finirono per identificare l'orso come il goffo bersaglio di bastonate, senza corona ma con catene e museruola. Eppure, la caduta dell'orso non è stata totale: lo si ritrova ancora oggi, tenero confidente, nella culla di ogni bambino.
Una informata sintesi che dà conto della riflessione elaborata sia dagli antichi sia dalla storiografia classica e contemporanea sul tema dell'impero romano. L'obiettivo è quello di illustrare le stratificazioni che contribuiscono a formare le diverse interpretazioni e rappresentazioni della parabola imperiale.
Antonio Baldini insegna Storia romana nell'Università di Bologna. Tra i suoi libri: "Storie perdute. III secolo d.C." (2000) e "Ricerche di tarda storiografia" (2004), usciti da Pàtron.
L’ultimo rifugio di Sandokan era un bunker sotterraneo, protetto da tre mastini napoletani, in cui il boss ingannava il tempo dipingendo e leggendo libri su Napoleone e il regno delle Due Sicilie.
Alla sentenza d’appello del processo Spartacus i protagonisti di questo libro hanno totalizzato 16 ergastoli e 336 anni e tre mesi di reclusione.
Due dei giornalisti e scrittori che si sono occupati di Casal di Principe vivono sotto scorta.
Dopo l’esplosione dello scandalo delle discariche in Campania e la sentenza d’appello del processo Spartacus, i Casalesi sono balzati alla ribalta della cronaca. Come nel caso dei Corleonesi in Sicilia, il clan più potente e sanguinario della camorra non viene dalla città ma dalla campagna: il paese di Casal di Principe, in provincia di Caserta. E proprio un’alleanza organica con la mafia è all’origine del trionfo dei Casalesi, che incarnano lo spirito e i riti della vecchia camorra e insieme dimostrano una straordinaria capacità di adattarsi al presente. Fin dagli anni Ottanta hanno sviluppato un controllo paramilitare del territorio, esigono percentuali sulla vendita di droga, sulla prostituzione, sul gioco d’azzardo, esercitano estorsioni su ogni attività commerciale, si infiltrano in tutti gli appalti pubblici, governano gli investimenti immobiliari, diversificano le loro attività in settori che vanno dalle pompe funebri alla produzione di mozzarella di bufala fino al calcio, riciclano milioni di euro e si arricchiscono col business dei rifiuti tossici e delle discariche abusive, allargando sempre più la loro influenza in Italia e nel mondo; e tutto questo in mezzo a delitti eccellenti, lupare bianche, sanguinose guerre fra clan.
Attraverso documenti, atti giudiziari, testimonianze, cronache giornalistiche e una serrata ricostruzione storica, Gigi Di Fiore, che dalle pagine del “Mattino” segue anche le vicende di quella “periferia della periferia dimenticata”, compone con L’impero il primo racconto complessivo di un’agghiacciante realtà criminale che ha superato i confini della cronaca nera ed è diventata un vero e proprio cancro sociale.
Cosa voleva dire essere un "intellettuale" nei cosiddetti "secoli bui"? In questo volume, pubblicato originariamente nel 1957, uno dei più insigni studiosi del Medioevo europeo traccia una sintesi rapida, chiara, ricca di notizie e di calzanti interpretazioni sull'argomento. Le Goff ripercorre l'evoluzione degli intellettuali, il loro rapporto con la Chiesa e con la realtà urbana, il faticoso emergere di una cultura laica, il mondo degli scriptoria monastici e delle università, dei poeti e dei giuristi, e delinea alcuni ritratti di figure esemplari quali Abelardo, Bernardo da Chiaravalle, Pietro il Venerabile, Sigieri di Brabante. Oggi, a oltre mezzo secolo dalla sua prima edizione, Gli intellettuali nel Medioevo rimane un testo fondamentale per la ricchezza dei contenuti e la precisione del metodo storiografico; un libro che ha insegnato a generazioni di specialisti "come si fa la storia", ma anche e soprattutto una lettura piacevole - memorabili le pagine in cui rivive la vicenda di Eloisa e Abelardo - che permette di gettare uno sguardo a tutto tondo su cosa significasse vivere nell'Età di Mezzo.
Questa "Prima lezione" firmata da Giuseppe Galasso introduce alla problematicità, ai metodi e ai temi della storia moderna sviluppando tre innovativi nodi concettuali: "moderna" è tutta l'età dalla fine del Medioevo a oggi; di conseguenza la storia contemporanea è anch'essa una parte (la più recente) della storia moderna; la modernità ha segnato un salto di qualità nella condizione umana paragonabile solo a quello dell'età neolitica, ma ancora più radicale e sconvolgente sia in termini individuali che di rapporto tra l'essere umano e il mondo. La distinzione tra modernità e contemporaneità viene dunque approfondita in queste pagine a partire dall'idea che la prima comprende la seconda e che, mentre contemporaneo è un dato di fatto (il tempo attuale), moderno (il nuovo in contrapposizione all'antiquato) è un'indicazione di tempo, ma anche un giudizio di valore.
La casa di Augusto è stata a lungo un labirinto inestricabile. La complessità della stratificazione, per molto tempo fraintesa, rendeva impossibile ricostruirne le vicende. Oggi quella storia possiamo finalmente raccontarla. I dati raccolti durante gli scavi e la riflessione su di essi restituiscono in presa diretta l'attività di Augusto nella sua casa, risultato di pentimenti, abbandoni, variazioni e graduali perfezionamenti, specchio della sua ideologia politica e religiosa: prima della conquista del potere e con l'impero. Ma la casa di Augusto nasconde altre sorprese. La prima: dove si trovano la grotta e il recinto sacro di Fauno Luperco, mitico protettore della fertilità, dove avvenne l'epifania di Remo e Romolo ai pastori? Ai piedi e poi sotto la casa di Augusto, secondo l'autore: il principe imperatore avrebbe voluto appropriarsi fisicamente delle memorie della fondazione della città, collegando il suo palazzo al luogo della salvazione dei gemelli. La seconda: dove e quando è stato celebrato per la prima volta il Natale? La risposta è ancora una volta: nel palazzo di Augusto, abitato probabilmente da Anastasia, sorella di Costantino, cui si deve la chiesa originaria che portava il suo nome, prima che venisse oscurata dalla omonima santa.
Avventurieri, guerrieri o pellegrini che fossero inizialmente, i normanni riuscirono a unificare il Mezzogiorno d'Italia, scalzando oltre alle signorie locali anche poteri più antichi e più forti, quali i bizantini e i saraceni, con uno sforzo costante e tenace che richiese quasi un secolo e mezzo. Furono loro a mostrare che nel XII secolo era possibile creare nella penisola italiana un solido regno, conciliando elementi e fattori disparati che, in circostanze diverse, avrebbero finito con il caratterizzare in maniera determinante tutta l'Italia. Di questo lungo processo Matthew mette a fuoco gli anni salienti, dal Regno di Sicilia di Ruggero II d'Altavilla fino agli splendori dell'imperatore Federico II di Svevia.
Dopo anni di dibattito sulla "fine della storia" e l'affermarsi di un luogo comune che vuole la disciplina svuotata di ogni attrattiva, assistiamo oggi a un'autentica quanto inaspettata "fame di storia" che, cibandosi di fiction o di revisionismo spettacolare, contribuisce a svilire il senso del mestiere dello storico, che è quello di garantire la corretta e inalterata trasmissione del frutto di un'accurata ricerca alla luce di uno spirito di critica. Si assiste in sostanza a un paradosso: da una parte cresce la "domanda" di storia, che induce un autentico boom della produzione di tipo divulgativo, dall'altra si verifica lo strangolamento della produzione scientifica in senso proprio, per la quale non si prospettano fondi, né sbocchi editoriali, né strategie di reclutamento e formazione di giovani studiosi. Esiste una dimensione "regolata" di questi mestieri o bisogna accettare che siano la logica del mercato e la visibilità mediatica a decidere cosa pubblicare, cosa valga la pena studiare, cosa trasmettere al pubblico, a prescindere da falsità, inesattezze, scoop inventati e pericolosità di certe teorie? Il volume chiama a raccolta studiosi ed esperti nel tentativo di rispondere a tali domande.
Come rappresentò Rembrandt l'ebreo e l'ebraismo? Perché mutò la propria visione nel corso del tempo? Che differenza c'era fra l'ebraismo sefardita e quello ashkenazita nell'Amsterdam di metà Seicento? A tutte queste domande fornisce risposte esaurienti la tesi di laurea del 1924 di Netty Reiling, una giovane studentessa ebrea tedesca che di lì a poco avrebbe assunto lo pseudonimo di Anna Seghers, la grande e celebre scrittrice comunista. Ricorrendo al metodo comparativo, l'autrice ci consegna un minuzioso lavoro critico di storia dell'arte condito da una teoria estetica molto attenta al rapporto fra realtà immaginata e realtà effettiva.
Dal racconto del diario inedito di un missionario francese, Raphael Stainville fa rivivere il massacro degli Armeni, in Turchia, un genocidio che, dopo quasi un secolo, è ancora oggi negato. Una testimonianza storica eccezionale.
L'autore è un giovane giornalista di Le Figaro che racconta come un suo soggiorno in Turchia, all'interno di un convento cristiano, l'abbia fatto imbattere con un documento eccezionale datato 1909, un manoscritto anonimo di un sacerdote.
Tornato in Francia, inizia a studiare il caso, gira archivi, legge i giornali dell'epoca, fino a quando, mediante l'archivio privato di una famiglia, e decide di pubblicare il manoscritto, un documento storico di grande importanza per la ricostruzione dei fatti. Al suo ritorno in Turchia, il manoscritto è misteriosamente scomparso.
Raphaël Stainville, 28 anni, é giornalista del quotidiano Le Figaro. Appena terminati gli studi universitari, decide di partire per Gerusalemme a piedi. Nel suo viaggio lungo un anno, vivrà della generosità e dell’ospitalità degli abitanti che incontra. Attraversando la Francia, l’Italia, la Grecia, la Turchia, la Siria e la Giordania, giungerà in Terra Santa nonostante la ripresa dell’Intifada. Questo suo viaggio è raccontato nel suo primo libro, J'irai prier sur ta tombe : à pied de Paris à Jérusalem (2001).