
Un libro popolato dai protagonisti che nel corso dei secoli, da Vasari ai nostri giorni, in Europa come negli Stati Uniti, hanno contribuito alla costruzione di una nuova disciplina: la storiografia artistica nei suoi molteplici indirizzi di ricerca. Emergono i profili dei tanti metodi messi in campo per analizzare e interpretare le opere, dall'attribuzione all'iconografia e all'iconologia, dalla critica formalista alla storia sociale dell'arte, dalla ricerca ancorata ai documenti a quella ispirata alla storia delle idee, delle religioni, della cultura, fino all'assunzione di modelli attenti all'antropologia come alle scienze naturali. Un volume che mancava ma di cui si avvertiva la necessità perché, tenendo presente che il mestiere dello storico dell'arte è differente da quello del filosofo di estetica e del teorico, sono stati riannodati gli aspetti del lavoro più squisitamente storiografico con tutte quelle sollecitazioni attivate dagli stessi oggetti di studio. Le autrici hanno ricostruito infatti la proficua simbiosi tra la scrittura e il lavoro sul campo nei musei, nei territori, nel mercato, nelle collezioni private, nelle esposizioni, nelle scelte di tutela e di restauro. Tutte attività che hanno concorso a valorizzare, conservare e trasmettere alle generazioni a venire la ricchezza di un patrimonio identitario.
Con questo libro Peter Brown affronta senza ambiguità uno dei grandi paradossi della storia dell'Occidente. Utilizzando fonti alte e archivi "bassi" elaborazioni dottrinali di matrice teologica, disposizioni del diritto canonico e materiali spuri tratti dalla vita quotidiana di comunità e personaggi minori - lo storico scrive una vera e propria storia economica del cristianesimo e della Chiesa delle origini. Al centro del libro la condizione paradossale per cui se anche la rinuncia, il dono e la povertà si trovano al cuore dei Vangeli, la chiesa, che su quei testi si è edificata, è diventata, nel corso dei secoli, una delle più formidabili potenze economico-finanziarie della storia. Lungi dal gridare allo scandalo, Brown cerca di spiegare come mai un'istituzione nata sul presupposto secondo cui la vera vita si colloca nel mondo altro della promessa, e che questo mondo, con i suoi beni, lusinghe e tentazioni, è da rigettare, proprio a questo mondo si è adattata con tutte le sue forze, insediandovisi e organizzandosi anche e soprattutto come potenza economica e politica. Due i fenomeni studiati dall'autore. Da un lato il flusso di ricchezza, poteri, ruoli e funzioni di comando e controllo dalla grande aristocrazia terriera alle alte gerarchie ecclesiastiche. Dall'altro, e specialmente, le condotte e scelte di vita di una "moltitudine sinora inosservata". La ricchezza della Chiesa si spiega soprattutto guardando verso il basso, verso un mondo di cui si sapeva poco solo fino a pochi anni fa...
In questo ampio saggio riccamente illustrato, S. Frederick Starr racconta la storia affascinante e in gran parte sconosciuta dell'illuminismo medievale nella Grande Asia centrale. La vita movimentata in popolose città organizzate e le sorprendenti creazioni di molte importanti personalità nei piú svariati campi del sapere vengono collocate dall'autore all'interno di un vivace affresco storico del periodo. Poiché molti scienziati e intellettuali scrissero per lo piú in arabo, a lungo sono stati definiti «arabi». In realtà, appartenevano a popolazioni persiane e turche che vivevano nella vasta regione che oggi si estende dal Kazakistan all'Afghanistan e dall'area piú orientale dell'Iran fino allo Xinjiang, in Cina. Fu infatti nell'Asia centrale che tra il 750 e il 1150 si diede un nome all'algebra, si calcolò il diametro della Terra con una precisione senza precedenti, si scrissero alcune delle piú belle poesie del mondo e libri che sarebbero serviti a definire la medicina europea. Con i soli strumenti della logica, basandosi sui dati dell'osservazione diretta, il persiano Biruni dedusse persino che dovevano esistere altre terre oltre a quelle conosciute, scoprendo in un certo senso l'America cinque secoli prima di Colombo. Raramente nella storia vi fu una simile concentrazione spaziale e temporale di saperi. Non c'è da stupirsi che ciò abbia influenzato la cultura europea dai tempi di Tommaso d'Aquino fino alla Rivoluzione scientifica, e abbia avuto un medesimo, profondo impatto in India e in gran parte dell'Asia. Questa storia culturale e intellettuale dell'Asia centrale inquadra nascita, sviluppo e declino di un periodo cruciale nella storia dell'umanità.
La civiltà islamica è stata per molto tempo invidiata dal resto del mondo. Grazie a un susseguirsi di capitali scintillanti e cosmopolite, gli imperi islamici hanno dominato in Medio Oriente, in Nord Africa, nell'Asia centrale e nelle fasce del subcontinente indiano, mentre l'Europa indietreggiava ai margini. Per secoli il califfato era al tempo stesso vittorioso sul campo di battaglia e trionfante in quello delle idee, le sue città erano ineguagliabili per bellezze artistiche, potenza commerciale, spiritualità e raffinata cultura. Justin Marozzi si sofferma sulle dinastie più importanti alla guida del mondo musulmano - gli Abbasidi di Baghdad, gli Omayyadi di Damasco e Córdoba, i Merinidi di Fez, gli Ottomani di Istanbul, i Moghul dell'India e i Safavidi di Isfahan - e su alcuni dei più carismatici leader della storia musulmana, dal Saladino del Cairo e il potente Tamerlano di Samarcanda al poeta-principe Babur nel regno montano di Kabul e l'irrefrenabile dinastia Maktum di Dubai. L'autore descrive in modo brillante tutte queste grandi dinastie e le loro capitali, inquadrandole all'interno dei momenti decisivi della storia islamica: dalla rivelazione a Maometto alla Mecca e la prima crociata (1096-99) alla conquista di Costantinopoli nel 1453 e la repubblica mercantile di Beirut nell'Ottocento, per toccare infine i paradossi della Dubai contemporanea.
Oggi questa intuizione può essere corroborata da nuove acquisizioni della storia e dell'archeologia, che ci permettono di capire meglio che cosa davvero significhi l'eccezionalità della Grecia nella storia delle civiltà.
Perché su questo non c'è dubbio: i greci, popolo singolare ed esotico, riuscirono a dar vita a una cultura diversa da tutte le altre, pur straordinarie e grandi, fiorite nel corso della storia. Altrove, l'organizzazione e la mentalità politica, le idee, i miti, i modi di pensare, le risorse tecnologiche, la religione, la poesia, l'arte, la scienza si erano concretizzate grazie a un potere autoritario, una monarchia.
In Grecia, invece, fu una vasta cerchia di uomini liberi che, attraverso un complesso percorso storico, inaugurò libere forme di vita. Cultura, libertà e democrazia segue questo affascinante percorso, nelle sue varie fasi e nei suoi risvolti: gli aspetti politici e militari innanzitutto, a partire dal confronto con la Persia e con Roma; e poi la frammentazione e la molteplicità delle città greche, da Atene a Sparta; l'alternarsi di democrazia e aristocrazia, di rivolte e tiranni.
A questo percorso è strettamente intrecciato l'aspetto economico, con la spinta dei commerci e la colonizzazione del Mediterraneo. E va tenuto conto dell'intelaiatura specificamente culturale che ispirò questa evoluzione e al tempo stesso le diede una forma e una consapevolezza: l'epica di Omero ed Esiodo, il rapporto con le divinità, l'importanza dei simposi e la nascita della filosofia…
In una fase di rivoluzione globale, ci suggerisce il libro di Christian Meier, comprendere le nostre radici profonde, i valori che hanno ispirato il percorso della civiltà prima greca e poi europea, è fondamentale: non solo per capire il nostro passato, ma per guardare al futuro.
A lungo si è considerato il fascismo come il prodotto della crisi europea successiva alla glande guerra. In questa sua fondamentale opera Vivarelli rilegge invece la storia dell'Italia postunitaria mostrando che il fascismo è il frutto, non la causa, delle debolezze dello Stato liberale, incapace di gestire la propria trasformazione in Stato democratico dopo l'avvento del suffragio universale. Un fallimento le cui ragioni vanno ricercate indietro nel tempo, anche se fu effettivamente la guerra a creare le condizioni perché esso si manifestasse con effetti dirompenti. Orientato da tale ipotesi interpretativa e sorretto da una rigorosa documentazione, questo lavoro è molto più di una cronaca delle vicende italiane tra il 1918 e il 1922: al di là della guerra, infatti, il problema delle origini del fascismo trova qui la sua definizione nell'intero contesto della storia politica, istituzionale e sociale dell'Italia dopo l'Unità.
"Il 9 luglio di quest'anno Sandro Pertini è stato eletto presidente della Repubblica e mi ha nominato segretario generale". Il 3 novembre 1978 inizia così il diario su cui Antonio Maccanico annoterà poi giorno dopo giorno, incontro dopo incontro, viaggio dopo viaggio, lo svolgersi del settennato di Pertini. Nella sua cronaca si colgono al vivo e secondo prospettive spesso singolari tutti i protagonisti di quegli anni (politici italiani e stranieri, giornalisti, imprenditori, manager pubblici, intellettuali) ed emergono i tratti di una presidenza che, iniziata nell'anno culminato nell'assassinio di Moro e nelle dimissioni di Leone, si dava il compito di ridare prestigio al Quirinale in una difficile fase in cui emergeva, oltre alle manifeste difficoltà del sistema politico, una più generale crisi della società italiana.
Dopo la cronaca degli anni trascorsi al Quirinale nel settennato di Pertini, prosegue in questo volume il resoconto dell'esperienza istituzionale di Antonio Maccanico. Trascorso circa un anno e mezzo con Cossiga al Quirinale, all'inizio del 1987 Maccanico è eletto presidente di Mediobanca e in tale veste ne conduce in porto la sofferta privatizzazione. Nell'aprile 1988 assume il primo diretto incarico politico come ministro per gli Affari regionali e problemi istituzionali. Avvia il faticoso percorso delle riforme che sostarizia il tentativo del governo di Ciriaco De Mita, segretario della De e presidente del Consiglio. Nel 1989, alla vigilia del disfacimento dei regimi dell'Est europeo, lo sostituiscono rispettivamente Arnaldo Forlani e Giulio Andreotti, che occupavano quei ruoli già 16 anni prima: Maccanico rimane al governo. I diari restituiscono la luce crepuscolare del quinquennio 1985-1989, caratterizzati da scelte che annunciano l'indirizzo dell'economia nella nuova realtà globalizzata e da resistenze che preludono all'esaurimento dei soggetti costituenti. Prefazione di Sabino Cassese.
Tra le grandi svolte della storia umana, la Rivoluzione Neolitica, è una delle più determinanti; è l’inizio delle prime manipolazioni prodotte dall’uomo sul proprio ambiente naturale, il che è direttamente all’origine della potenza attuale della nostra specie. Analizzare questa metamorfosi, nelle sue condizioni e nelle sue cause, è dunque un’operazione necessaria per chi si interessa del divenire della civiltà. Questo avvenimento si è verificato inizialmente nel Vicino Oriente, prima di raggiungere direttamente altre regioni del mondo o di dare luogo a imitazioni più tardive. Il v. è la sintesi delle ricerche recenti sul Neolitico del Vicino Oriente, qui considerato con i confini designati dall’Unesco, ovvero la penisola anatolica (attuale Turchia) e il Levante, cioè Siria, Libano, Israele, Giordania. Il periodo considerato dal 12.000 al 6.300 a.C. è quello durante il quale, in questa parte del mondo prima che in qualsiasi altro luogo, si verificò il passaggio per tappe dalle comunità preistoriche di cacciatori-raccoglitori a quelle dei primi contadini e dei primi allevatori, con tutti i cambiamenti tecnici e ideologici che accompagnano e talvolta precedono questo processo. L’a. è direttore di ricerca presso il CNRS. Dal 1958 ha dedicato il suo lavoro al comparire dei primi villaggi, all’agricoltura e all’allevamento nel Vicino Oriente.
Sin dalla preistoria l'uomo non ha mai smesso di voler conoscere il futuro e di inventare stratagemmi per tentare di controllarlo. Dai procedimenti divinatori inventati dai popoli dell'Antichità, ai metodi "scientifici" messi a punto dai futurologi di fine XX secolo, i mezzi per predire l'avvenire non si somigliano più molto. Ma ogni epoca ha avuto bisogno di fantasticare sul futuro, sia nel bene che nel male: ci sono stati i falsi profeti del Medioevo, gli astrologi rinascimentali, o ancora i veggenti del Grand Siècle. E anche i filosofi illuministi hanno tentato, a modo loro, di leggere fra le righe del futuro, ma senza riuscire a mettere a tacere l'irrazionalità: magnetismo, sonnambulismo e altre forme di spiritismo hanno conosciuto un successo sempre maggiore nel XIX secolo, mentre i nuovi profeti annunciavano un mondo migliore. Oracoli, profezie, predizioni, utopie: tutte le anticipazioni che gli uomini hanno elaborato nel corso dei secoli non si sono mai realizzate, tuttavia esse sono il riflesso di speranze e di paure.
Questo volume illustra in una prospettiva cronologica e spaziale molto ampia le dinamiche della corte, della società e della politica internazionale della Roma dei papi in età moderna. I saggi qui riuniti affrontano diversi temi e momenti, problematizzando pratiche storiografiche consolidate e cercando di rispondere alle domande poste dalla ricerca storica più recente a proposito dei linguaggi, delle dinamiche di potere e della mobilità sociale. Sono indagate le istanze più nascoste della storia del papato, le complesse trame di governo, i numerosi e spesso concorrenti poli di potere e le minacce al corpo fisico e simbolico del pontefice. Le contraddizioni fra la dimensione universale del papato e la sua "italianità" sono esaminate nell'ambito dei più larghi mutamenti nei rapporti fra gli Stati con una proiezione non solo europea e mediterranea, ma anche nella duplice direzione delle Americhe e dell'Estremo Oriente. Nella "Roma dei papi" tante linee di studio si intrecciano e mostrano la profonda originalità della ricerca storica di Maria Antonietta Visceglia, che indica nella città del papa un attore indiscutibile di una storia globale.
Dell'esercito romano del IV e V secolo si sa poco. Eppure, il suo ruolo è stato determinante, in un contesto storico dominato dall'incertezza, accresciuta costantemente dalle guerre civili, dalle contese dinastiche, dalla pressione continua dei barbari sulle frontiere, che ha portato ad eventi tragici come il disastro di Adrianopoli del 378 o la presa di Roma del 410. In un simile contesto, l'esercito romano non ha soltanto tentato di difendere l'Impero, ma ha interagito profondamente con le strutture della società, influenzando i giochi politici, il funzionamento dell'economia, le strutture sociali e persino lo sviluppo delle religioni. Questo libro, scritto sulla base di fonti spesso trascurate (leggi, compilazioni amministrative, monete, papiri, iscrizioni, testimonianze archeologiche), restituisce un quadro inedito e affascinante delle istituzioni militari romane, fornendo soluzioni nuove a problemi antichi, senza nascondere le questioni ancora irrisolte.