
"Il 18 luglio del 386, al primo assalto dei Galli, l'esercito romano si sbandò. L'ala sinistra venne respinta nel fiume. In preda al panico, in una gigantesca rotta, molti affogarono, altri caddero schiacciati dai compagni in fuga. Metus Gallicus: il terrore per le orde galliche penetrò nella coscienza più profonda dei Romani, senza mai dissolversi, e riemerse nei momenti di maggiore emergenza". Dal nero giorno dell'Allia, i barbari evocano antichi incubi e sopite angosce. Funesti fantasmi che tornano realtà nell'agosto 410. Roma rivive la violenza terribile di un Sacco che umilia la città per secoli signora sulle genti. È solo l'inizio: nel 455 i Vandali entrano a Roma e la devastano indisturbati; passano meno di vent'anni e nel 472 di nuovo un Sacco dopo un lungo assedio. Infine la guerra greco-gotica, che annienta lo splendore della città antica: tra il 535 e il 552 Roma è per cinque volte sotto assedio. Dal racconto dei fatti, al mito, alla memoria: il libro segue le trasformazioni che la sequenza dei Sacchi per oltre un secolo provocò nell'immagine della città, nei comportamenti e nei pensieri dei suoi cittadini. Alla fine del mondo antico, il travaglio di una civiltà si esprime nella tormentata rovina della sua capitale. E il disastro riecheggia spaventoso nei secoli; fino al Sacco del 1527, quando il mito della Roma che rinasce si rovescia nel più drammatico epilogo: di nuovo eserciti che calano sulla città per devastarla, di nuovo distruzioni.
"Chi proibisce ai cristiani lo studio della filosofia e delle scienze proibisce loro anche di essere cristiani." Così scriveva Tommaso Campanella, nell'Apologia di Galileo del 1616, in difesa del principio della libertas philosophandi, predicato specifico e irrinunciabile dell'indagine umana cui non sfuggono né la natura né la religione. E solo un esempio del significato e del valore di quella cultura italiana nella quale si è raccolto quanto di meglio la nostra storia ha generato lungo i secoli moderni. Cultura laica - da non confondere con anticlericale, come spesso è accaduto - nella quale si è espressa una vera e propria concezione del sapere. "Se si vanno a leggere i capisaldi della cultura laica, ci imbattiamo in concetti decisivi come legge, conflitto, eguaglianza, dissimulazione, bisogno, libertà di stampa, opinione pubblica, fino all'argomentazione del rifiuto della tortura e della pena di morte. Princìpi, ieri come oggi, di una sapienza che in Italia ha trovato uno dei suoi luoghi di nascita e di maggiore sviluppo." Una sapienza mondana e civile, che appare in modo luminoso nei testi qui raccolti - da Leon Battista Alberti a Camillo Benso di Cavour, passando, tra gli altri, per Giordano Bruno, Machiavelli, Leopardi, Manzoni - i quali, organizzati tematicamente, affrontano argomenti come la condizione umana, la nascita (e la morte) delle religioni, la loro funzione civile, la critica della Chiesa di Roma e del cristianesimo, la teorizzazione della "libera Chiesa in libero Stato".
È il 10 gennaio del 49 a.C.: il proconsole Caio Giulio Cesare attraversa un piccolo corso d'acqua che segna il confine tra il territorio romano e le Gallie, confine che nessuno può varcare in armi senza essere considerato nemico dell'Urbe. Si mette così in moto una catena di eventi che porterà cinque anni dopo alla morte del proconsole, divenuto nel frattempo l'uomo più potente del mondo. Dopo aver scatenato la guerra civile varcando il Rubicone, Cesare riuscirà a distruggere un sistema di governo vecchio di oltre cinquecento anni: un instabile compromesso tra l'avversione dei romani per le forme politiche che attribuivano tutto il potere a un uomo solo e un modello democratico che tenesse conto della competitività tra i cittadini.
Un papa in fuga, un ministro ucciso, una rivoluzione. Dopo secoli di anonimato, tra il 1846, anno dell'elezione di Pio IX, e l'estate del 1849, quando le truppe francesi vinsero la resistenza dei volontari repubblicani, Roma tornò a essere il gran teatro del mondo. Un palcoscenico su cui recitavano, oltre al papa, eroi risorgimentali come Mameli, Mazzini e Garibaldi, oltre a una nutrita schiera di comprimari, tra cui Farini, Bixio e Rosmini. Nei pochi mesi di vita della Repubblica, Roma conobbe un periodo di disciplinato fermento tra i rocamboleschi anni precedenti e la confusione che contribuì alla sua caduta. Rimasta senza papa - una realtà quasi impensabile gettò per la prima volta le basi di istituzioni laiche, emancipate dal potere temporale della Chiesa. L'autore interroga i documenti per ricostruire l'ascesa e il declino del sogno repubblicano, scavando negli stati d'animo dei protagonisti, nei loro dilemmi, nelle loro scelte e nella quotidianità di un popolo reattivo alle tensioni del proprio tempo.
Un secolo e mezzo prima che Occupy riempisse le strade e le piazze del mondo, la città moderna era già fucina di idee rivoluzionarie, e fu dallo spazio urbano che soffiarono i primi venti del cambiamento sociale e politico. Da sempre le città sono teatri che mettono in scena il pensiero utopico, ma anche centri di accumulazione capitalistica, e quindi spazi di conflitto contro quei pochi che, controllando l'accesso alle risorse comuni, determinano la qualità della vita di molti. L'urbanizzazione ha giocato un ruolo primario nell'assorbimento del surplus di capitale, alimentando processi di "distruzione creatrice" che hanno sottratto alle masse il diritto di costruire e ricostruire le proprie città. Questo conflitto latente è esploso periodicamente in grandi rivolte popolari, come nella Comune di Parigi del 1871, a seguito della riconfigurazione urbanistica voluta da Napoleone III e realizzata da Haussmann, quando i cittadini espropriati si sollevarono per imporre il governo rivoluzionario sulla capitale. O come nel 1968, con i grandi movimenti sociali urbani che agitarono Chicago e Berlino, Praga e Città del Messico, o ancora, nell'estate 2011, con i riots che hanno bruciato le periferie di Londra e con l'ondata di indignazione contro il potere finanziario che ha scosso America ed Europa. "Città ribelli" ripercorre la storia delle città come centri propulsori della lotta di classe e dei movimenti di riappropriazione dei diritti collettivi.
Creare artificialmente la vita - un'utopia che ha sempre alimentato l'immaginazione umana - è divenuta una concreta realtà a partire dal Settecento, quando la scienza ha cominciato a investigare il meccanismo della generazione. In questo libro Emmanuel Betta ricostruisce la storia della riproduzione artificiale dell'uomo, dai primi esperimenti dell'abate Spallanzani alla messa a punto di soluzioni efficaci tra Otto e Novecento, fino agli sviluppi più recenti dell'ingegneria genetica, con particolare attenzione alla realtà italiana che ha avuto un ruolo importante in questa vicenda.
Apertura ai comunisti? Possibile ingresso del Partito comunista italiano nella maggioranza di governo? Instaurazione di una Repubblica conciliare? Sul finire degli anni Sessanta del Novecento questi interrogativi animarono e in alcuni momenti dominarono il dibattito politico nel nostro paese. Della discussione che si sviluppò intorno alla possibilità di un nuovo corso nei rapporti con i comunisti i protagonisti principali furono indubbiamente Aldo Moro e la Democrazia cristiana. Sulla base di una vasta documentazione, italiana e statunitense, il volume ricostruisce la politica di Moro e della DC verso il PCI tra il 1967 e il 1969, fornendo un quadro analitico anche delle reazioni degli altri partiti, dei commenti della stampa e dell'atteggiamento degli Stati Uniti di fronte alle posizioni espresse dai democristiani e, più in generale, alla "questione comunista".
C'è stato un tempo in cui statisti illustri - quali Churchill e De Gasperi - e intellettuali di primissimo piano - quali Croce, Arendt, Bobbio, Thomas Mann, Kojève, Laski - hanno guardato con rispetto, simpatia e persino con ammirazione a Stalin e al paese da lui guidato. Con lo scoppio della Guerra fredda prima e soprattutto col Rapporto Chruscev poi, Stalin diviene invece un "mostro", paragonabile forse solo a Hitler. Darebbe prova di sprovvedutezza chi volesse individuare in questa svolta il momento della rivelazione definitiva e ultima dell'identità del leader sovietico, sorvolando disinvoltamente sui conflitti e gli interessi alle origini della svolta. Il contrasto radicale tra le diverse immagini di Stalin dovrebbe spingere lo storico non già ad assolutizzarne una, bensì a problematizzarle tutte. Ed è quanto fa Losurdo in questo volume, analizzando le tragedie del Novecento con una comparatistica a tutto campo e decostruendo e contestualizzando molte delle accuse mosse a Stalin. Con un saggio di Luciano Canfora.
Il volume racconta la storia dell’omosessualità nell’Occidente cristiano dalla tarda antichità al Settecento. Utilizzando quale punto di osservazione le fonti criminali, vi si ricostruisce una storia sociale e culturale delle trasgressioni sessuali e di genere, incentrandosi, al di là del mondo delle élites, sulla vita e l’esperienza quotidiana di donne e uomini comuni. Questa narrazione si intreccia con gli sviluppi del controllo istituzionale e i suoi rapporti di conflitto e mediazione con una base sociale non sempre docile ad accoglierne i dettami. Alla luce del percorso di ricerca dell’autore e dell’apporto di nuove correnti storiografiche, come la storia delle emozioni, il libro focalizza alcuni snodi critici del dibattito storiografico, sui quali propone di gettare una nuova luce. Ne risulta ridimensionato il ruolo giocato dai rapporti pederastici nelle manifestazioni dell’omosessualità premoderna; omosessualità maschile e femminile sono presentate in una narrazione intrecciata; il tema del desiderio è letto nelle sue complesse relazioni con l’infrazione delle norme di genere; infine, la dimensione globale e i rapporti con le culture extraeuropee giocano un ruolo centrale nella ricostruzione storica. Tutto questo in una prosa piana e leggibile, che mira a rendere l’opera fruibile anche per un lettore non specialistico.
Teatri anatomici stipati di studenti e curiosi, il tavolo operatorio incrostato del sangue di interventi passati, il lezzo inconfondibile di carne putrefatta: nel XIX secolo assistere a un'operazione chirurgica non era cosa per deboli di stomaco. "L'arte del macello" rievoca un periodo della storia della medicina in cui anche una ferita lieve poteva portare a una morte orribile. I chirurghi, elogiati per la forza bruta e la velocità di esecuzione, raramente si lavavano le mani, il camice o ripulivano gli strumenti. Ancor più delle patologie dei pazienti, a essere mortali erano le infezioni postoperatorie, che i medici non sapevano sconfiggere. In un tempo in cui la chirurgia non avrebbe potuto essere più pericolosa, un giovane chirurgo quacchero di nome Joseph Lister osò sfidare i contemporanei affermando che i germi erano la causa di ogni infezione e che potevano essere trattati con un antisettico. E così facendo cambiò per sempre la storia della medicina, portandoci dritti nel mondo moderno.