
Il libro ricostruisce il ruolo fondante che l'esperienza politica e istituzionale di città come Atene e Sparta ha svolto nel pensiero e nelle vicende politiche della nostra storia, in particolare nel periodo che va dal '400 al '700. Concetti-chiave quali l'uguaglianza, la democrazia, la libertà, la partecipazione politica affondano infatti le loro radici nella nozione stessa di polis e hanno avuto origine nell'esperienza politica e istituzionale di una civiltà solo apparentemente lontana.
"Il Medioevo da noi proposto è vicino e lontano insieme. È vicino perché allo strato dei retaggi preistorici e antichi, ha aggiunto (e spesso sostituito) apporti che noi avvertiamo, che oggi viviamo come retaggi fondamentali, creazioni d'identità originali: paesaggi urbani e rurali, conflitti e compromessi tra ragione e fede, rapporti difficili tra lo Stato e la società, organizzazione scolastica e universitaria, sensibilità artistica e letteraria. Tante cose ci arrivano dal Medioevo: il libro (alla fine dell'Antichità il codex cominciò a sostituire i rotoli), i nostri abiti (la camicia e i calzoni che hanno fatto dimenticare l'antica toga), il calendario, il genere letterario del romanzo, gli atteggiamenti nei confronti dei poveri, le reazioni di fronte alle epidemie (dalla lebbra e dalla peste all'Aids gli echi non mancano certo), ecc. Ma il Medioevo è anche lontano da noi. Ci è spesso estraneo, e questo charme esotico costituisce una parte importante del fascino che esercita." (Dalla prefazione di Jacques Le Goff e Jean-Claude Schmitt)
Lontano dalle grandi tombe imperiali e dai sepolcri nobiliari della Via Appia, il mondo sommerso delle necropoli mette in luce la "normalità" e si ha la netta percezione di attraversare d'un colpo duemila anni di storia. Ricche edicole decorate con mosaici e stucchi, oppure povere sepolture in terra, occupano l'area sotto la basilica di San Pietro, e nei settori della necropoli lungo la via Trionfale, con una tale densità da stupire gli stessi archeologi che per primi si sono apprestati a eseguire gli scavi di recupero. La «necropoli vaticana», settore monumentale di un tratto di necropoli lungo la via Cornelia fortunosamente conservato sotto la navata centrale della basilica di San Pietro, fu riscoperta grazie agli scavi eseguiti durante il pontificato di Pio XXII. Un recupero archeologico di portata immensa, nonché il primo e lungimirante esempio di musealizzazione in situ di una necropoli antica. Contestualizzando le necropoli nel panorama complessivo dell'epoca, il volume mostra uno spaccato della società, della cultura, e delle credenze dei Romani tra l'età di Augusto e quella di Costantino - che sopra alla tomba di Pietro costruirà la sua grande basilica -, alle soglie del grande passaggio tra la Roma Pagana e quella Cristiana. Al centro non è la Roma dei monumenti politici e pubblici, ma quella dei monumenti e dell'arte delle famiglie di fronte al mistero dell'aldilà. Opere straordinarie per l'interesse sociale, ma anche di una compostezza artistica e un'inventività iconogra?ca impressionanti.
Il volume di Hugo Brandenburg, pubblicato per la prima volta da Jaca Book nel 2004, è diventato un'opera di riferimento internazionale sulle prime chiese di Roma, straordinario fenomeno edilizio che, a seguito dell'editto di Milano del 313 emanato da Costantino e dal coreggente Licinio, rese Roma il primo centro di espressione e diffusione di quella nuova arte che definiamo «paleocristiana». La lettura delle Scritture, la salmodia, l'omelia e il banchetto divino che caratterizzavano le riunioni e le pratiche di culto delle prime comunità - e anche dopo l'età apostolica - si svolgevano in ampi ambienti privati, o altri edifici messi a disposizione da un membro della comunità, non costituendo ancora un'associazione religiosa riconosciuta, dotata di proprio status giuridico, e non potendo possedere beni immobili. Diversamente dai templi o dagli edifici di culto pagano, sacralizzati dalla presenza del dio, il cui culto si svolgeva per lo più all'esterno, il servizio divino dei cristiani aveva sempre luogo in ambienti chiusi. Dalla fine del II secolo, con l'accrescersi delle comunità si rese necessario avere specifici spazi destinati al culto, luoghi che verranno definiti domus dei o domus ecclesiae, dal termine greco che in origine designava la comunità stessa, l'assemblea dei credenti, ai quali via via verrà attribuita la sacralità che ne farà il «tempio di Dio». Ma bisognerà attendere l'epoca costantiniana perché questi luoghi inizino a presentare una particolare fisionomia architettonica e acquisiscano nella Chiesa cristiana la fisionomia monumentale che possiamo ancora ammirare.
A partire dal IV secolo, è attestato a Roma, presso la basilica di San Giovanni in Laterano, uno scrinium della Chiesa romana, che aveva la duplice funzione di biblioteca, per conservare i libri, e di archivio per i documenti. Seguendone la storia dai suoi albori, il presente volume si focalizza soprattutto sulla sua trasformazione in Biblioteca dei Papi, dopo il loro definitivo trasferimento in Vaticano nel xv secolo. Una prima sede della Biblioteca Vaticana, all'interno del Palazzo Apostolico presso San Pietro, venne predisposta dal fondatore Niccolò V (1447-1455); dopo un secolo, però, lo spazio non era più sufficiente a contenere quella che era ormai diventata la maggiore biblioteca del mondo, e Sisto V (1585-1590) decise di far costruire il Salone Sistino, una nuova sede nel Cortile del Belvedere. Un gioiello monumentale, che si estende per oltre mille metri quadrati ed è decorato al suo interno con affreschi dedicati alla storia delle biblioteche e dei Concili ecumenici, e con raffigurazioni degli inventori degli alfabeti e della Roma del tempo. Dalla fine dell'Ottocento, poi, la Biblioteca raddoppiò i propri spazi di lettura e decuplicò i propri depositi, fino ad arrivare agli attuali 80.000 manoscritti, circa 1.600.000 stampati (tra cui quasi 9.000 incunaboli), incisioni, disegni, monete e medaglie. Protagonisti assoluti di questo luogo unico al mondo sono naturalmente i libri, o, se vogliamo, i codici, le pergamene, i manoscritti più famosi per apporto culturale, per preziosità del documento e per valore artistico. Questi protagonisti sono menzionati e commentati secondo la cronologia della loro entrata nella Biblioteca, così l'ultimo è il Papiro Bodmer XIV-XV, datato tra il II e il III secolo d.C., con i Vangeli secondo Luca e secondo Giovanni.
Un volume ricco di suggestioni, aggiornato alle ultime ricerche archeologiche, con un ricco apparato illustrativo. Un itinerario artistico che permette al lettore di seguire lo sviluppo di una delle più eccezionali avventure intellettuali e artistiche della civiltà umana. Tracciare un profilo dell'arte espressa dalla civiltà mesopotamica, la cultura sviluppatasi nella "Terra fra i due fiumi", Tigri ed Eufrate, è un'impresa allo stesso tempo ardua e necessaria. Ardua perché un'intera biblioteca è stata dedicata all'argomento sin dai primi scavi archeologici ottocenteschi; necessaria perché i più recenti ritrovamenti archeologici, le nuove scoperte e l'approfondimento delle conoscenze nel settore necessitano di continue puntualizzazioni e precisazioni che gettano nuova luce su un insieme che rapidamente evolve, rendendo più dettagliato il quadro complessivo. E questo è tanto più vero quando si esaminino le successive stratificazioni culturali avvenute in Mesopotamia, tenendo conto della continuità di insediamento verificatasi nel corso dei millenni in questa terra. Alle tre sezioni principali che componevano l'edizione originale di questo volume - quella dell'antichità che possiamo definire "classica" della Mesopotamia regale con i grandi e celebrati imperi, seguita dall'epoca dell'ellenismo, preludio all'età partica e sasanide e, infine, dalla stagione islamica, in genere un po' sottaciuta e trascurata - si aggiunge oggi un contributo che rende conto delle recenti scoperte archeologiche in merito al periodo preislamico. Il risultato è uno spaccato a tutto tondo del ruolo di centro elaboratore e diffusore della cultura che nei millenni ha avuto l'Iraq.
Lo sviluppo della ricerca storiografica e dell'archeologia hanno permesso di smontare il pregiudizio accademico che vedeva nell'arte romana il prolungamento decadente di quella greca. La cultura romana delle origini viene analizzata come koinè, comunità in gran parte omogenea che ha il suo fulcro nell'italia tirrenica Con un metodo originale Filippo Coarelli ha saputo realizzare una storia dell'arte romana che raccoglie in una visione complessiva la ricerca archeologica e storica svolta da studiosi di diversi Paesi, basando la propria indagine sul dialogo continuo tra i dati archeologici e la tradizione classica sulle origini di Roma. Nei secoli più antichi, quelli della Roma dei re, la città si trovava all'incontro di due mondi artistici ricchi e vivaci - quello etrusco a nord e quello greco-italico a sud - e costituiva una periferia artistica dove influenze e modalità espressive variegate si intrecciavano e interagivano con la sensibilità locale. Nell'età dei re, Roma apparteneva a un territorio relativamente omogeneo, quello dell'Italia tirrenica, i cui segni si colgono nell'urbanesimo, nella celebrazione del sovrano, nei templi e nell'introduzione della scrittura. Nella prima parte dell'età repubblicana - il volume giunge fino al III secolo a.C. - iniziano a prender forma componenti proprie, in un continuo scambio di somiglianza e differenza rispetto ai mondi circostanti. Il quadro politico è cambiato, con l'espansione nel Lazio e la creazione di colonie, ed è così che gradualmente inizia a delinearsi una cultura artistica riconoscibile come «romana».